Non profit

L’intermediazione filantropica: gli strepitosi risultati di Fidelity Charitable

di Bernardino Casadei

Fidelity è una delle principali società di investimento americane che ormai trenta anni fa (1991)ha costituito il primo intermediario filantropico creato da un ente commerciale. Si è trattato di un’intuizione geniale che, soprattutto negli Stati Uniti, non solo ha fatto scuola, ma ha conseguito risultati estremamente interessanti.

Oggi Fidelity Charitable è da alcuni anni la prima non profit americana per donazioni ricevute. Dal primo luglio 2016 al 30 giugno 2017 Fidelity Charitable ha infatti ricevuto donazioni per circa 7 miliardi di dollari (6.834.013.677) con una crescita di quasi il 70% rispetto ai $4,076,302,537 raccolti nell’esercizio precedente. In dieci anni il numero dei fondi costituiti presso questa organizzazione è più che raddoppiato passando da 47.367 a 108.482 con una crescita che, nell’ultimo anno, è stata del 20% grazie ai circa 21.000 donatori che nel 2017 hanno costituito un nuovo fondo. Attraverso la sua offerta Fidelity ha così potuto mobilitare 179.804 donatori di cui circa 70.000 nel 2017.

Si tratta di una crescita che è strettamente collegata alla democratizzazione delle filantropia. Infatti nel 57% dei casi il valore del fondo è inferiore ai 25.000 dollari e solo l’8% di essi ha un valore che supera i 250.000 dollari.

Altro elemento interessante è dato dalle diverse tipologie di donazioni che questo ente è in grado di raccogliere. Infatti solo il 39% delle donazioni sono donazioni in denaro attraverso, assegni, bonifici e carta di credito, mentre il 61% proviene da titoli siano essi quotati (50%) o non quotati (11%). Fra questi ultimi è possibile annoverare anche Bitcoin e altre criptovalute. Queste sono decuplicate passando da 7 milioni del 2016 a 69 milioni nel 2017. Più in generale le donazioni avvenute attraverso titoli non quotati sono passate da 796 milioni a 916 milioni di dollari.

Tutte queste donazioni, a cui si aggiungono le rendite frutto degli investimenti finanziari che nell’ultimo esercizio sono state pari ad oltre 7 miliardi, hanno fatto sì che Fidelity Charitable sia diventata una delle più importanti Fondazioni esistenti al mondo con un patrimonio che, al 30 giugno dello scorso anno, era pari a oltre 21 miliardi di dollari (21.125.594.446) con una crescita rispetto all’anno precedente di oltre 5 miliardi di dollari.

Questa evoluzione ha fatto sì che oggi Fidelity Charitable sia diventata il secondo ente d’erogazione più grande al mondo, dietro solo alla Bill & Melinda Gates Foundation. Nel 2017 sono infatti stati deliberati oltre un milione di contributi (con una crescita del 25% rispetto all’anno precedente) per un totale di 4,5 miliardi di dollari (27% di crescita) a favore di 127.000 enti non profit operanti sia negli Stati Uniti che più in generale in tutto il mondo. Fra questi contributi ve ne sono stati ben 505 di un valore superiori al milione di dollari (anche in questo caso la crescita è stata del 25%).

Può essere interessante notare come una quota crescente di tale risorse sono state destinate sulla base delle indicazioni dei donatori per rispondere alle emergenze dovute alle calamità naturali (60 milioni di dollari). Inoltre stanno diventando sempre più popolari i contributi destinati a non profit che operano nel campo dell’impact investing, ossia che cercano di perseguire contemporaneamente sia cambiamenti sociali, sia ritorni economici. Negli ultimi cinque anni sono stati erogati circa 92 milioni di dollari a questa tipologia di progetti, di cui ben 18,8 solo nel 2017. Bisogna però essere consapevoli di come questi nuovi trend modifichino solo marginalmente la distribuzione delle erogazioni che in tutti questi anni è rimasta sostanzialmente immutata con una concentrazione per i contributi a favore di progetti a favore dell’educazione (28% del valore delle erogazioni) (a tal proposito potrà essere interessante notare come nel nostro Paese, sino alla riforma del terzo settore, peraltro non ancora operativa su questo punto, l’educazione non era considerata d’utilità sociale se non quando destinata a soggetti svantaggiati, il che la dice lunga sul ritardo culturale che ci contraddistingue).

Infine è importante considerare come uno dei benefici dell’utilizzo di un intermediario filantropico consista nella possibilità di separare il momento della donazione da quello dell’erogazione. A tal proposito potrà essere interessante notare come solo il 38% delle donazioni si trasformino in erogazioni entro l’anno. Tale percentuale sale al 74% se si considerano 5 anni e raggiunge l’88% dopo 10 anni, a dimostrazione di come, accanto ai fondi destinati all’erogazione, che sono certamente la maggioranza, ve ne sia una parte che mira a costituire dei fondi patrimoniali, di cui solo le rendite possono essere erogate.

Tutti questi dati mostrano in modo inequivocabile come un approccio che parta dai donatori e dalle loro esigenze risponda ad un bisogno reale e molto più diffuso di quello che si potrebbe pensare. Paradossalmente proprio la creazione di una società che tende ad eliminare i servizi d’intermediazione sta favorendo la crescita dell’intermediazione filantropica. Ciò dipende probabilmente dal fatto che, proprio perché il donatore, tramite gli strumenti di conoscenza che sono oggi a sua disposizione, può sentirsi in grado di individuare autonomamente i beneficiari del proprio sostegno, egli senta nel contempo la necessità di dotarsi di una sorta di conto corrente filantropico con cui gestire al meglio le proprie donazioni. L’aver capito ciò è stata la principale ragione del successo di Fidelity e degli altri Commercial Gift Fund, un successo che speriamo che strutture come la Fondazione Italia per il Dono possano presto emulare anche nel nostro Paese.

Per maggiori informazioni sulle performance di Fidelity Charitable è possibile consultare sia il Giving Report che l’Annual Report.

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