Volontariato

Che cosa significa sostenere la pace oggi? Qualche annotazione

di Pasquale Pugliese


Lo scorso sabato 9 marzo sono stato invitato alla sessione di lavoro introduttiva dell’Assemblea nazionale della Rete della Pace, svoltasi a Bologna, insieme a Susanna Camusso, Alex Zanotelli e ad alcuni referenti delle organizzazioni che ne fanno parte, per provare a rispondere alla domanda “Che cosa significa sostenere la pace oggi?”. Ecco alcune annotazioni buttate giù per il mio intervento, già pubblicato sul sito di Rete della Pace

Il passaggio di fase e le questioni aperte

Il quattro marzo del 2018 è avvenuto nel nostro Paese un passaggio di fase che non tutti a sinistra hanno colto, ma con il quale il movimento per la pace, nel suo insieme, deve fare i conti. Sono rimaste aperte, ed anzi aggravate, tutte le questioni che erano già sul tappeto e se ne sono aggiunte delle altre che modificano sostanzialmente il contesto nel quale ci muoviamo. Nonostante diversi esponenti della forza politica maggioritaria oggi al governo abbiano frequentato spesso le nostre assemblee, dicendo di condividere le nostre campagne, i temi sui quali ci siamo spesi negli anni passati sono ancora tutti drammaticamente sul tavolo. Irrisolti.

Rimane il pericolo nucleare: gli scienziati del Bollettino atomico ci dicono che le lancette dell’Orologio dell’apocalisse sono ormai giunte a due minuti dalla mezzanotte nucleare, come nel 1953, nel periodo più pericoloso della corsa agli armamenti della cosiddetta “guerra fredda” per la sopravvivenza dell’umanità. E il nostro Paese non ha ancora ratificato il Trattato ONU per la messa la bando delle armi nucleari.

Rimane il tema del riarmo tout court: come certifica il SIPRI anno dopo anno, gli Stati nel loro complesso non hanno mai speso tanto dei loro bilanci per gli armamenti. Ed anche la rilevante spesa pubblica militare del nostro Paese non accenna a decrescere, compresa quella dei famigerati caccia F35, il cui programma di acquisto continua a procedere senza alcun ripensamento.

Rimane il boom (è proprio il caso di dirlo) dell’industria bellica internazionale e nazionale. Nonostante la crisi economica, il settore dell’export degli armamenti non ha mai tirato così tanto nel nostro Paese. Compresa la vendita dei missili della RWM Italia all’Arabia Saudita che li scarica sulla popolazione civile dello Yemen, in violazione della legge 185/90.

Quindi i temi portanti delle nostre campagne – condotti congiuntamente dalla Rete della Pace e dalla Rete Italiana Disarmo – rimangono tutti percorsi di lavoro da confermare e continuare: dalla messa al bando delle armi nucleari alla riconversione sociale delle spese militari, dalla riconversione civile dell’industria bellica alla difesa civile non armata e nonviolenta.

Il ritorno dell’ideologia del nemico interno

Tuttavia assistiamo adesso anche alla manifestazione esplicita dei livelli di violenza più profondi, sulla scala indicata da Johan Galtung, con l’esplicitazione – al di sotto della violenza diretta e della violenza strutturale – anche della violenza culturale, che non legittima più solo la guerra ma anche, di nuovo, la de-umanizzazione dell’altro. L’ideologia del nemico è tornata ad essere – come nel ventennio fascista – il paradigma della politica interna, oltre che di quella internazionale. Non dell’avversario politico ma del nemico antropologico, il differente da noi. Il meccanismo è quello che spiega anche Luigi Ferrajoli nell’articolo Il populismo penale nell’età dei populismi politici: “Tutti i populismi hanno bisogno di legittimarsi attraverso un nemico o meglio attraverso più nemici: nemici interni che complottano e nemici esterni come la Francia o l’Unione Europea o l’ONU; nemici in alto, rappresentati dalle élites e nemici in basso rappresentati dai migranti e dai soggetti devianti; nemici identificati con i precedenti governi e nemici identificati con le opposizioni. Aggressioni alle élites, razzismo, paura per i crimini di strada, vittimismo permanente sono gli ingredienti di questa logica del nemico.”

