Mondo
Africa, buio in sala
Il taglio dei contributi francesi penalizza soprattutto i registi subsahariani.
di Redazione
Giuria d?eccezione quella del nono Festival del Cinema Africano di Milano, con due grandi registi come l?iraniano Jafar Panahi (?Il palloncino bianco?) e l?indiana Mira Nair (?Salaam Bombay!?, ?Mississipi Masala?) oltre a Enrico Ghezzi, a Maria de Lourdes Jesus, giornalista capoverdiana da anni impegnata sul fronte dell?immigrazione in Italia e a Zézé Motta, attrice-musa del cinema novo brasiliano. Una giuria unanime nell?attribuire il primo premio per i lungometraggi a ?La vie sur terre? del regista mauritano Abderrahmane Sissako, rivelazione degli ultimi anni. Si tratta di un film poetico ma anche duro, in cui il regista ricorda il suo ritorno al villaggio paterno nella savana, Sokolo, nel Mali, per un immaginario capodanno del 2000. In sella a una bicicletta, in pieno sole, il regista ritrova campi vastissimi, creativi fotografi locali, ragazze smaglianti e la sede di ?Radio Colon?, scassata ma libera. La radio porta l?eco della festa, è il nuovo Millennio, ma a Sokolo niente cambia: l?Africa-2000 resta il fondo del mondo, sempre alla deriva.
Secondo premio è andato ad Arake Balah (?Il vino dei datteri?) dell?egiziano Radwan Al Kashif, storia sensuale e libera di Ahmed, troppo giovane per emigrare, solo uomo rimasto in mezzo alle donne: la sua iniziazione alla vita e all?amore, amplificata dalle dolcezze del vino dei datteri. Terzo premio all?algerino Merzak Allouache per l?attualissimo ?Algeri-Beirut per ricordare?: a Beirut, un reduce di guerra, un dissidente algerino e una franco-libanese sognano un domani insieme, ma il dolore personale e di tutto il popolo arabo impediscono ?il Nuovo?.
Novità grande al Festival sono stati i cortometraggi e i video: strumenti più agili ed economici, sempre più usati dai registi africani per ?scongelare? storie fresche, figlie solo della sensibilità, che altrimenti sarebbero ridotte al silenzio per la mancanza di fondi con cui realizzarle. Il primo premio per i corti è andato all?esordiente marocchino Faouzi Bensaidi per il suo ?La falaise?: la storia, in un bianco e nero denso d?amore, di Hakim e Said, fratellini risucchiati da minuscoli lavori, come imbiancare tombe o raccogliere bottiglie vuote. Un?infanzia da sopravvivere e da vivere, guardando il mondo attraverso una bottiglia. Il secondo premio è stato vinto da ?African Violet? del sudafricano Koto Bolofo, una specie di sguardo sarcastico sulle ?conversazioni del tè? di un Sudafrica anni ?60 in pieno apartheid e dove le dame bianche discutono su come ?addomesticare gli indigeni?.
Ancora una storia dolorosa dal Sudafrica, Paese che ha sicuramente strutture cinematografiche più robuste rispetto al resto del continente, ha vinto il primo premio della sezione video: si tratta di ?The Hottentot Venus? di Zola Maseko, un viaggio nel passato di una donna Khoi, Sara Baartman, ?esportata? da un Afrikaaner a Londra, poi esibita nei circhi come fenomeno da baraccone, e infine dissezionata e oggetto di ricerche mediche.
Il Festival ha dunque messo in luce la realtà di un cinema che rischia di piegarsi per ansia di sopravvivenza: un po? meno nel Maghreb dove c?è un maggiore sostegno statale, drammaticamente invece nell?Africa nera, dopo che il ministero della Cooperazione francese ha ridotto le sovvenzioni. Non mancano comunque segni di nuovo vigore: intenso resta l?urlo dei cineasti contro tutte le violenze, il razzismo, il lavoro minorile, la svalutazione delle valute, la miseria e la tragedia di un?Africa dimenticata dal ?primo mondo?. È ancora possibile vedere immagini di un?identità africana irripetibile, fiera e autosufficiente: la piccola Sisi (?La petite vendeuse de soleil? di Djibril Diop Mambéty), che da bimba mendicante con stampella a Dakar diventa tenace venditrice di giornali e Sipho (?Chikin Biznis? di Ntshaveni Wa Luruli), che apre un buffo commercio di polli in una township sudafricana, dove i neri erano in tempi di apartheid solo ospiti di passaggio.
Omaggio a Mambéty
L?ultima opera del poeta di Dakar
Il Festival del cinema africano promosso a Milano dal Coe ha reso omaggio, in apertura, a quello che era considerato ?il poeta visionario del cinema nero?, Djibril Diop Mambéty, scomparso nel luglio scorso (e che già fu premiato a Milano, nel 1995, con il corto ?Le franc?, una parodia sul problema della devalutazione del franco africano). ?La petite vendeuse de soleil? è stata l?ultima opera del regista senegalese che ha sempre avuto a cuore di narrare su pellicola le storie delle ?piccole genti?, quelle della sua Dakar, splendidamente rappresentate dalla protagonista Sisi, ragazza handicappata e mendicante, che decide dopo un fortuito incidente con giovani strilloni di vendere giornali (?Le soleil?, quotidiano del potere) per ribellarsi al suo ruolo sociale ed affermare se stessa. La morte di Mambéty costituisce una grande perdita per un cinema di finzione (formato 35 mm) già di per sé in gravi difficoltà economiche. «Siamo alle solite», sostiene il regista tunisino Ben Smail, «non potendo autoprodurci, siamo costretti a elemosinare presso le case produttrici europee». «E questo», secondo Alessandra Speciale (direttrice artistica del Festival assieme ad Annamaria Gallone), «rischia di far invecchiare il cinema africano nelle ansie della propria sopravvivenza».
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