Volontariato

L’anno che verrà sarà l’anno della Prossimità

di Dino Barbarossa

Ci stiamo lasciando alle spalle un nuovo anno complicato, potrei dire che il 2021 ha confermato il grave pericolo in cui si trova l’umanità, stretta fra la bramosia di potere e la fragilità imposta dalla pandemia.

“Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”, ha tuonato Papa Francesco già a marzo 2020, ma La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte false sicurezze”.

Non sappiamo ancora se, come e quando ne usciremo, ma certo non stiamo facendo tutto quanto è necessario per uscirne. Forse lo si sta facendo sul fronte sanitario, in una logica ancora emergenziale, ma altre sono le emergenze politiche, economiche e sociali che rimangono tali e su cui le scelte sono deboli o nulle.

Pensiamo alle emergenze umanitarie sempre più ampie in tutto il mondo, a quelle che provocano disastri ambientali e carestie, alle scelte mancate per una conversione ecologica, alle scelte di consumo del suolo che stanno impoverendo gli ecosistemi di gran parte del pianeta.

Ma più di tutto, ciò che manca al mondo di oggi è la Pace e dove manca la pace perde slancio la Speranza e dove manca la speranza l’odio prende il sopravvento.

Nel messaggio in occasione della Giornata mondiale per la Pace 2022, Papa Francesco indica come “In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati”.

C’è un enorme bisogno di costruire ponti e alimentare la fraternità, occorrono strumenti nuovi per una Pace duratura.

L’antidoto per realizzare un mondo di Pace e superare l’odio, le inimicizie, i conflitti fra interessi, le guerre, le carestie e le pandemie nella mia visione è la Prossimità.

Già, la prossimità, lo sguardo su chi ci è vicino per costruire un mondo più giusto. Vivendo la dimensione della fraternità, si apre una reciprocità nella relazione di aiuto, si entra nel “Cuore della prossimità”. Andando oltre il “servizio”, la “prestazione”, la “cura”, c’è lo spazio per costruire percorsi di recupero della dignità perduta rigenerando la speranza, ricostruendo la vita frammentata.

Siamo tutti dentro il perverso meccanismo secondo il quale la vita di una persona va “pesata” ed in base al “peso” ha un valore diverso. E chi ha un peso minore, viene scartato, isolato, escluso. L’antidoto alla solitudine è la Prossimità, perché la prossimità costringe alla relazione, con la prossimità nessuno è più solo. La prossimità sconfigge l’indifferenza e apre ad un modo nuovo di vedere chi incontri lungo la strada. Non vedi più uno sconosciuto, ma una persona. La guardi negli occhi ed in qualche modo ti specchi in quello sguardo.

È qualcosa di rivoluzionario, di diverso da quella indifferenza, che, paradossalmente, non è il contrario di differenza e però è la cifra della civiltà moderna, quella in cui camminiamo a testa in giù (ci vergogniamo o stiamo chattando) o a testa in su (siamo altezzosi o stiamo sognando). Comunque la mettiamo, non guardiamo più negli occhi nessuno, ma ci arroghiamo il diritto di indicare l’altro come diverso e quindi inferiore. L’indifferenza coinvolge il concetto di libertà, poiché nella condizione di disinteresse viene a mancare la volontà che decide la scelta.

Non è semplice vivere la “Prossimità”, anzi è un’impresa fuori dal comune, davvero è orientata al bene comune, dentro cui c’è anche il mio bene.

Il bene è contagioso, genera bene, non servono muri né barriere. Basterebbe prenderne coscienza, perché «questi confini che stiamo costruendo con le persone presto diventeranno muri invalicabili, un’incapacità di produrre: tutto ciò che va via perché è mancata un’equa distribuzione delle risorse, impoverisce».

