È abbastanza comune che aziende leader o che ambiscono a diventarlo sostengano l’impegno sociale dei loro collaboratori. Ciò avviene, di norma, permettendo loro di fare volontariato durante l’orario di lavoro o incrementando le loro donazioni per progetti di utilità sociale. Una simile decisione non nasce solo per conseguire benefici di immagine e non è certo espressione di un astratto altruismo. Essa nasce dalla constatazione che questa attenzione rientra nel welfare aziendale in quanto contribuisce a migliorare la qualità della vita dei dipendenti, dà loro la convinzione di appartenere ad un’organizzazione di cui essere fieri, aumenta sensibilmente la loro produttività.
Queste constatazioni, che sono essenzialmente empiriche, mostrano come il donare sia una profonda esigenza umana. Non si dona solo per dovere o per senso di responsabilità, si dona perché siamo esseri umani e abbiamo bisogno di donare per esprimere la nostra umanità. Poter sperimentare la stupefacente esperienza del dono diventa fondamentale per vivere un’esistenza degna di essere vissuta e rispondere così ad alcuni bisogni imprescindibili della persona: il bisogno di senso, il bisogno di relazioni, il bisogno di emozioni; bisogni che la modernità non sembra in grado di soddisfare in modo adeguato.
Sulla base di queste considerazioni potrebbe essere opportuno per un’azienda iniziare a chiedersi se, all’interno della sua strategia di welfare aziendale, non possa trovare posto anche un’attività volta ad offrire servizi filantropici ai propri dipendenti. In pratica si tratta di mettere a loro disposizione un’infrastruttura che abbia come compito quello di aiutarli a vivere al meglio l’esperienza del dono, permettendo, anche a chi mezzi modesti, di usufruire di tutti i servizi filantropici che un tempo erano riservati soli ai ricchissimi.
Donare non è affatto così semplice come si potrebbe immaginare, soprattutto se esso non è solo un atto di rinuncia, ma mira a conseguire un obiettivo concreto, sia esso un qualche specifico impatto sociale, la costruzione di una relazione vera perché non strumentale, la possibilità di sperimentare un’emozione autentica, perché libera da secondi fini. In una società in cui l’impegno politico si rivela sempre più insoddisfacente, il dono può rappresentare una concreta modalità attraverso la quale il singolo può dare un reale contributo alla definizione e realizzazione del bene comune e quindi esercitare quel diritto/dovere di cittadinanza che una crescente maggioranza di italiani sentono di non riuscire più a concretizzare attraverso l’elettorato, sia esso attivo che passivo.
Le modalità che le imprese possono utilizzare per aiutare i propri dipendenti a donare sono molteplici. Ciò può essere fatto anche cercando sinergie con gli obiettivi aziendali. Per esempio, si può valorizzare il volontariato come modalità per rafforzare lo spirito di squadra o per sviluppare particolari competenze nella gestione di situazioni complesse. Inoltre è possibile incrementare le donazioni dei propri dipendenti a favore di specifiche iniziative di utilità sociale che, in coerenza coi principi del valore condiviso, possano contribuire ad incrementare la creazione di valore da parte dell’azienda.
Per chi non vuole correre il rischio che la ricerca di una sinergia fra gli obiettivi aziendali e le donazioni dei collaboratori possa apparire un tentativo di strumentalizzazione, esiste la possibilità di offrire servizi filantropici assolutamente neutri, in cui l’unico obiettivo è quello di assistere il dipendente nel perseguimento dei suoi obiettivi filantropici. Oltre all’ormai classica e relativamente diffusa integrazione delle donazioni dei propri dipendenti è oggi possibile, per un’impresa:
- mettere a loro disposizione una struttura fiscalmente efficace che possa gestire campagne comuni di raccolta rendendo trasparenti e rendicontabili tutti i passaggi di denaro;
- favorire le donazioni attraverso la busta paga;
- permettere la creazione di fondi personali da parte di singoli dipendenti che desiderano avere gli stessi vantaggi di una propria fondazione;
- fare delle verifiche preventive sui progetti che i dipendenti vogliono sostenere così da tutelarli da eventuali truffe;
- assistere i dipendenti dell’individuazione di progetti coerenti coi loro ideali e i loro obiettivi;
- raccogliere la documentazione relativa a quanto è stato realizzato con le loro donazioni e quindi metterla a disposizione di tutti gli interessati;
- creare le condizioni affinché i dipendenti possano, senza sforzi, massimizzare i benefici fiscali collegati alle proprie donazioni e nel contempo essere assolutamente protetti da qualsiasi contestazione da parte dell’amministrazione fiscale;
- offrire l’opportunità di creare fondi specifici a favore di singoli soggetti svantaggiati, spesso parenti dei propri dipendenti, aventi bisogno di particolari cure e di specifiche forme di assistenza;
- dare la possibilità di usufruire di una piattaforma di crowdfunding che consenta anche di collegare ai progetti scelti dai propri dipendenti, dei personal fundraiser.
Si tratta di servizi molto innovativi e sostanzialmente inediti, ma che oggi tutte le aziende italiane, indipendentemente dalla propria dimensione, possono, senza particolari, sforzi, offrire ai loro dipendenti. Per conseguire questo obiettivo non è necessario dotarsi di strumenti particolari o sviluppare internamente competenze che, peraltro, sono alquanto rare nel nostro Paese. È infatti sufficiente dar vita ad una partnership con un intermediario filantropico, quali alcune fondazioni di comunità come, per fare qualche esempio, quella di Como, Lodi, Novara e, a livello nazionale, la Fondazione Italia per il Dono le quali sono nate proprio per assistere chiunque voglia promuovere il dono, nella convinzione di come esso possa avere un ruolo fondamentale nella costruzione di una società che sia veramente umana.
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