Come noto, entro il 3 agosto 2019[1], ODV, APS e ONLUS sono chiamati ad adeguare i propri statuti alle nuove norme del Codice del Terzo Settore (art. 101, comma 2).
Che significato ha questo termine e quali conseguenze implicherà?
Le riflessioni che seguono sono il frutto dei ragionamenti svolti in un recente Convegno a Bergamo e del fruttuoso confronto con professionisti e studiosi che si occupano da tempo della materia.
Vista l’importanza e l’imminenza del 3 agosto, ritengo utile cominciare a mettere a fattore comune questi ragionamenti.
Ma, ancora di più, mi preme lanciare un segnale d’allarme sulla necessità di un chiarimento del quadro normativo complessivo la cui farraginosità, complessità e contraddittorietà rischia ora di ripercuotersi gravemente sugli enti del Terzo Settore italiano interessati da una riforma giusta che necessita di essere completata!
Cercando di esemplificare al massimo ragionamenti molto tecnici e complessi, direi che, attualmente, esistono due orientamenti interpretativi: uno più prudenziale e basato sul rigore letterale della norma; e l’altro più “temerario” e sistematico.
Secondo il primo orientamento, il predetto termine avrebbe natura esclusivamente “procedimentale”, consentendo agli enti adempienti di valersi del quorum assembleare semplificato per l’approvazione delle relative modifiche.
Per un secondo orientamento, il predetto termine avrebbe natura sostanziale, determinando, a monte, la perdita della relativa qualifica e, a valle, delle agevolazioni fiscali e civilistiche connesse.
In attesa di un intervento chiarificatore del legislatore o delle amministrazioni coinvolte, direi che l’unica cosa da fare sia avere presenti entrambi e, volenti o nolenti, operare una scelta strategica, assumendosene le relative responsabilità.
Nei prossimi giorni cercherò di meglio esplicitare gli elementi argomentativi a favore del primo e del secondo orientamento; da ultimo, cercherò di analizzare le conseguenze per le differenti ipotesi e situazioni: ODV, APS e ONLUS; enti che si adeguino, che non si adeguino, che si costituiscano ex novo, ecc.
Gli enti naturalmente orientati ad un atteggiamento prudenziale dovrebbero essere innanzitutto quelli più organizzati e con maggiori risorse patrimoniali, visto il rischio incombente dell’obbligo di devoluzione dell’intero patrimonio in caso di perdita della qualifica[2].
Ma anche enti più piccoli, ad esempio costituiti nelle forme delle tante associazioni prive di personalità giuridica, dovrebbero essere accorti. Proprio a causa del loro generalmente scarso patrimonio, potrebbero esporre i propri rappresentanti al rischio di una responsabilità solidale per eventuali debiti, anche erariali, derivanti dalla perdita della qualifica e delle agevolazioni nel frattempo godute, laddove prevalesse la tesi maggiormente rigorista[3].
Quale che sia l’interpretazione prescelta, occorre evidenziare la farraginosità del sistema di diritto transitorio fatto di norme contraddittorie che: abrogano, ma non tutto e non subito; modificano le norme del passato, ma a partire da un futuro incerto nell’an, nel quando e nel come; applicano fin da subito alcune norme nuove, ma non tutte; dispongono dell’entrata in vigore di altre, ma subordinandone l’efficacia all’emanazione di norme integrative ancora non emanate.
Su tutto questo sistema pesa, come una spada di Damocle, l’incognita dell’autorizzazione UE alle misure agevolative previste. Una partita tutt’altro che scontata, ma ancora neppure avviata[4]!
A fronte di questo quadro, è comprensibile l’incertezza e lo smarrimento del Terzo Settore italiano: pilastro portante della vita della Repubblica, come ricordato anche recentemente dal Presidente Mattarella,.
Ad esso si chiedono scelte strategiche importanti, al fine di adeguarsi ad assetti organizzativi più moderni e funzionali che la Riforma voleva agevolare.
Ma come si fa ad adeguarsi a qualcosa di cui ancora non si afferra la forma finale? In cambio di agevolazioni della cui legittimità (soprattutto europea) non si ha ancora certezza.
Come si fa, ad esempio, a trasformarsi in impresa sociale[5] se le agevolazioni[6] che dovrebbero suffragare quella scelta non sono ancora operative. E senza sapere se mai lo diverranno, essendo ancora sub iudice di un procedimento autorizzativo non ancora avviato.
Non basta aver prorogato la data iniziale prevista dall’art. 101, comma 2, del Codice.
Occorreva impiegare quel tempo per chiarire, sul piano normativo e amministrativo, il quadro complessivo entro il quale muoversi.
Il rischio, se non fosse abbastanza chiaro a tutti, è serio.
Chi di dovere, deve ora impegnarsi al massimo livello per affrontare e risolvere i tanti dubbi e problemi presenti sul tavolo.
Rispetto a questi adempimenti, il tempo è già scaduto!
[1] Salvo proroghe ulteriori, rispetto a quella già concessa con il c.d. “correttivo” del 2018.
[2] Vedi, in particolare, il caso delle Onlus.
[3] Con efficacia ex tunc della perdita della qualifica e delle agevolazioni connesse per quegli enti che non si adeguino entro il 3 agosto 2019.
[4] Ad oggi non si ha ancora notizia della comunicazione ufficiale da parte del Governo italiano.
[5] Si pensi alle scelte strategiche che investono quegli enti market oriented. Sul punto, per approfondimenti, sia consentito il rinvio ad A. Mazzullo, Diritto dell’imprenditoria sociale. Dall’impresa sociale all’impact investing, Giappichelli, 2019.
[6] Tra tutte, la de-fiscalizzazione totale degli utili alle condizioni di cui all’art. 18 del d.lgs. 112 del 2017.
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