Sostenibilità

GLI STRUMENTI CULTURALI A SUPPORTO DELLA POLITICA ESTERA

di Filippo Romeo

La natura e le sorti di uno Stato sono determinate da molti fattori. Uno dei principali è la sua politica internazionale, espressione massima dell’esercizio del “potere”. Ma il potere, come afferma giustamente Nye (politologo statunitense che ha teorizzato il concetto di Soft Power – tradotto “Potere soffice”), è come il tempo atmosferico: “tutti dipendiamo da esso e ne parliamo, ma pochi lo comprendono”.

La scarsa comprensione delle varie forme di potere deriva dalle sue differenti e sottili sfumature.

A tal proposito è bene porre subito l’attenzione sul dibattito intercorso tra gli studiosi di relazioni internazionali che, suddividendo le modalità di esercizio del potere in due macro categorie “Hard Power” e “Soft Power” (Potere duro e Potere soffice), ritengono che entrambe siano fondamentali per raggiungere gli obbiettivi auspicati risultando di fatto parimenti incisive.

Entrando più nello specifico, con la locuzione Hard power (potere duro) si intende l'utilizzo del potere militare ed economico da parte di uno Stato o governo per influenzare il comportamento degli altri soggetti presenti sullo scenario internazionale. Il Soft power (potere soffice), invece, rappresenta l’abilità di uno Stato di risultare attraente e di influenzare i comportamenti altrui. In altri termini, mentre l’Hard Power fa riferimento all’azione militare e agli strumenti economici per piegare la volontà di un determinato attore politico, con il Soft Power vengono messe in campo una serie di pratiche che mirano a condividere esperienze e valori con la finalità di attrarre a se, nonché di influenzare, i comportamenti altrui per mezzo della “capacità seduttiva”. Ebbene, una volta chiarita questa differenza, è opportuno capire quali siano i principali strumenti di cui uno Stato dispone per esercitare il suo “Soft Power”. Non vi è dubbio, a riguardo, che tra le principali risorse rientrano quelle culturali, ovvero quell’insieme di valori e di pratiche che generano il comune sentire di una determinata società. Tali pratiche vengono generalmente distinte nella cultura di tipo elevato, come la letteratura e l’arte che fanno presa su un pubblico colto afferente alla classe elitaria, e la cultura popolare che si focalizza sulle esternazioni di massa. Pertanto, quando un Paese include valori universali (o presunti tali) e le sue politiche promuovono valori ed interessi condivisi da altri, esso ha ovviamente un maggiore potere di attrazione e quindi una maggiore probabilità di ottenere i risultati sperati. A titolo esemplificativo, si pensi all’esperienza statunitense. Gli Stati Uniti, infatti, si sono da sempre distinti per la loro abilità di sviluppare la propria potenza non solo sotto il profilo militare ed economico, ma anche sotto quello culturale creando quello che a tutti è meglio noto come “sogno americano”. Essi, infatti, attraverso le immagini, i film e la televisione hanno ingenerato in una buona fetta della popolazione mondiale il desiderio di appropriarsi ed emulare quel tipo di cultura, tendenze e gli stili di vita che li venivano partoriti, nonché attratto in loco numerosissimi studenti per completare ed affinare i propri percorsi accademici.

L’esempio statunitense, che sicuramente per dimensioni rimane il più consistente, è stato ripreso da tanti altri Paesi che, seguendo tale modello, si sono posti come veri e propri attrattori nel proprio ambito regionale. Tra questi figurano l’India che negli ultimi anni si è distinta per la sua produzione cinematografica e per la diffusione delle filosofie orientali, ma anche Giappone, Corea del Sud e perfino la Nigeria che ha anche essa sviluppato una sua importante industria cinematografica producendo film distribuiti e apprezzati in tutto il continente africano.

Quanto premesso dà la misura di quanto la cultura, oltre ad identificare un Paese nell’alveo delle relazioni internazionali, funga da fondamentale supporto alla sua politica estera dal momento che favorisce il dialogo e il confronto con gli altri soggetti internazionali. In particolare nell’era attuale della globalizzazione, caratterizzata dall’affermazione di un modello culturale dominante (quello occidentale) e contemporaneamente dalla riaffermazione delle identità locali, la cultura sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle relazioni internazionali assurgendo a vero e proprio strumento “diplomatico” per il dialogo con le altre culture.

