L’adozione internazionale è ancora un valido strumento di protezione dei bambini che sono senza famiglia? Di fronte all’evidenza di alcune (in certi casi molte) adozioni condotte in modo fraudolento da parte di delinquenti che sfruttano il bisogno di famiglie estremamente vulnerabili e di altre desiderose di genitorialità è giusto privare i bambini che realmente si trovano in stato di abbandono della possibilità di vivere in una famiglia, anche se in un altro Paese, chiudendo le adozioni internazionali? E’ questo il dilemma delle adozioni internazionali, di cui si parlerà il 24 e 25 maggio a Milano alla conferenza internazionale di Euradopt-rete europea di organizzazioni che si occupano di adozione internazionale.
Ed è stato un pensiero quanto mai presente durante il mio recente soggiorno in Cambogia, un Paese che ha chiuso le adozioni internazionali nel 2009 a seguito di diversi casi di frodi e procedure illecite. Adozioni che non sono più state riaperte, nonostante la ratifica della Convenzione dell’Aja.
Un po’ di storia: la Cambogia è Paese che, dopo la guerra civile ed il genocidio degli anni ‘70, ha faticosamente ritrovato un po’ di stabilità e negli ultimi tempi ha visto una sensibile crescita economica. Nonostante ciò ha uno dei tassi di povertà più alti di tutto il sud est asiatico: più del 30% della popolazione vive con meno di un dollaro e mezzo al giorno, specialmente nelle campagne e nelle periferie della maggiori città.
Le prime adozioni internazionali in Cambogia risalgono alla fine degli anni ’80, per lo più da parte di coppie statunitensi e francesi, attraverso canali privati.
Solo nel 2001 sono arrivati i primi bambini dalla Cambogia in Italia, attraverso gli enti autorizzati CIAI e Comunità di Sant’Egidio. Nel giro di breve tempo diversi altri enti italiani hanno iniziato a lavorare nel Paese e le adozioni dalla Cambogia verso l’Italia sono aumentate considerevolmente.
Negli stessi anni sono stati segnalati diversi casi di malpratiche, ripresi anche dalla stampa, a seguito dei quali gli Stati Uniti hanno aperto un’inchiesta sulle eventuali responsabilità da parte di cittadini americani che ha portato all’arresto di due facilitatori di adozioni.
In seguito a questi fatti sia gli Stati Uniti che altri Paesi europei –ma non l’Italia – hanno deciso unilateralmente di bloccare le adozioni dalla Cambogia.
Per trovare delle soluzioni alla situazione dei bambini ed alle difficoltà nelle pratiche di adozione, nel 2007 la Cambogia ha firmato la convenzione dell’Aja del 1993 e nel 2009 ha emanato una nuova legge sull’adozione per allineare la legge cambogiana ai requisiti della Convenzione. Sempre nel 2009 la Cambogia ha deciso una sospensione delle adozioni. Solo allora sono state interrotte le adozioni verso l’Italia, salvo alcuni casi pendenti che sono stati completati negli anni seguenti.
Secondo il Ministero degli affari sociali (Mosavy) sono 3696 i bambini adottati all’estero tra il 1987 ed il 2009, anche se si pensa che i dati possano essere sottostimati
Il governo cambogiano ha detto in più occasioni di essere pronto a riaprire le adozioni ma ancora questo non è accaduto. L’Italia nel 2014 ha firmato un accordo bilaterale con la Cambogia al quale non ha dato seguito e che è di fatto decaduto. Nel 2015 il governo cambogiano aveva nuovamente annunciato una riapertura imminente, cosa che non è avvenuta. Ancora recentemente, nell’autunno 2017, ci sono state dichiarazioni di volontà di riprendere le adozioni. E’ di qualche settimana fa la notizia di una missione della vicepresidente della Commissione Adozioni Laura Laera in Cambogia per riallacciare i rapporti istituzionali, interrotti dopo il 2014. Pochi giorni fa l’organizzazione cambogiana per i diritti umani Licadho, in seguito all’annuncio del governo di voler riaprire le adozioni internazionali, ha pubblicato un report dal titolo inquietante “Stolen Children” in cui si denunciano casi di presunte adozioni fraudolente.
La situazione dei bambini: nel frattempo i bambini, sia quelli in stato di abbandono che quelli che hanno dei legami, anche se sporadici, con le famiglie, sono rimasti negli istituti che hanno visto crescere le presenze. Unicef ha più volte denunciato il proliferare di queste istituzioni, che spesso si basano su finanziamenti privati dall’estero e sull’utilizzo di volontari. Secondo una recente ricerca fatta in collaborazione tra l’istituto di statistica cambogiano e la Columbia University, sarebbero circa 50.000 i bambini che si trovano in istituti in Cambogia, su una popolazione totale di circa 16 milioni di abitanti. La maggior parte sono bambini o ragazzi le cui famiglie si trovano in situazioni di estrema povertà e con cui hanno sporadici rapporti ma c’è anche una parte di bambini e ragazzi orfani di entrambi i genitori o completamente abbandonati dalle famiglie.
Secondo l'autorità centrale cambogiana esistono già alcune decine di dossier di bambini dichiarati in stato di abbandono, la maggior parte con bisogni speciali, per i quali si è cercato una famiglia in Cambogia, senza successo, sia per le difficoltà economiche di gran parte delle famiglie sia perché l’adozione non è culturalmente diffusa.
Ho purtroppo visto personalmente, durante la mia recente visita, bambini che avevo incontrato ancora più di 10 anni fa negli stessi istituti, ormai diventati grandi e senza più possibilità di trovare una famiglia. Cosi come ho potuto verificare come siano purtroppo frequenti i casi di maltrattamento, trascuratezza e abuso da parte delle famiglie, che nella maggior parte dei casi non possono contare su forme di sostegno da parte dei servizi sociali.