Un processo che porta ad essere indifferenti nei confronti delle tante persone che incontriamo per strada e che vediamo dormire sotto un ponte, chiedere l’elemosina. La povertà è una realtà che ad un certo punto ci dà persino fastidio, perché sono tante, e sono sempre di più. «Non ci rendiamo conto che il povero è il prodotto della nostra indifferenza» e vogliamo rimuoverlo. Invece dobbiamo affrontarlo ed affiancarlo, dividendo con lui il nostro cammino.

C’è allora un grande spazio per la “prossimità”, anche perché c’è del bene nel cuore di ogni uomo, anche di quello che appare più distante dal battito del cuore. Se la persona incontra chi gli da fiducia, non ha più bisogno di altro.

Rifletto da un po’ di tempo sulla possibilità che i concetti dell’economia circolare si applichino alle persone, particolarmente a quelle che l’economia capitalistica ha posto ai margini.

Nonostante la crescita inesorabile della povertà nel mondo e nonostante sia evidente l’iniquità dell’attuale sistema economico, sembra complicato operare in termini di circolarità e di rigenerazione se lo scarto della comunità è una persona.

Il nostro è un tempo in cui la dignità e i diritti della persona vengono “monetizzati”, prescindendo dalle ragioni per cui quella persona si trova ai margini e difficilmente si indicano strade che producano un cambiamento di vita e di relazioni. Questa “visione” di Welfare è destinata al fallimento, anzi è già fallita. E’ insostenibile per qualsiasi economia pubblica e incrementa la cultura dello scarto invece di combatterla, la rende strutturale.

Le esperienze di prossimità, unici veri antidoti alla crisi umanitaria in corso, indicano come serva sostituire la dimensione quantitativa con quella qualitativa e solo il recupero e il coinvolgimento delle persone più fragili può far germogliare il seme della generatività.

Per ogni persona, essere protagonista della costruzione della propria vita, nonché assumersi responsabilità nel contesto familiare, comunitario e sociale costituisce una cosa profondamente diversa rispetto a ricevere quanto serve per sopravvivere come “assistito”.

La strategia è quella della circolarità e della mutualità attuata attraverso reti territoriali d’intervento che, mosse e promosse con e per i cittadini, mettono insieme tutte le opportunità che sinergicamente i cittadini, il privato sociale organizzato e le Istituzioni possono mettere in campo .

Un meccanismo di “promozione dal basso” e diretto coinvolgimento dei beneficiari nelle azioni che possono rispondere ai loro bisogni.

La leva di questa strategia spesso è la riqualificazione di luoghi “sensibili” con azioni di prossimità, che promuovono nuove forme di partecipazione civica e sensibilizzano i cittadini e le famiglie a diventare protagonisti del cambiamento, della rigenerazione dei luoghi che abitano.

Ogni persona diventa risorsa, in una logica economica in cui il moltiplicatore di benessere è esponenziale, non più aritmetico ma ritmato.

È tempo di investire di nuovo sulle persone, sul vero “capitale sociale” delle Comunità, un investimento che si nutre di conoscenza e di fiducia, un’economia che rimette al centro le persone che da scarti diventano protagonisti di nuova vita.

Per fare questo bisogna scegliere di camminare insieme, investire nella relazione e impiantare semi di fiducia.

La Prossimità, insomma, è una cosa seria, forse davvero il metodo per contrastare l’esclusione e trasformarla in una relazione generativa.

Quello che ho compreso sulla prossimità è che bisogna attraversare il deserto per vivere l’incontro, per vivere la prossimità e provare a condividerla, farla diventare metodo. Essere nel deserto vuol dire accorgersi di chi, ai lati della strada, è più disperato di noi, più solo di noi; vuol dire vivere la prossimità. Nel deserto, infatti, la prossimità è come più immediata, perché si comprende il bisogno di chi è più solo di noi” (card. Carlo Maria Martini)

“E che siano sempre più numerosi – finisco ancora con parole di Papa Francesco nel messaggio in occasione della Giornata mondiale per la Pace 2022 – coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace”, che si fanno prossimi per essere rivoluzionari artefici di pace.

* riflessione pubblicata su Interris

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