Da un lato il “decreto Salvini”, che ha come unico scopo quello di indicare in immigrati, profughi e richiedenti asilo il nemico pubblico da combattere e, dall’altro lato, la legge sulla cosiddetta “legittima difesa” che promuove la diffusione delle armi casa per casa, oltre a carpire consensi ignoranti – in un Paese che ha visto un crollo dalle migliaia di omicidi e rapine degli anni ’90 alle poche centinaia degli ultimi anni – l’unica sicurezza che promuovono davvero è quella dei produttori di armi e l’unica difesa efficace è quella dei loro profitti. Queste due leggi sono, dunque, il punto d’incontro dell’ideologia del nemico e degli interessi dell’industra bellica. Lo scenario che preparano e promuovono è quello degli USA dove quindici anni di guerra contro il nemico esterno in Iraq ha causato la morte di circa 5.000 soldati statunitensi mentre sul territorio interno si registra ogni anno la morte di circa 30.000 cittadini colpiti dalle armi da fuoco di nemici interni, cioè dal “fuoco amico” di altri cittadini statunitensi.

Che cosa significa sostenere la pace oggi?

Il problema vero è che queste politiche pseudo-securitarie, ma in verità contro-produttive rispetto al bisogno di sicurezza, riscuotono consenso: essere stati per tanti anni agli ultimi posti in Europa per spesa pubblica per l’istruzione e la cultura ed ai primi per spese militari sta dando i suoi frutti avvelenati.

Allora, in questo nuovo scenario, che cosa significa sostenere la pace? Che sosa può fare oggi il movimento per la pace? Intanto, ripartire dalla noviolenza ossia dalla risposta congiunta – e proattiva – a tutti e tre i livelli di violenza. L’impegno per la pace – ossia contro la violenza diretta della guerra – non può essere disgiunto dall’impegno per contrastare la violenza strutturale e decostruire quella culturale. “La nonviolenza” – ripeteva sovente Aldo Capitini, del quale abbiamo celebrato di recente i cinquanta anni dalla morte – “è apertura, ossia ricerca, appassionamento, amore all’esistenza, alla libertà ed allo sviluppo di ogni essere”. La nonviolenza è apertura di un orizzonte di senso radicalmente alternativo a quello attuale, che si concretizza nel ricominciare a maneggiare strumenti antichi – educazione, formazione, ma anche obiezione di coscienza e disobbedienza civile – insieme alla ripresa di strumenti moderni come la campagna “Un’altra difesa è possibile”. Operando per un disarmo culturale, prima che militare, come risposta culturale alla “legittima difesa”, per ribadire che l’unica difesa legittima è quella nonviolenta. Tanto sul piano internazionale che sul piano interno.

Con la consapevolezza che non ci sarà un vero cambiamento politico se prima non cambiamo il clima culturale e sociale di questo Paese, ricostruendo un livello minimo di civiltà ed umanità. E’ un lavoro di lunga lena che non darà risultati immediati, neanche sul piano elettorale.

E poi, la lezione di Italo Calvino

E poi bisogna ascoltare e mettere in pratica la lezione di Italo Calvino in conclusione de Le città invisibili: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Per esempio riconoscere, farlo durare e dare spazio al movimento europeo degli studenti contro il cambiamento climatico, vero antidoto ai sovranismi nazionalisti. Con il quale abbiamo molti obiettivi in comune e la responsabilità di accompagnarlo per far crescere la consapevolezza di questi giovani e giovanissimi che i loro [obbiettivi] sono complementari ai nostri – come tessere di uno stesso puzzle che costruisce il futuro – e i loro avversari sono anche i nostri. Donald Trump e Vladimir Putin, per esempio, apparentemente avversari tra loro ma uniti contro il futuro dell’umanità: l’uno – contraddicendo tutte le evidenze scientifiche e le catastrofi ambientali che si abbattono anche contro gli USA – considera i cambiamenti climatici una bufala inventata dagli scienziati; l’altro – trascurando le conseguenze che derivano dall’innalzamento dei mari – considera lo scioglimento dei ghiacciai artici un’opportunità per la Russia di sfruttarne i giacimenti petroliferi. Non è un caso che entrambi, oggi, stiano rimettendo in discussione anche il Trattato contro i missili nucleari a medio raggio in Europa siglato nel 1987 da Donald Reagan e Michael Gorbaciov al culmine delle proteste dei movimenti pacifisti di allora, che portò alla progressiva dismissione di quelle testate nucleari, contro le quali si batteva un’altra generazione di studenti. Che oggi, grazie a questi novelli Stranamore, rischiano seriamente di essere nuovamente dislocate contro le nostre teste.

Il movimento per la pace oggi, dunque, ha anche una nuova responsabilità educativa e formativa a beneficio di una nuova generazione di attivisti. Cioè di tutti.

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