Sostenibilità

Il Gargano difende il suo passato. Gli amici dei trabucchi

Due settantenni innamorati della loro terra si sono messi insieme per salvare i trabucchi, antiche strutture per la pesca.

di Mara Mundi

Il sole trova un po? di spazio fra il groviglio di funi, antenne e fil di ferro; il mare ondeggia senza riposo, con la schiuma bianca sempre pronta a infrangersi sugli scogli bruni; i gabbiani giocano in tondo nel cielo libero da ogni nuvola. Ogni tanto planano sulla superficie dell?acqua. Il trabucco del Gargano, antico strumento da pesca diffuso nel tratto compreso fra Peschici e Vieste, conosce il caldo dell?estate, il freddo tagliente dell?Adriatico in burrasca, conosce le voci allegre, le risate di famiglie in festa. E la disperazione delle lunghe ore di attesa, dei giorni di magra, delle stagioni andate in malora. Fiero e impettito, questo miracolo dell?ingegno umano, ideato sul finire dell?Ottocento, rimane il simbolo di luoghi che non hanno smarrito tradizioni e memoria. Abbarbicato sugli scogli, il trabucco stende le sue braccia verso l?orizzonte, mentre una rete scompare a 30 metri dalla costa. Sul ponte, l?equipaggio aspetta che un banco di cefali passi vicino alle rocce, per sfuggire all?attacco dei delfini e andare a svernare negli anfratti della Montagna del Sole. Al grido di «vijr!», i pescatori corrono agli argani e girano, girano per chiudere la trappola e incassare il bottino. Orgoglio magico Storie d?altri tempi, immagini di un passato fermo agli anni 50, quando i laghi di Lesina e di Varano erano popolati da una gran varietà di fauna: i flussi migratori si ripetevano ogni stagione e l?autunno diventava il periodo migliore per riempire le reti. Poi, inquinamento, pesca con esplosivo e motopescherecci hanno compromesso i due specchi d?acqua; hanno segnato la morte di un lavoro, il brusco risveglio da una magia che coinvolgeva uomini, donne e bambini. Ma il gigante del mare non si è rassegnato al suo destino: il trabucco non vuole scomparire. È entrato nel sangue dei pescatori garganici, come uno di quei tesori tramandati di generazione in generazione. Così, Mimì Ottaviano ed Elia Ranieri, che di primavere ne hanno trascorse oltre 70, vivono ancora per il trabucco. I due amici sono diventati il simbolo di una battaglia contro la dimenticanza, che vorrebbe cancellare un?epoca intera. Assieme agli altri proprietari, fanno parte dell?associazione I trabucchi del Gargano promossa dalle sigle ambientaliste Italia Nostra, Legambiente e Wwf Italia. All?azione di recupero e di valorizzazione di questi manufatti, partecipano attivamente i trabuccolanti o trabucchisti, nomi diversi per identificare lo stesso mestiere, fatto di fatica, sudore, molta pazienza, qualche soddisfazione. Applausi da oriente In tutto sono 36 i trabucchi del Gargano: poco meno della metà completamente distrutti, neppure una decina quelli funzionanti. Da prendere a modello due tentativi ben riusciti di riconversione: Mimì ed Elia hanno pensato bene di realizzare una piccola trattoria, proprio a ridosso del loro trabucco. «Mogli, figli e nipoti portano avanti il locale mentre noi passiamo la maggior parte del nostro tempo sul trabucco: a volte peschiamo ancora qualcosa, e la gente dal parapetto applaude». È proprio questo l?obiettivo dell?associazione: far rivivere il passato, evitare l?oblìo, l?abbandono, o peggio la fatiscenza di queste strane macchine che hanno incuriosito persino la più importante rivista giapponese, Seven Seas – The magazine of the members elite. Nel settembre dello scorso anno, infatti, il giornale nipponico inserì il Gargano e i suoi trabucchi in una rassegna sulle bellezze artistiche italiane. «Se parliamo di turismo sostenibile, con percorsi e tappe legate alle tradizioni e alle vocazioni di un territorio, non possiamo trascurare questi capolavori» dice a gran voce Matteo Fusilli, presidente del Parco nazionale del Gargano e della Federparchi, la federazione nazionale dei parchi e delle aree protette. Non manca l?appoggio delle istituzioni, con la Provincia di Foggia che ha aderito all?associazione e i Comuni garganici pronti a gemellarsi con i centri di Abruzzo e Molise interessati da strutture molto simili ai trabucchi. Un mare di sentimenti Non ci sono solo ricordi belli sullo sfondo dei giganti del mare. Quando spira il vento e il sole comincia a calare, la leggenda racconta che i turisti più sensibili possono sentire echi lontani. Sono i canti tristi di chi attendeva l?arrivo dei pesci. Il trabucco non dimentica le lunghe ore di attesa: speranza, trepidazione, delusione. E poi le bevute nel casotto, insieme agli altri membri dell?equipaggio, per trovare la forza di tornare a casa a mani vuote, dalle famiglie affamate. Quanto costerebbe, adesso, un trabucco? Circa 15mila euro. Ma, ora, non servono altri trabucchi. Occorre, piuttosto, riparare quelli che già esistono. Bisogna fare in fretta, però, perché l?età media dei trabuccolanti sta aumentando. Sono in pochi, oggi, a conoscere questo mestiere d?altri tempi, questa preziosa arte dell?ingegneria, senza calcoli e strumenti. È un prodotto fatto con il buon senso, dettato dal bisogno, dall?urgenza di mandare avanti la baracca. Santi e miracoli La storia racconta anche di favole e di miracoli, di pescate memorabili con quintali e quintali di cefali grandi quanto uno stivale. Pare che, un giorno, si sia scomodato persino sant?Elia, artefice di una pescata senza precedenti. Non da meno furono santa Maria, san Giorgio, sant?Antonio e san Giuseppe. C?era pure il trabucco di Monte Pucci, il più pescoso. I vecchi del paese ricordano che per andare a lavorare lì, dovevi essere un «raccomandato di ferro». Usa proprio questa espressione, Mimmo Aliota, scrittore e storico del posto, che ha pubblicato di recente un libro su queste meraviglie. Strumenti di ansia, passione e lavoro che in un passato, neanche troppo lontano, hanno portato via con sé vite umane. Ma al compagno di lunghe giornate e notti insonni si perdona anche questo. L?ultima tragedia risale al 15 aprile 1997, quando un uomo di 50 anni restò intrappolato nel tramaglio della rete e un?onda grossa lo risucchiò senza lasciar traccia. Il paradiso? Già visto Mimì Ottaviano dal molo volge lo sguardo a oriente: in lontananza, si scorge, forse un po? sfumato, il profilo del suo trabucco. Fa un lungo sospiro e con le sue 70 primavere, ma forse sono anche di più, mormora fra i denti, un sussurro: «Ormai non mi importa di morire, non me ne preoccupo, io il paradiso l?ho già visto. Tante volte, dal mio trabucco».


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