Lo scambio di battute fra il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, catturato da LaPresse al termine della conferenza stampa di presentazione dell'accordo fra A2A e Politecnico dice molto più di 100 convegni e interventi sul Pnrr.
Cosa è successo
Val la pena ripercorrere gli scambi di battute di queste ore.
Il governatore lombardo Fontana, rivolto al primo cittadino, dice: «Caro Beppe, è un casino il Pnrr e noi mettiamo a terra un ca**o». E Sala risponde: «È questo, adesso va bene tutto. Noi dobbiamo farci un po' più furbi su questa cosa e fare un po' più di sistema obiettivamente tra tutti. Io sono preoccupato del fatto che Sud, Sud, Sud, ho capito, ma l'innovazione… Però io non ho veramente niente da contestare. Voglio chiarezza, perché è evidente che noi abbiamo una progettualità…». Quindi, il presidente della Lombardia conclude: «Voi siete in grado, ma il Comune di Busto Arsizio che ca**o fa? Che non è un Comune piccolo quello di Busto Arsizio…».
La ministra Carfagna, titolare del Ministero per il Sud, si è subito sentita chiamata in causa e ha ribattuto su twitter:"Caro Beppe, il Pnrr 'al Sud-Sud-Sud' è un'opportunità anche per il Nord. L'innovazione facciamola insieme. Parliamone!", accompagnando il proprio messaggio con l'hashtag#SeCresceIlSudCrescelItalia.
A sua volta Sala ha ripreso parola:"Ognuno la può pensare come vuole ma il mio non è egoistico campanilismo. È ora di dire che il Pnrr non sarà la soluzione di tutti i nostri mali, che più della metà di quelle risorse dovranno essere restituite, che la solidità dei progetti presentati è quindi fondamentale. E che la difesa delle ragioni del Nord non la si fa indossando felpe ma essendo bravi nel progettare e nel fare cose. C'è un consolidato del Paese, che è un'attitudine alla spesa pubblica in una maniera che storicamente non ha favorito lo sviluppo di tutte le zone: esattamente questo è il rischio da evitare".
La realtà
Lo scambio di battute tra Fontana, Sala e Carfagna dice, quasi in maniera integrale, tutta la difficoltà dell’execution del Pnrr che ha un andamento del tutto top down e che rischia però, per usare la colorita espressione del Governatore lombardo, “di non mettere a terra un c…zo”. Insomma il Pnrr è nudo, diciamocelo.
Ed è così non solo perché la macchina burocratica italiana è in panne da anni, non solo perché mancano competenze e capacità progettuali, non solo perché manca, più in generale, il personale nella Pubblica Amministrazione, ma soprattutto, secondo me, perché il Pnrr non ha previsto il coinvolgimento e l’ascolto sia dei livelli istituzionali intermedi sia del Terzo settore. Occorreva ben altro del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale del Pnrr presieduto da Tiziano Treu che altro non è che un pannicello caldo per coprire un processo verticistico e che non darà frutti sui territori. Occorreva un’associazione dei Comuni molto più cazzuta di Anci che parla a più voci e tutte a voce bassa. Sappiamo di molti comuni, anche importanti (capoluoghi di provincia e non solo di piccoli comuni delle aree interne) che soprattutto al Sud (la Carfagna se ne faccia una ragione) sono disperati perché non in grado di elaborare progettualità e format adatti per chiedere i fondi del Pnrr.
I precedenti
Che l’impresa sia disperata, e ovviamente spero di sbagliarmi, ce lo dice anche la nostra storia.
Non bisogna dimenticare l’incredibile storia dei Pac, 2013. 730 milioni (!) destinati ad interventi per la prima infanzia e per gli over 65 in quattro regioni del Sud. Nonostante pressioni e sollecitazioni la misura venne affidata in gestione al ministero dell’Interno. Il ministero dell’Interno chiese ai Comuni di presentare progetti. Una scelta irresponsabile ed un grave disastro. Sono passati più di 8 anni e credo che le risorse ad oggi erogate non raggiungano un terzo di quelle stanziate. Perché? Per rispettare il principio, per confermare, l’equazione per cui un intervento è pubblico solo se gestito dalla Pubblica Amministrazione.
O ancora, ricordate L‘accordo di partenariato stipulato fra Italia e Unione Europea nel 2014 prevede 51 programmi fra cui 39 POR e 12 PON. Nel periodo 2014-2020 l’Italia ha ricevuto e riceverà – i progetti hanno tempo fino al 2023 per concludersi – circa 44,8 miliardi di euro, secondo una recente stima del servizio studi della Camera dei Deputati. Di questi, 32,7 miliardi dai fondi di coesione, 10,4 miliardi per il FEASR e 537 milioni per il FEAMP, oltre a qualche spicciolo.
Sono un mucchio di soldi, di cui le autorità italiane sono riuscite a spendere ad oggi solo una piccola parte. Secondo un report della Corte dei Conti europea aggiornato a settembre, l’Italia è penultima per capacità di assorbimento dei fondi del bilancio 2014-2020, con circa il 38 per cento delle risorse effettivamente erogate dall’Unione Europea. All’ultimo posto della classifica c’è la Croazia, col 36 per cento (che però è entrata nell’Unione solo nel 2013). Francia e Germania sono a metà classifica, rispettivamente col 53 e il 49 per cento, mentre al primo posto c’è la Finlandia, col 73 per cento.
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