Risulta pertanto evidente che l’Italia, dotata di un poderoso bagaglio culturale e di invidiabili competenze scientifiche, dovrebbe sviluppare le proprie peculiarità superando quelle limitazioni oggettive che fino ad ora non le hanno permesso di imporsi nella prima fila delle grandi potenze, nonostante sia a tutt’oggi una delle principali realtà dell'Europa e del Mediterraneo. Lo sviluppo di tali peculiarità culturali, unitamente all’ humus fatto di mondo greco, romanità, e di cristianesimo in cui affondano le proprie radici, potrebbero, infatti, fornire all’Europa un notevole contributo nel confronto con i nuovi attori geopolitici Asiatici e Africani, fungendo da collante per il rinnovamento dello spirito europeo.

Vi è inoltre da aggiungere che la “Italian way of life”, ossia lo stile di vita italiano, è considerata ovunque un modo di vivere equilibrato, sinonimo di piacevolezza, eleganza, stile e buon gusto. Nonostante vi sia anche un’immagine negativa dell’Italia all’estero, come Paese dell’approssimazione e della confusione, si può infatti registrare un diffuso atteggiamento di simpatia nei confronti di tutto ciò che è italiano: dalla cultura del passato fino ad aspetti più recenti, come la moda, il design, il cinema e la cucina.

E’ proprio in un momento come quello attuale, caratterizzato da un senso di sfiducia nel sistema paese e di crisi non solo economica ma anche valoriale, che bisognerebbe far base su questi punti di forza per poi proiettarsi verso l’esterno attraverso l’adozione di una “politica estera” che adotti e persegua con costanza un orientamento determinato. Tali fattori sarebbero sufficienti per esercitare il nostro “soft power” attraverso l’elaborazione di un vero e proprio modello di vita da offrire e da esportare; un modello che, basandosi sull’importanza del prestigioso passato, possa porsi in Europa e nel mondo come pioniere delle nuove tendenze future nei vari campi del sapere.

La valorizzazione del nostro patrimonio artistico e letterario, della nostra creatività e delle nostre realizzazioni scientifiche e tecnologiche contribuirebbe, oltremodo, ad offrire all’estero un’immagine valida e moderna del nostro paese e delle nostre potenzialità, con ciò offrendo un valido sostegno ad una migliore affermazione della nostra economia, della nostra industria e, in definitiva, anche della nostra azione politica.

L’Italia, dunque, pur essendo a corto di risorse, dovrebbe rifugiarsi nella strategia che le permetta di intraprendere scelte politiche che possano garantire al Paese un posto ben definito nel mondo evitando di sprecare l’impiego delle risorse nazionali in azioni che si ritorcano contro i propri interessi. Sul punto, si pensi ad alcune scelte dissennate adottate negli anni passati quali, a titolo di esempio, quelle della guerra in Libia e nei balcani e le sanzioni economiche alla Russia e all’Iran.

Non vi è dubbio che in questo progetto l'Italia potrebbe, inoltre, usufruire dell’unicità di Roma che, oltre ad essere stata il centro di un grande impero, è il cuore del cristianesimo, nonchè la residenza della Santa Sede. A Roma si ha una concentrazione unica di attori religiosi dal momento che le Congregazioni religiose di tutto il mondo vi hanno una forte presenza. Inoltre, molti attori religiosi italiani operano nel mondo, in tutti i continenti, e questo permette alla Santa Sede di avere una rete diplomatica quasi unica. Roma è anche il centro di Organizzazioni internazionali, come la Fao e l’Ifad, il che la rende la capitale della lotta contro la fame. Tutto ciò, ovviamente, costituisce un motivo di interesse per il Governo italiano e comporta un impatto particolare sull’Italia, non soltanto a causa di un passato in cui lo Stato pontificio faceva parte del panorama italiano, ma anche a causa della situazione attuale, in cui il Papa è una delle persone più influenti del mondo, sebbene non disponga di quel hard power posseduto dagli altri capi di Stato.

Tali elementi, se ben corredati, unitamente al lavoro diplomatico, possono rappresentare delle condizioni di rara unicità da far valere nel nuovo contesto geopolitico in cui la luce di Roma e dell'Italia potrebbero tornare a risplendere.

Filippo Romeo

romeo.filippo83@gmail.com

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