Proprio in queste ore Vita lancia il suo nuovo numero, bello e denso come sempre, dedicandolo al lavoro sociale http://www.vita.it/it/article/2022/05/04/lavoro-sociale-lavoro-da-cambiare/162702/
In crisi, più o meno legato a codici di laurea, se pensiamo ai social workers la prima tentazione è quella di approdare ai tradizionali professionisti sociali. Educatori psicologi, pedagogisti e tutte quelle figure che dentro a un’offerta di servizi ed opportunità dialogano con le persone ma anche scrivono e coordinano i progetti per le comunità. Quando riusciamo ad “andare oltre”, il confine delle ultime tendenze è quello dei community manager, esperti nella lettura e nell’attivazione del territorio e delle sue opportunità.
Oggi vi propongo di andare oltre, di spingervi un po’ fuori dal confine del ruolo per approdare a quello della visione e aprire la porta ai networker. Nessun consulente del lavoro li troverà nei vostri contratti ma se vi fermate un attimo a pensare forse, dopo anni di lavoro sul campo in cui avete cesellato le vostre competenze con studio e azione, lo siete anche voi o forse nei vostri staff ce n’è uno.
Figure chiave delle organizzazioni che hanno abbandonato approcci solitaristici per confrontarsi in logiche di sistema intense e produttive, i networker sono professionisti senza codice di laurea predefinito, senza cartellino e soprattutto senza una declinazione precisa che nella realtà fotografi questo avamposto dello sviluppo.
Spesso collocati nelle aree sviluppo, con competenze relazionali e di project management, i networker costruiscono il prerequisito fondamentale perché il lavoro di un’organizzazione diventi collettivo e impatti veramente in una comunità plurale; sono loro che per le nostre sigle costruiscono relazioni e reti, non con un approccio squisitamente politico ma con una visione progettuale e funzionale.
Eccoli i networker, pronti ai nastri di partenza – quando va costruito un progetto di sistema, magari dal partenariato esteso, con agendina e rubrica iniziano a tessere relazioni con imprese, associazioni e fondazioni per convocare tavoli di progettazione, seminari di confronto o, perché no, un evento.
Hanno sempre chiare le potenzialità delle loro organizzazioni ma soprattutto i vuoti da colmare e sulla base di questi ultimi costruiscono relazioni complementari che allargano la visione del singolo, spingono, cesellano e affinano le alleanze (di scopo e di visione).
Bracci destri – e sinistri – del management del terzo settore non temono i viaggi, le call notturne, le trattative sul senso delle cose purché il fine sia uno: fare sistema.
Dotati di sense-making, dalla leadership marcata, ricevono un riconoscimento nella funzione e nel ruolo che di fatto li fa punte avanzate delle loro organizzazioni.
Non li chiamateli pr: sono operai, narratori, con grande capacità strategica e soprattutto sono visionari con zaino in spalla e cellulare bollente.
A questa figura dobbiamo dire grazie perché sempre più le nostre organizzazioni possono fare sistema anche se non ha un master in cui riconoscersi, anche quando l’ufficio sviluppo gli sta stretto e i consigli d’amministrazione gli sono lontani.
Servirà capire (magari in questo blog) quali percorsi formativi e professionali possono formare un networker? Come sostenere queste figure nelle nostre organizzazioni o magari "fotografare" qualche bravo networker?
Adesso vi siete convinti di essere un po’ networker anche voi? Avete scoperto di averne uno in azienda?… Se non c’è, è il momento per cercarlo. Il terzo settore in Rete passa anche da loro.
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