Immigrazione molto spesso significa sfruttamento delle persone, uno sfruttamento che fa leva sulla legge del più debole che pur di avere una piccola possibilità di riscatto accetta qualunque cosa. Uno sfruttamento che fa leva sulle difficoltà di chi, avendo perso tutto, non ha più nulla da perdere, la dignità prima di tutto. Uno sfruttamento che difficilmente viene punito mentre, molte volte, viene raccontato dalle cronache passando sotto ai nostri occhi distratti. Uno sfruttamento che dovrebbe essere denunciato più spesso e con più voce perché organizzato da persone che tali, forse, non si dovrebbero definire. È bello, però, incontrare storie diverse, che raccontano la voglia di fare qualcosa per cercare di cambiare un paese che ha molto da dare e in cui non tutto è perduto. C’è del buono in Italia e meriterebbe di essere raccontato di più. C’è del buono anche in Nocap il primo esperimento sociale basato sulla tracciabilità delle filiere agroalimentari che si pone l’obiettivo di contrastare il caporalato e il lavoro irregolare nel settore agricolo. Per farlo intende garantire ai produttori un costo equo e ai lavoratori la tutela e la garanzia dei loro diritti. Un progetto in fase sperimentale che si sviluppa in tre zone specifiche come Puglia e Sicilia nelle aree di Capitanata e del Ragusano dove vengono raccolti i pomodori trasformati, poi, in passata mentre in Basilicata, nel Metapontino, vengono raccolti e confezionati ortaggi freschi. Coinvolti in tutto questo un centinaio di braccianti e una ventina di aziende, possono sembrare piccoli numeri all’apparenza ma sono importanti e fondamentali per poter contrastare un sistema di sfruttamento lavorativo che non si può più giustificare e che non deve appartenere a una società civile.
I ragazzi che fanno parte di queste attività sono stati tutti sottratti alle baraccopoli e ai ghetti territoriali organizzati dalla malavita gestita dai caporali. Ghana, Senegal, Mali, Gambia, Burkina Faso e Costa D’Avorio da qui, il più delle volte, arrivano i nuovi contadini fantasma di cui sappiamo ma di cui, per comodità, non ci ricordiamo. A loro, grazie a questa iniziativa sono stati garantiti un lavoro tutelato e dignitoso, luoghi adatti in cui vivere, mezzi di trasporto idonei per recarsi nelle aziende e nei campi agricoli, visite mediche regolari, dispositivi di sicurezza come tute, guanti e scarpe antinfortunistiche per lavorare senza dover rischiare la vita più di quanto non abbiano già fatto, bagni chimici quando necessari.
Una prima filiera etica quindi è possibile ed è resa concreta grazie all’intesa tra il Gruppo Megamark di Trani che si occupa di distribuzione moderna con oltre 500 supermercati nel Mezzogiorno, l’associazione internazionale contro il caporalato No Cap e associazione Rete Perlaterra che unisce le imprese che promuovono pratiche agroecologiche di lavoro.
Nei supermercati si possono già trovare non solo conserve ma, anche, tanti prodotti freschi. Nei supermercati possiamo imparare non solo ad essere più consapevoli ma a scegliere i prodotti migliori: quelli che stanno dalla parte giusta, quelli che non sfruttano i lavoratori e che non giustificano la schiavitù. Sembra strano ma, nel nostro piccolo, possiamo fare molto. Basta saper scegliere. Anche mentre si fa la spesa.
Storia raccolta da Rossana Cavallari
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