Il dilemma delle adozioni: se da una parte quindi secondo l’autorità centrale cambogiana ci sarebbero situazioni di reale abbandono e la necessità di trovare una famiglia all’estero per diversi bambini, ancor più bisognosi di tutela perché con bisogni speciali, dall’altra alcune organizzazioni, come Unicef o Licadho, sono dell’opinione che i rischi di frode, corruzione e malpratiche siano ancora troppo alti e che non ci siano i requisiti necessari per fare procedure di adozione rispettose degli interessi dei bambini, dei genitori biologici e dei genitori adottivi. Licadho, in particolare, denuncia che prima del 2009 si sono verificati casi di frode, compravendita di bambini, falsificazione di certificati anagrafici e falsi stati di abbandono in cambio di denaro e segnala che le stesse persone che si sono rese in passato responsabili di questi crimini sono ancora nelle stesse posizioni di allora, alla guida di orfanotrofi o con incarichi pubblici, e che il governo non ha fatto nessuna indagine seria per punire i responsabili.
Come è possibile contemperare queste due necessità, cioè garantire il diritto dei bambini realmente in stato di abbandono a crescere in una famiglia ed evitare che bambini che una famiglia ce l’hanno siano vittime di adozioni illecite?
Cosa si dovrebbe fare: la risposta non è semplice anche perché richiede il coinvolgimento attivo e responsabile di tutti: istituzioni internazionali e dei singoli Paesi- sia di provenienza che di accoglienza- organizzazioni di adozione, servizi di tutela dell’infanzia, cittadini. E sicuramente non porterebbe il numero di adozioni ai livelli precedenti alla chiusura, per quanto riguarda la Cambogia, perché quei numeri erano eccessivi e falsati da adozioni che si basavano su procedure non sempre corrette. L’adozione è un potente strumento di protezione dell’infanzia ma anche residuale, come vuole la convenzione dell’Aja, da utilizzare solo quando tutte le altre possibilità di alternative care non hanno dato esito positivo.
Ma quello che deve interessare a chi ha realmente a cuore il benessere dei bambini non deve essere il numero delle adozioni ma garantire una famiglia ad ogni bambino che ne sia privo.
A mio parere sono necessarie alcune azioni da parte dei diversi attori coinvolti nel processo adottivo.
I Paesi d’origine devono garantire un sistema adeguato alle convenzioni internazionali e vigilare, per quanto loro compete, sulla correttezza e trasparenza delle procedure, prevenendo e sanzionando ogni tentativo di adozione illecita o di corruzione. Per quanto riguarda la Cambogia, questo dovrebbe anche dire garantire che chi si è macchiato di un crimine cosi odioso come la frode in pratiche di adozione debba non solo essere punito ma specialmente rimosso dal suo incarico in modo che non ci siano pericoli di reiterazione del reato.
Anche i Paesi di accoglienza devono garantire adozioni corrette e trasparenti vigilando attentamente sull’operato degli enti di adozione e collaborando in modo vicino ed efficace con i Paesi di provenienza dei bambini, anche sostenendo i sistemi di protezione dell’infanzia, spesso inadeguati. In passato l’Italia ha collaborato con la Cambogia per la formazione del personale del sistema di protezione dell’infanzia, ma ancora molto ci sarebbe da fare. Nel frattempo sarebbe utile aprire un’indagine per fare chiarezza rispetto alle accuse di possibili casi di adozioni illecite e per verificare se ci siano responsabilità a carico di cittadini italiani. Con grande attenzione e la riservatezza dovuta a questi casi in cui è in gioco la vita delle persone e specialmente di bambini e ragazzi.
Una grande responsabilità nel portare a termine adozioni corrette e trasparenti è in capo agli enti autorizzati, che secondo la convenzione dell’Aja dovrebbero essere in numero commisurato alle necessità del Paese, generalmente non più di due o tre. Gli enti devono garantire assoluta trasparenza e correttezza delle pratiche adottive ma anche conoscenza approfondita del Paese e, secondo la legge italiana, adeguato impegno per la prevenzione dell’abbandono. Ci sono alcune regole molto semplici da mettere in pratica per garantire adozioni corrette in un contesto in cui il pericolo segnalato è la corruzione ed il guadagno illecito: non avvalersi di personale pagato a pratica o caso di adozione ma a stipendio fisso e tracciare qualsiasi movimento di denaro. Due semplici ed efficaci requisiti, che però non sono richiesti dalla legge italiana sulle adozioni internazionali né dalle linee guida per gli enti autorizzati. Se vogliamo davvero adozioni corrette potremmo cominciare da qui, come hanno già fatto tutte le organizzazioni che fanno parte del network di EURADOPT.
Anche le aspiranti famiglie adottive possono avere un ruolo molto importante nel garantire procedure corrette, segnalando alle autorità qualsiasi situazione poco chiara e rifiutandosi di procedere nei casi in cui vengano richieste somme di denaro non tracciabili e non giustificate.
Credo che sia doveroso, da parte dei Paesi di accoglienza e di provenienza e delle istituzioni internazionali, degli enti autorizzati, delle famiglie, fare tutto il possibile per garantire i diritti ed il superiore interesse di ogni bambino, sia quelli in stato di abbandono che quelli che hanno la possibilità di vivere nella loro famiglia d’origine.
Se ciò non succede è perché da qualche parte ci sono delle inadempienze o delle trascuratezze, a volte per motivi comprensibili come la mancanza di adeguate risorse sia economiche che umane, ma mai giustificabili davanti ai bisogni dei bambini. Di questo ciascuno di noi che abbiamo in qualche modo un ruolo nella difesa dei diritti dei più piccoli e più fragili, deve sentirsi consapevole e responsabile.
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