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Missionari rilasciati: la testimonianza

Dopo 24 ore di marcia e di prigionia i tre missionari comboniani, tra cui il direttore dell'agenzia Misna, sono stati liberati dai militari ugandesi che li avevano trattenuti.

di Barbara Fabiani

E’ finita, e per fortuna prima di quanto si temesse, la brutta avventura dei tre missionari comboniani trattenuti dalle forze militari ugandese dopo essere stati coinvolti ieri in uno scontro a fuoco tra questi e i ribelli del LRA (Lord’s Resistance Army). “Un diluvio di pallottole, granate, razzi e proiettili di ogni tipo: per un’interminabile ora siamo rimasti sdraiati a terra sotto una pioggia di fuoco. Aspettavamo di morire da un momento all’altro”. La voce del direttore della MISNA, padre Giulio Albanese, 43 anni, è flebile, indebolito com’è da 24 ore di stress e una prolungata privazione d’acqua. In questo momento Albanese , insieme con i suoi confratelli padre Tarcisio Pazzaglia e padre Carlos Rodriguez Soto, quest’ultimo ferito ad un braccio durante gli scontri, sono ospitati nella comunità comboniana dell’ospedale di Lachor, vicino a Gulu (nord Uganda). In questa città i missionari erano stati trasportati a mezzo elicottero per ulteriori interrogatori dopo il sequestro/arresto da parte dei militari. “Avevamo iniziato a parlare con i ribelli da una ventina di minuti – prosegue padre Albanese parlando alla sua agenzia Misna – quando è scoppiato il finimondo”. “Appena terminata la battaglia i militari ugandesi ci hanno schiaffeggiati e percossi, accusandoci di essere trafficanti di armi di Al Qaida, sembra incredibile”. Insieme a padre Albanese c’erano padre Tarcisio Pazzaglia, 68 anni, di Pesaro, da oltre 35 anni in Uganda, e lo spagnolo padre Carlos Rodriguez Soto, 43enne, impegnato nella commissione ‘giusitizia e pace’ dell’arcidiocesi di Gulu. “Eravamo certi che ci avrebbero ucciso sul posto”. Sdraiati a terra, per decine di minuti i soldati hanno tenuto la canna delle armi automatiche puntata alla testa dei tre comboniani. “C’era una donna ferita accanto a me – racconta ancora padre Albanese – i soldati l’hanno scaraventata a qualche metro, lasciandola lì a morire. Questo è il trattamento che riservano normalmente ai civili o ai ribelli”, denuncia il direttore. “Poi, forse, hanno capito che potevano tenerci con loro e ci hanno fatto camminare per una ventina di chilometri: sei ore di marcia forzata senza bere un goccio d’acqua”. Al termine del lungo trasferimento i 3 missionari sono stati spogliati e buttati in una baracca presso la caserma dei militari a Kitgum dove sono stati rinchiusi in un piccolo locale, senza acqua né toilettes. “Di notte – aggiunge il fondatore dell’agenzia di notizie dal sud del mondo – ci ha assalito di nuovo il terrore che fosse giunto il momento di farci fuori”. Al buio, con l’angoscia di essere passati per le armi e il sostegno della preghiera, i tre religiosi hanno sofferto sulla propria pelle i ‘metodi’ usati dall’esercito con i detenuti comuni. Poi, giovedì mattina, nuovi interrogatori e, nel primo pomeriggio, il trasferimento a Gulu a bordo di un elicottero. L’epilogo in serata, quando i confratelli del vicino ospedale di Lachor si sono precipitati alla caserma portando generi di prima necessità per rifocillare i 3 religiosi. Poi il rilascio. Una vicenda che lascia amareggiati anche perché i tre missionari avevano contattato i ribelli mettendo prima al corrente le forze militari del loro progetto: verificare che ci fosse spazio per una tregua per dare sollievo alla popolazione locale che da 15 anni patisce una guerriglia serrata. Sembra invece che i militari ugandesi abbiano seguito i presuli, aprendo il fuoco appena i ribelli sono usciti allo scoperto. Ma riguardo a ciò i tre religiosi preferiscono parlare di malinteso con le forze militari e non ritengono di essere stati usati come esche. Venerdì Padre Giulio Albanese e padre Pazzaglia saranno accompagnati a Kitgum dai militari a bordo di un loro elicottero, mentre padre Rodriguez rimarrà a Gulu, dove opera abitualmente. Tra qualche giorno il direttore della Misna rientrerà in Italia.


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