Sostenibilità

Johannesburg: Petrella, l’accordo sull’acqua è una farsa

Riccardo Petrella, Danielle Mitterrand e Rosario Lembo, a nome della Coalizione mondiale contro la privatizzazione e la mercificazione dell'acqua, e di un folto gruppo di organizzazioni popolari e O

di Redazione

Riccardo Petrella, Danielle Mitterrand e Rosario Lembo, a nome della Coalizione mondiale contro la privatizzazione e la mercificazione dell’acqua, e di un folto gruppo di organizzazioni popolari e Ong … se ne vanno dai luoghi ufficiali del vertice della Terra e del Waterdome. Petrella e Mitterrand hanno dichiarato: “Il presunto accordo raggiunto stanotte sull’Acqua è una farsa. Infatti, si limita a riconoscere che l’acqua è un diritto, ma non si assumono impegni per garantire l’accesso all’acqua potabile entro il 2015 al miliardo e mezzo di persone che non vi ha accesso. Non sono previsti impegni globali da parte di tutti gli Stati, ma si lascia ai singoli paesi l’assunzione di impegni bilaterali. Da ciò che sappiamo, l’accordo non prevede nessun impegno su come coprire i costi per l’accesso all’acqua, nessun impegno di investimenti per la distribuzione, i servizi igienici e le fognature. Tutto viene rimandato al libero mercato, non c’è un piano operativo d’azione né stanziamenti dei governi. Ci sentiamo traditi da questo vertice. Proprio per questo un folto gruppo di organizzazioni popolari ha deciso di abbandonare il summit. Noi fra queste. Qui tutto è bloccato. Il summit della terra che avrebbe dovuto tracciare le linee di impegno sullo sviluppo sostenibile per i prossimi anni, è tenuto in ostaggio da un paese il cui Presidente è assente, occupato come è a preparare la guerra. Su due cose in particolare gli Usa – e un piccolo gruppo di paesi loro alleati – non cedono: il riconoscimento del legame intrinseco tra diritti umani e sviluppo sostenibile. Quasi che il cibo, l’acqua, la sanità non fossero diritti di tutti. In più essi non accettano nessuna regolamentazione di carattere globale. Condizionerebbe il mercato e gli interessi delle grandi imprese. La loro ricetta prevede invece soltanto iniziative specifiche che dovrebbero mettere insieme gli stati e quelle imprese private che in esse possono rinvenire un certo margine di interesse. Manca a questo vertice l’audacia della politica. Manca una visione umana della realtà. Un esempio per tutti. Nel 1977 le Nazioni Unite si erano prese l’impegno di dare la possibilità a tutti di avere l’acqua potabile e i servizi igienici entro l’anno 2000. Oggi si accetta che questo obiettivo, dimezzato, sia raggiunto nel 2015. Nell’ultima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, 52 stati su 53 hanno votato una risoluzione sull’accesso all’acqua e ai servizi igienici per tutti. Ma qui a Johannesburg non è possibile fare altrettanto perché pesa il veto degli Stati Uniti. Johannesburg, invece che Rio + 10, rischia di divenire così Rio – 10. E noi non possiamo accettare. Regna nel summit una sorta di pragmatismo efficientista che non permette nessuna progettazione. Tutto deve passare attraverso le compatibilità economiche degli stati e delle imprese. Ma la cosa che balza immediatamente agli occhi qui a Johannesburg è soprattutto il potere delle grandi imprese multinazionali. Esse hanno “occupato” il vertice e tentano di accreditarsi come interlocutrici credibili ed efficaci, al posto delle Organizzazioni non governative, come espressione dell’intera società civile. L’Onu ha pronto un elenco di circa 200 progetti, fatti in collaborazione tra imprese private e stati: Shell lancia un progetto di esplorazione di gas nelle Filippine; BMW il kit ecologico per le scuole in vista della possibile produzione della macchina a idrogeno; Axel Sprinter un programma per limitare l’inquinamento nella stampa dei giornali e via di questo passo. Niente di male se ciò non significasse condizionare l’impegno ambientale e i diritti delle persone agli interessi delle multinazionali. Una sensazione che appare chiara quando si entra nei luoghi di incontro. Sembra di entrare non in sedi destinate al dibattito e alla ricerca, bensì in spazi fieristici dove ogni grande impresa ha il suo stand pubblicitario. D’altra parte il piano d’azione rappresenta un vero e proprio passo indietro della sensibilità ecologica nei confronti delle esigenze del libero mercato. Molte volte in esso si dice che le decisioni degli stati in materia ambientale devono rispettare le regole del W.T.O (World Trade Organisation), che viene in questo modo posto al vertice della gerarchia delle norme internazionali. Johannesburg rischia di divenire il luogo dove in nome dello sviluppo sostenibile, si archivia per sempre ogni impegno ecologico e ogni politica sociale. Stare a questo gioco sarebbe rendersi complici di un sistema che antepone gli interessi ai diritti e mette il nostro presente e il nostro futuro nelle mani di chi ha a cuore solo i propri interessi.


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