Famiglia

Il mio Debo-Smart

di Paola Strocchio

Lo piglio sempre in giro, il ragazzo mio. Quando scrivo di lui racconto dei suoi ormoni a palla, del suo umore che va in altalena dal mattino alla sera, della sua debosciaggine, del suo somigliare sempre più agli sdraiati di Michele Serra.

Oggi però cambio registro.

Cambio perché l’adolescente mio in realtà è un ragazzo d’oro. Un figo. Uno che ha capito che quelli che stiamo vivendo sono tempi duri, anche se non ha risposte per tutte le domande che credo gli balzino in testa. Mi guarda e alza gli occhi al cielo quando mi vede che scalpito perché vorrei uscire a fare una passeggiata, perché all’improvviso ho scoperto che dentro di me batte il cuore di un runner anche se non ho mai fatto 3 metri di seguito di corsa, a eccezione di quando il mio cane una volta si è tolto il guinzaglio e ho dovuto rincorrerlo e braccarlo. Mi guarda con compassione, (nell’accezione più bella del termine, “con solidarietà per il mio sentire”) anche quando inizio a snocciolare un lunghissimo elenco di cose che voglio fare dopo che tutto questo sarà finito, dopo che il virus non sarà più una minaccia. Lo fa anche quando giro da una stanza all’altra a chiedermi “quando finirà?” e nessuno mi sa rispondere.

Il ragazzo mio ha capito che sono giorni strani, giorni in cui il tempo è una specie di elastico, anche se scorre e non fa sconti, pure per chi ha la fortuna di lavorare a casa, al sicuro, in modalità smart. Perché pure lui è smart. Il mio adolescente preferito, proprio lui. Quello che con affetto solo io ho l'autorizzazione di chiamare "Il Debo" (-sciato), perché io sono la sua mamma. E lui ora è "Lo Smart" invece, non è più "Il Debo", perché in questo tempo strano soltanto una volta mi ha chiesto timidamente se poteva incontrarsi con Matteo, un suo amico, compagno di scuola e di battaglie di Fortnite. Gli ho spiegato che non si può fare e lui ha incassato, senza fiatare. Nessuna obiezione, solo un velo di tristezza. Poi ha afferrato una delle nostre gatte e ha messo su un balletto con lei, tra la sua camera e la mia. E mi ha parlato di musica, di mixer, di dj, di scuola, di videogiochi, dei suoi amici, della scuola, dei prof, dell’interrogazione di epica di lunedì, delle mie piadine che sono più buone di quelle che ho comprato già fatte al supermercato, del mare che gli manca e del molo di Alassio, che hanno chiuso per evitare assembramenti. E mi ha detto che ha paura per i suoi nonni. Allora il magone è cresciuto e mi sono sentita quella cosa lì che ti sale in gola, che non va né su né giù nemmeno se bevi un bicchiere di acqua tonica, che a me farebbe digerire pure un’insalata di sassi condita con una spolverata di sabbia e scaglie di lose di montagna. E l’adolescente lo ha capito, che sono prossima al crollo. E allora ha fatto quella cosa che sa fare benissimo: cambiare discorso. “Oh, ma alla fine te lo scarichi anche tu Fortnite?”.

Grazie, Debo. Anzi. Grazie, Smart. Anzi ancora. Grazie Debo-Smart del mio cuore.

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