Sono stato ad Auschwitz nell’agosto del 1990. Non c’erano ancora i Viaggi della memoria ne’ il Giorno della memoria (che sarà istituito dalle Nazioni Unite solo nel 2005), il muro di Berlino era stato abbattuto nel novembre dell’anno precedente, Tadeusz Mozowiecki era stato nominato da pochi mesi primo capo del governo polacco non comunista ed io ero uno studente di filosofia dell’Università di Messina. Con un gruppo di amici e compagni, con i quali avevamo partecipato durante qull’anno accademico al movimento studentesco della Pantera – approfittando di una convenzione tra l’università siciliana e le università polacche, che ci consentiva di dormire nelle sovietiche case dello studente – decidemmo di fare un viaggio estivo nella Polonia che muoveva i primissimi passi nella democrazia post-sovietica e nell’economia capitalista. La attraversammo per un mese da sud a nord, da Cracovia a Danzica, in treno con un biglietto interail. E, naturalmente, facemmo tappa anche al campo di sterminio che rese noto al mondo il paese di Oswiecim, Auschwitz in tedesco.
Il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz – il più grande di tutti i lager nazisti, con i suoi campi satelliti – fu liberato dagli increduli soldati dall’Armata Rossa il 27 gennaio del 1945. Ad essi si palesò, per la prima volta, un’autentica fabbrica della tortura e della morte. L’assurda messa in pratica tecnologica della follia della “soluzione finale”, dell’annientamento di un popolo, lo sterminio degli ebrei. E, insieme ad essi, di tutti coloro che il regime considerava alieni: omosessuali, zingari, testimoni di geova, antifascisti e dissidenti. Si calcola che nei lager nazisti morirono circa 17 milioni di persone, tra i quali 6 milioni di religione ebraica.
Un genocidio. Ma non l’unico, ne’ il primo, ne’ quello che ha realizzato il maggior numero di morti nella storia degli stermini dei popoli. La modernità occidentale si fonda su un altro genocidio, ormai praticamente dimenticato: quello dei nativi americani, 80 milioni di persone sterminate dalle armi e dalle malattie dei conquistatori europei, a partire dal 1492. E poi ci furono gli stermini e i campi di concentramento della colonizzazione bianca in Africa, il genocidio degli armeni perpetrato dall’impero ottomano… e via elencando, fino ai giorni nostri. Eppure, i lager nazisti sono stati la più scientifica ed efficace organizzazione per la distruzione di massa delle persone e della loro umanità: la pianificazione della fabbrica della disumanità, l’esplorazione di tutte le possibilità della riduzione delle persone a cosa, il paradigma del male. Questa è l’impressione che ne ebbi anch’io, visitando Auschwitz, senza aver ancora letto Primo Levi.
Tuttavia, il Giorno della memoria oggi non può essere un rito collettivo di purificazione da un male assoluto, ma ormai passato; non può riguardare solo la memoria di una immane tragedia storica. Nei giorni del presente rivivono elementi di quel male e di quella storia contro i quali bisogna ancora lottare, qui ed ora. Non solo il ritorno anche in Italia della mitologia della razza, come elemento del “confronto” politico, a 80 anni dalle leggi razziali fasciste; non solo il ritorno in Europa di organizzazioni che sempre più esplicitamente hanno il nazismo come riferimento ideologico, mietendo consenso tra i più giovani; ma anche le guerre, la corsa agli armamenti, le pulizie etniche, i lager che in gran parte del pianeta citano tragicamente – direttamente o indirettamente – quell’orrore infinito. Dalla Siria al Myanmar, dalla Palestina alla Libia, dal Congo all’Eritrea, dai naufragi dei disperati nel Mediterraneo ai profughi congelati lungo le rotte dei Balcani: questi giorni del nostro presente saranno i giorni della memoria dei nostri figli domani. Ed anche alla nostra generazione sarà chiesto – com’è stato fatto con chi si è girato dall’altra parte dei fumi neri dei camini dei lager – ma voi dove eravate?
Infine, il presidente Mattarella ha fatto bene a ricordarlo in questi giorni: razzismo, guerra e retorica bellicista non furono episodici ma costitutivi del fascismo. Così come del nazismo. Per questo oggi una coerente politica antifascista non può che fondarsi sulle categorie opposte dell’antirazzismo, dell’antimilitarismo e dell’educazione alla pace ed alla convivenza. Per costruire una società solidale e nonviolenta, ossia culturalmente e strutturalmente liberata dagli elementi profondi di fascismo. Questo i costituenti italiani lo avevano chiaro. Le forze politiche, che hanno governato e che si candidano a governare il Paese, molto meno.
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