Il secondo incontro di “ci vuole una storia”, svoltosi presso la sede di Como dell'Università dell'Insubria e dedicato all’uso delle immagini da parte degli enti non profit, ci ha regalato delle lezioni che tutti coloro che operano nel terzo settore dovrebbero meditare con grande attenzione. È emerso, in modo inequivocabile, come l’autenticità sia molto più importante della qualità tecnica. Il video che ha suscitato il plauso di tutti, commovendo gran parte dei presenti, era certamente quello meno curato da un punto di vista tecnico, ma proprio perché è riuscito a cogliere, nella concretezza e nella quotidianità, l’essenza e il valore dell’attività della cooperativa SocioLario, ha potuto far breccia nel cuore di ciascuno. Il racconto di una madre che ha spiegato come, grazie al lavoro di questa cooperativa, sua figlia ha smesso di essere un’ammalata bisognosa di cure per iniziare a vivere, si è rivelato un messaggio potente e coinvolgente.
Con questo non si vuole affatto affermare l’inutilità di un lavoro volto a migliorare il prodotto da un punto di vista tecnico, cosa che ci auguriamo SocioLario possa fare al più presto, per rendere più efficace il proprio messaggio. Gli interventi dai tecnici dell’immagine e del suono sono infatti necessari, ma devono avvenire solo dopo che si è colta la realtà che si vuole comunicare, con l’obiettivo di raffinare e di levigare un lavoro che è già stato sostanzialmente compiuto, facendo anche attenzione ad evitare che una produzione troppo perfetta possa, in qualche modo, minare l’autenticità del messaggio. In un mondo in cui tutto è menzogna, chi, come chi opera nel privato sociale, può parlare in termini di verità, deve puntare su quest’ultima e lasciare i trucchi del mestiere a chi, non potendo contare sull’autenticità del proprio messaggio, deve necessariamente utilizzare altre leve.
Quando si lavora con le storie e con le immagini, il rischio più grande è però quello di affidarsi a costruzioni astratte, magari sofisticate, ma sostanzialmente false. A tal proposito trovo illuminante una poesia di Prevert, la quale ci ricorda che “quando lo si lascia solo, il mondo mentale mente monumentalmente”. Così, invece di approfondire la propria realtà, invece di penetrare nel senso più vero e profondo del proprio agire, ci si inventa una storia che, anche quando è vera, risulta falsa, perché strumentale. La storia cessa così di esprimere una realtà autentica, per diventare un espediente retorico attraverso il quale si spera di convincere gli altri (e forse anche noi stessi) del valore del lavoro svolto.
Un indicatore infallibile del fatto che si sia caduti in questo errore è dato dal bisogno che si prova di spiegare e di contestualizzare le proprie scelte. Proprio questo bisogno indica in modo inequivocabile la debolezza del nostro messaggio. Soprattutto quando si parla con le immagini, l’esigenza di argomentare mostra chiaramente che noi non abbiamo ascoltato la realtà, non l’abbiamo lasciata parlare, ma, al contrario, le abbiamo imposto un messaggio che spesso è il frutto di una nostra costruzione elaborata a priori, in un processo che, per quanto sofisticato, non cessa per questo di essere sofistico e, quindi, sostanzialmente falso.
Certo, bisogna essere consapevoli di come, oggi, sia quasi impossibile resistere alla tentazione di andare su google, digitare la parola solidarietà e quindi scegliere l’immagine che ci piace di più. Si tratta di un modo di operare semplice, veloce, garantito; ma pensare che quell’immagine possa realmente comunicare cosa la parola solidarietà significhi per la nostra organizzazione, è chiaramente illusorio. Riuscire a trovare nei gesti quotidiani e nelle concrete attività dei nostri enti, come questa parola si concretizzi, può essere infintamente più difficile e forse impossibile, ma quando ci riusciremo potremo avere a nostra disposizione uno strumento di comunicazione infinitamente più potente, perché autentico, delle più belle immagini che potremmo scaricare da Internet.
Ma forse il vero problema di tante organizzazioni non profit è che dedicano tutte le loro energie a fare quello che fanno invece di chiedersi perché lo fanno.
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