Cultura

Giovani filantropi crescono

di Luigi Maruzzi



(…) E capito davanti a un tizio col quale concordiamo di distendere le gambe senza invadere lo spazio vitale altrui. È giovanissimo e dalla conversazione telefonica non so con chi, capisco che ha appena sostenuto un esame scritto all'università per una materia scientifica.

————————-

Mamma, come è tardi. Sarei tentato di trasformare in ferie la mattinata trascorsa fuori ufficio. Ma il treno sta già partendo e (stranamente) è pure in orario. Oltretutto la mia partecipazione al seminario di oggi pomeriggio è inderogabile.

Mi accomodo alla meglio cercando di salvaguardare la mia nuova giacca. C'è un signore che parla al cellulare con il vivavoce attivato. Decido di allontanarmi per cercare un posto più tranquillo. E capito davanti a un tizio col quale concordiamo di distendere le gambe senza invadere lo spazio vitale altrui. È giovanissimo e dalla conversazione telefonica non so con chi, capisco che ha appena sostenuto un esame scritto all'università per una materia scientifica. Finita la telefonata, mi rivolge la parola per chiedermi alcune informazioni sulle linee milanesi della metro. Gli rispondo…garbatamente, mentre continuo a scrivere sul mio taccuino. Non mi aspetto che da lì a qualche secondo potrebbe passare ad una specie di intervista: 《Che lavoro fa lei?》. Piuttosto diretto, il ragazzo. Non mi va di dargli soddisfazione se prima non si conforma al mio codice comunicativo e così devio il discorso sul suo esame con la scusa che anche mia figlia studia presso lo stesso ateneo. Ma lui, dopo questa parentesi, torna all'attacco. Senza riuscire a mettermi in difficoltà perché in realtà la risposta giusta ("mi occupo di finanziamenti in favore del terzo settore") ce l'avrei pronta, sperando di ridurlo al silenzio fino alla fine del viaggio. Eppure indugio, sono troppo curioso di vedere come reagisce questo "quasi millennial". 《Lavoro per la beneficenza》. E lui: 《come mio papà !》 accompagnando l'espressione con un pizzico di entusiasmo. A questo punto la questione si fa più seria e sulle prime non riesco ad intuire se stia scherzando o se si riferisca a tutt'altro genere di attività. Ho bisogno di sondare meglio il terreno: 《Ah, sì?》(……..)《 e come si chiama la charity per la quale lavora tuo padre?》. Mi fa un nome, e la sensazione di aver fatto centro diviene sempre più nitida. Spiazzamento totale. Fino a qualche minuto prima, la probabilità di incontrare il figlio di un funzionario mio omologo presso un altro ente filantropico, su uno dei tanti treni pendolari diretti a Milano ogni mezz'ora, rasentava lo 0,1 per mille.

Il discorso è andato approfondendosi, anche grazie alla consultazione online del bilancio pubblicato dalla charity in questione: l'importo devoluto su base annua, numero degli enti beneficiari, livello delle spese gestionali, governance, volume delle attività benefiche realizzate senza transitare dalle organizzazioni non profit, strutturazione sotto forma di gruppo.

Avrei voluto esibire i numeroni della mia fondazione, ma la circostanza si presentava talmente unica da farmi optare per il semplice ascolto. E poi ormai non c'era più tempo: ecco la stazione di arrivo. Una stretta di mano, la promessa di portare i miei saluti al suo papà (come se lo conoscessi) ed il classico augurio goliardico. Arrivederci, filantropo del futuro.

Photo by Mike Kotsch on Unsplash

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.