Famiglia
Fermate la palla!
Il calcio è malato. Ma senza calcio non si va avanti. Con questo ricatto le grandi società stanno cercando di chiudere una gestione fallimentare senza pagare. Ma così non va.
di Marco Vitale
Avevo deciso di non intervenire più in materia, perché quando una crisi viene cavalcata e le degenerazioni vengono denunciate da chi le ha generate, per le persone serie è venuto il momento di stare zitte.
Ma negli ultimi tempi il dibattito si è allargato su temi di carattere generale anche con contributi seri di persone serie provenienti o legate al mondo del calcio (Rivera, Bierhoff, Mazzone, Tosatti), ma, al contempo, con interventi, di una tale sguaiatezza e insensatezza da non poter essere lasciati correre, perché rischiano di diventare fattori di inquinamento intellettuale e morale gravi.
Il vertice dell?orrore si è realizzato quando la Lega (presieduta da un dipendente di Berlusconi) ha chiesto al Governo (cioè a Berlusconi) il riconoscimento dello stato di crisi del settore per ottenere aiuti fiscali e finanziari. Quest?orrore è composto da vari fattori:
? l?idea stessa che un gruppo di persone così importanti come i presidenti delle squadre di Lega, molti dei quali si definiscono imprenditori, abbia potuto (all?unanimità) avanzare questa proposta, senza vergognarsi;
? il groviglio di conflitti di interesse nell?ambito dei quali l?intera vicenda si muove;
? gli argomenti sviluppati per sostenere la richiesta.
Sport a impatto sociale?
E’ necessario discutere e contestare brevemente questi quattro argomenti.
Eccoli.
1 Il calcio sarebbe un ?benefattore? dello Stato perché sul monte stipendi che paga corrisponde ( o dovrebbe corrispondere) l?ammontare di imposte e contributi dovuti sugli stipendi, per cui tirato il saldo, lo Stato sarebbe debitore verso il mondo del calcio. Come lo è della Fiat, della Montedison, di Benetton, di un?orchestra sinfonica e di chiunque, avendo dei dipendenti, effettua le ritenute di legge a carico dei dipendenti stessi. Vergogna! Ci dovrebbe essere un limite alle parole in libertà.
2 Il calcio va aiutato perché è un fatto sociale. Che cosa è sociale? Basta per essere sociale che interessi tanta gente (gente peraltro che paga regolarmente il prezzo non modesto dei suoi biglietti e che permette alle società managerialmente gestite in modo corretto di fare quadrare egregiamente i propri bilanci come Juventus e Manchester dimostrano?) o nella definizione di ?sociale? è implicito un fatto educativo, formativo, di divertimento sano, che abbia in sé qualcosa di esemplare, di utile alla gente e alla sua crescita. E per aiutarlo è sufficiente che i suoi conti non quadrino in qualunque modo o è prima necessario dimostrare che i suoi costi non siano gonfiati, che la sua gestione sia esemplare, che gli sforzi per coinvolgere il maggiore numero di spettatori sia stato fatto, che si valorizzino i giovani e le nuove energie? Lo sport è, in generale, sociale e va aiutato soprattutto nelle sue componenti più deboli per scarsità di pubblico, e nelle sue eroiche società amatoriali. La musica è sociale, e deve sempre lottare con la scarsità di pubblico legata all?assenza di qualsiasi educazione musicale nella scuola italiana (tuttavia un giorno, se troverò il tempo, scriverò dei teatri lirici dove si verificano, sia pure in piccolo, fenomeni che hanno qualche analogia con il mondo del calcio). Questo calcio-spettacolo, che ha preso corpo negli ultimi venti anni, sotto la spinta iniziale del Milan di Berlusconi, non è sociale. È antisociale ed antieducativo. È un?educazione alla violenza, allo sperpero, al divismo, all?affarismo, alla corruzione (nella seduta di Lega che ha deciso di chiedere lo stato di crisi sembra che uno dei presidenti abbia detto: «Dai ragazzi non facciamo finta di niente; lo sappiamo bene che tutte le società presentano bilanci falsi? e sappiamo anche che i giocatori li pagano in nero». Lui lo ha detto, non io!). Questo calcio, lungi dall?essere aiutato, va cambiato, rifondato, proprio perché è antisociale. Un governo attento alla crescita civile della popolazione dovrebbe approfittare della crisi per fare di tutto per cambiare profondamente questo calcio. Facciamo un test. Dite il nome di qualche campione odierno che vorreste indicare come esempio sportivo ed umano per i vostri figli. A me non ne viene in mente nessuno, ma se la domanda è rivolta al non lontano passato tanti nomi si affollano: Facchetti, Picchi, Riva, Rivera, Zoff, e più lontani nel tempo, Valentino Mazzola, Piola. No. Questo calcio non va aiutato, non solo perché il suo dissesto è frutto quasi esclusivamente di mismanagement, di corruzione, di tangenti, di retrocessioni (e che sia diretto da persone che si definiscono imprenditori è solo una pagina vergognosa per questa altrimenti benemerita categoria), ma perché è profondamente antisociale e profondamente diseducativo.
