L’enorme tragedia che sta investendo l’Europa a causa della guerra fra Russia e Nato, di cui è vittima sacrificale l’Ucraina e con essa i suoi abitanti, pone ed impone una profonda riflessione sul significato della parola accoglienza.
Accoglienza è una parola che già nella sua etimologia contiene un programma di vita. Essa deriva da “accogliere”, cioè dal latino ad-cum-legere, “raccogliere insieme verso”. Ma questo non è forse il significato del cammino di noi umani sulla terra?
La parola insieme fa assumere all’accoglienza un significato preciso, perché quell’insieme non definisce le persone per sesso, nazionalità, razza o religione, non esprime alcun confine, anzi non ne stabilisce alcuno, supera ogni concetto parziale e conferisce a tutti ed a ciascuno piena dignità.
La Costituzione italiana – e non è l’unica – stabilisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3). Ma questo articolo è monco se non è integrato dall’art. 2 che lo precede, ovvero che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”
Certamente, il tema dell’accoglienza è da considerare uno dei diritti inviolabili della persona e, in un tempo in cui vi sono forme di povertà nuove e diversificate, in cui appare con chiarezza come sia faticoso per tutti il duro mestiere di vivere, è fondamentale riscoprire l’esigenza della prossimità, del farsi prossimo, cioè vicino, l’uno all’altro. È sull’impegno quotidiano alla prossimità, l’unico vero antidoto a quella che papa Francesco ha definito a più riprese “globalizzazione dell’indifferenza” che sta o cade anche la capacità di accoglienza.
L’accoglienza, secondo l’approccio di prossimità, non distingue né separa le persone ed, anzi, è fondata sui valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca.
Un approccio accogliente non può essere limitato e limitante, perché il presupposto dell’uguaglianza degli esseri umani rende l’accoglienza un movimento interiore, un respiro anelante, un battito universale.
Pensare che le persone siano diverse perché le vediamo diverse, è il contrario dell’essere umano, è disumano. L’interiorità dell’essere umano ci vede tutti “fratelli”, “fratelli tutti”.
Apparteniamo tutti alla stessa famiglia e la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri. È incredibile e chiaro al tempo stesso come il futuro del nostro ecosistema sia intimamente legato alla cura che mettiamo nelle relazioni umane, alla capacità di farsi prossimo di chi si trova lungo il ciglio della strada ed è stato bastonato dai briganti, dalla vita, dalla storia.
«Guarire il mondo» – ci indica il Papa – dipende dal «curarsi e curarci a vicenda»…ma dobbiamo credere nei principi – cardine di una Comunità che cura: il principio della dignità della persona, il principio del bene comune, il principio dell’opzione preferenziale per i poveri, il principio della destinazione universale dei beni, il principio della solidarietà, della sussidiarietà, il principio della cura per la nostra casa comune.
E’ sufficiente cambiare il paradigma ed invece che “selezionare” le persone, stabilendo chi è prossimo e chi non lo è, rendiamoci disponibili ad “essere prossimo”.
La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza.
Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità.
L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali.
Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune.
C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza.
Chi si riconosce in questo ritratto, come può chiudersi all’accoglienza di ogni altro essere umano, in particolare di ogni straniero, sapendo di essere lui stesso, per definizione, straniero e pellegrino? Oggi in Italia, come ormai in tutto il mondo occidentale, ci troviamo di fronte a un consistente fenomeno migratorio: milioni di uomini e donne appartenenti a mondi, culture, lingue, religioni diverse e fino a ieri di fatto estranee l’una all’altra, si trovano a vivere fianco a fianco tra loro e in mezzo a noi. Fenomeno certo non nuovo quello della migrazione, ma nuova è la convergenza simultanea di diversi flussi migratori verso l’Europa. La complessità delle situazioni generate dall’immigrazione provoca una serie di interrogativi: “Perché vengono da noi? Non possono restarsene a casa loro? Perché così numerosi? Che ne sarà del nostro modo di vivere e di convivere?”. Mettiamo in dubbio il sentimento di accoglienza, anteponendo una serie di domande e di paure che non dovremmo proprio avere, perché non abbiamo merito nell’essere nati in una parte o in un’altra del mondo. E, soprattutto, la parte del mondo che migra è vittima dei colossali interessi economici che la deprivano di ciò che è necessario per vivere.
Complessivamente, c’è una grave ingiustizia globale, e coloro che la provocano si permettono anche di calpestare il diritto alla vita dignitosa di coloro che sono costretti a migrare per vivere.
Forse la guerra provocata dalla Russia contro la NATO, di cui l’Ucraina e i suoi cittadini sono vittime sacrificali, può farci comprendere che nessuno può sentirsi al sicuro, protetto sotto una campana di vetro e ci fa comprendere attraverso l’esodo di questi giorni che i “fuggitivi” corrono verso un porto sicuro ed hanno il diritto inviolabile di essere accolti nel cuore di qualcuno.
Già, perché noi siamo portati a pensare a ciò che può toglierci lo straniero, ma non guardiamo “sua” paura, la paura di chi arriva in un mondo estraneo, dove non è di casa, un mondo di cui conosce poco o nulla. Davvero, la prima sensazione nel rapporto tra residente che accoglie e immigrato che arriva è la paura.
La paura di perdere qualcosa o di non essere accolto, si superano se assumiamo un nuovo concetto identitario, ovvero non quello di un’identità delle differenze, bensì di un’identità dell’incontro, del confronto, della relazione con gli altri.
Attenzione però, l’accoglienza non è un contenuto professionale, non si fa costruendo nuove strutture solo per gli stranieri che migrano. Per praticare davvero azioni di accoglienza, dobbiamo cominciare con l’aprire le porte delle nostre case, con l’accogliere l’altro nella nostra casa, facendo a lui spazio nel nostro spazio, mangiando con lui intorno a una tavola, guardandoci negli occhi, invece di chiuderci dietro porte, muri, barriere, cancelli, confondendo l’intimità necessaria con un isolamento protetto da barriere invalicabili, che alla fine ci lascia più soli e tristi.
Il vero nome dell’accoglienza è prossimità. In questo tempo così difficile per l’intera umanità, rendiamoci prossimi e costruiamo una nuova umanità, celebriamo la fraternità.
In questo tempo che ci è dato di vivere, facciamo del nostro meglio per riconoscere la dignità di ogni persona umana, facendo rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità.
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