3 I compensi dei calciatori sono frutto di legittimi contratti e sono quindi il rispettabile e da rispettarsi risultato del mercato. L?argomentazione è stata sostenuta da parecchi calciatori ed ha una sua parvenza di verità. Ma è errata. Essa sarebbe corretta solo se dall?insieme dell?attività i conti delle società risultassero in equilibrio. Ma quando i clienti (i ricavi) non sono sufficienti ad equilibrare i costi, compensi esagerati non sono frutto del mercato, ma del mismanagement. La recente vicenda Ronaldo -Real Madrid – Inter è esemplare. Alle ?nostre? condizioni neppure il Real Madrid è disposto a comprare un campione del mondo. E il mercato interno, a queste condizioni, si è quasi congelato. Ed è un dato di fatto, confermato da un recente studio effettuato dall?Università di Navarra, che i giocatori che giocano in Italia sono, in media, i più costosi del mondo. Hanno ragione i giocatori a dire che loro non sono responsabili di questa situazione squilibrata. La responsabilità è tutta ed esclusivamente del management (che è chiamato professionalmente a tenere in mano l?equazione costi-ricavi). Questa responsabilità non consiste tanto nei compensi altissimi ai grandi campioni, ma nell?avere portato i compensi (e i connessi prezzi) per i giocatori medi ordinari, a livelli molto più alti, per fare un esempio, della Germania. Qualche anno fa una squadra di C1 era disponibile a cedere a una grande squadra un giovane promettente per 500 milioni di vecchie lire; l?esterrefatto presidente si sentì offrire all?inizio della trattativa 1.5 miliardi di lire. Questo fenomeno è troppo vistoso ed eclatante per essere spiegato solo con errori e superficialità. Io credo che, nel fondo, vi siano ragioni più concrete, legate agli interessi personali dei gestori e degli intermediari. Hanno anche ragione i giocatori a dire che i contratti vanno rispettati. Ciò è verissimo in linea di principio. Ma quando l?impresa per cui lavori barcolla è normale che tra i dirigenti e l?impresa e tra i sindacati dei lavoratori e l?impresa si rinegozino i termini di un?equazione che non sta più in piedi, anzi che, nel caso di specie, non è mai stata in piedi. Ma se è vero che secondo il citato studio dell?università di Navarra delle dieci società più ricche del mondo ben cinque sarebbero italiane, ha qualche fondamento la tesi dei giocatori che i contratti vanno comunque rispettati. In sostanza, questa è una loro faccenda personale con i presidenti. Ed è una semplice questione di forza contrattuale, non di moralità. Che il calcio nel suo insieme ritrovi nuovi e più sani equilibri è una faccenda di interesse collettivo. Il rispetto o la rinegoziazione dei contratti in essere è pura questione privata tra calciatori e presidenti almeno sino a quando ciò non porti a procedure concorsuali. Ma io credo che abbia ragione Olivier Bierhoff, che non è solo un giocatore di qualità, ma è preparato in economia aziendale ed ha visto simili crisi in atto anche in Germania quando dice «i calciatori delle società in crisi devono accettare tagli agli ingaggi, anche nel caso di contratti pluriennali già firmati. All?estero già succede: al Borussia Dortmund, per esempio tagliano gli stipendi del 15% e non danno più premi? La situazione è difficile, ma ci sono i mezzi per risolvere i problemi. Il calcio italiano deve mettere in preventivo tre quattro anni di forte ridimensionamento, poi facendo ricorso alla sana gestione tutto andrà a posto».
4 Alla fin fine i soldi sono dei presidenti e questi possono farne quello che vogliono. Questa tesi, che è stata sostenuta nel corso del dibattito da persone anche autorevoli, è un?autentica perversione intellettuale e morale. Innanzi tutto chi dirige un?impresa, anche quando il capitale investito nell?impresa fosse tutto suo, non può mai farne quello che vuole. Un?impresa è sempre un soggetto collettivo, che richiede di essere gestito correttamente e professionalmente e che, proprio per permettere la verifica di ciò, deve, periodicamente, dare conto di come è stato gestito, attraverso i suoi bilanci. Nessun soggetto che opera come soggetto della vita economica, attraverso un?impresa, è libero di fare quello che vuole con i ?suoi? soldi investiti nell?impresa. Un?impresa è cosa sostanzialmente diversa dai ?suoi soldi?. Ma la verità è che i soldi investiti in un?impresa di calcio non sono mai solo i ?suoi? soldi. Anche prescindendo dalle società quotate che devono rispettare i soci di minoranza ed il mercato, molti altri club hanno pluralità di soci che devono essere rispettati. E la maggioranza dei soldi vengono dalle banche cioè dai risparmi della gente. Se le banche diventassero un po? più serie nella concessione dei fidi, per questa via, cioè da un sistema bancario più severo, più, per così dire, normale, il mondo del calcio riceverebbe un grande impulso verso il risanamento. E se la vigilanza della Banca d?Italia aiutasse questo processo non farebbe che la metà del proprio dovere. Con che logica, ad esempio, banche importanti hanno recentemente sottoscritto aumenti di capitale di società in difficoltà? Avrebbero fatto lo stesso con un onesto imprenditore sconosciuto?
Cambiare i vertici
Fortunatamente il comportamento dei membri competenti del Governo sembra, per ora, serio e severo. Ma, ne sono certo, gli aiuti governativi verranno. Caduta la tensione e l?attenzione esasperata, risolte, in qualche modo, le questioni televisive, affidato l?affaire a mani meno grossolane e presuntuose, gli aiuti governati, in forma mascherata e discreta, verranno. Sarebbe contro natura che ciò non avvenisse con un governo peronista, E, forse, la cosa non sarebbe del tutto sbagliata, se si realizzassero contestualmente le seguenti condizioni:
? che l?intervento del Governo sia subordinato ad un piano di risanamento di durata almeno quinquennale che porti la struttura economica e patrimoniale delle squadre ammesse ai vari campionati a livelli sani;
? che il top management del calcio venga totalmente cambiato (è una condizione questa ovvia e generalmente applicata quando si sostengono piani di ristrutturazione aziendali o settoriali);
? che si stabiliscano delle relazioni rigide di bilancio tra fatturato e patrimonio netto e fra debito totale e patrimonio netto e che si affronti il problema dei bilanci falsi e dei pagamenti in nero;
? <> venga inserito in un ridisegno generale dell?organizzazione dello sport italiano.
A cinque condizioni
Molte le cose da fare, dunque, e non semplici. La partita non è di qualche milione di euro in più o in meno sui contratti televisivi, ma è quella di non perdere l?occasione per ricondurre il mondo del calcio a comportamenti e modi di essere socialmente ed economicamente responsabili.
Per questo, anche se è giusto partire con un piano triennale, tre anni non saranno sufficienti. Ce ne vorranno cinque. Ma perché ciò avvenga sono necessarie forti pressioni esterne. Il mondo del calcio è troppo ingarbugliato e incartato per fare da solo. Le principali possono essere le seguenti:
? L?intervento tempestivo della magistratura nelle situazioni di dissesto e, per far emergere l?economia nera la cui esistenza sarebbe stata, recentemente, denunciata anche in sede di Lega.
? Il riportare i grandi rapporti economici nell?ambito delle regole di mercato, come hanno fatto correttamente sia la Rai che le televisioni private, alle quali il mondo del calcio deve essere estremamente grato per questo (con l?occasione si può anche formulare l?auspicio che la RaiSport dedichi più spazio agli altri sport. Meno calcio e miglior calcio farà bene al calcio. Trasmissioni piene di chiacchiere e di divismo e con pochissime immagini sportive, condite da soubrette con le tette al vento e manifestamente ignoranti di calcio, non giovano al calcio-sport e fanno solo un pessimo spettacolo di calcio-spettacolo).
? Il riportare tutte le banche a concedere gli affidamenti secondo la rigorosa ortodossia bancaria e non in funzione di amicizie personali e politiche. Mi auguro che qualche parlamentare si faccia promotore di una richiesta alla vigilanza della Banca d?Italia di un rapporto informativo al parlamento sulla reale situazione debitoria consolidata delle società di calcio, dei loro presidenti, delle società, attraverso le quali i presidenti controllano le società di calcio.
? Degli intelligenti interventi organizzativi e istituzionali. Personalmente sono d?accordo con Sergio Campana quando afferma che il male del calcio iniziò quando i Club si trasformarono in S.p.A. Credo, però, che tornare indietro sia impossibile. Ciò non toglie che è necessario cambiare la governance di queste società. L?attuale crisi è anche la crisi delle loro governance. Mettere ordine nelle governance di queste società non è né facile né sufficiente. Ma è indispensabile.
Ma alla base di tutto è necessario che il mondo del calcio vero, che quelli che ancora amano il calcio, che la parte sana del pubblico dei tifosi, dei giocatori, degli allenatori che non vogliono che il calcio faccia la misera fine di un altro grande sport popolare come il ciclismo, presti attenzione, ragioni, faccia sentire la sua voce non solo nei momenti di crisi. L?offesa ai tifosi ha già raggiunto il suo massimo con la finale Juve – Parma giocata in Libia. Questo è un calcio che, per denaro, è pronto a fare a meno dei tifosi. Ma offesa ai tifosi è stata anche la squallida esibizione della nazionale ai campionati del mondo, subito confermata dalla tristissima partita Italia Slovenia, pasticcio che è servito solo come occasione per far scontrare gli estremisti sloveni da una parte e i fascisti italiani dall?altra in una tragica assenza non di bel gioco ma più semplicemente di gioco del calcio. Se vogliamo che il calcio ritorni ad essere un fatto sociale dobbiamo prima di tutto contribuire a far sì che ritorni ad essere gioco del calcio. Per questo noi diciamo agli squallidi personaggi che lo governano: incominciamo almeno con lo smettere di dire sciocchezze!
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