Cultura
Scrittori scorticati dalla vertigine del male
Recensione del libro "Gente che uccide" di John Connolly.
A meno che non si estenui in un?estetizzante merlettatura del vuoto, come avviene in molta della letteratura cosiddetta alta, il linguaggio della poesia e della prosa riesce ancora a far emergere le lacerazioni del mondo, della storia e dell?individuo che erano e rimangono indicibili in un linguaggio puramente concettuale. Di fronte a qualche pagina di Faulkner o Beckett, le più imponenti cattedrali filosofiche sembrano muti simulacri d?intelligenza sterile. Ecco perché in Figure del male (Feltrinelli, 15 euro), Franco Rella gira le spalle alla filosofia e si va a cercare le forme del dolore e della violenza nelle opere letterarie. E mica solo in quelle eccelse. No, per Rella, oggigiorno è la letteratura di genere a mostrare con più verità le ?figure del male?. E la cosa, aggiungiamo noi, si può estendere anche al cinema: le Iene di Tarantino o certe pellicole di Abel Ferrara non ci mostrano forse la schiumante vertigine del male con una forza che un Wenders neanche si sogna? Ma torniamo alla letteratura. Ovvero a Gente che uccide (Rizzoli, 17,50 euro), l?ultimo thriller di John Connolly. Alla stregua di un Dostoevskji selvaggio, di uno Stephen King ma con la sensibilità dello scorticato, Connolly mostra con allucinata foga visionaria, accesa da un lirismo lancinante, quella tenebra che la letteratura alta non sa quasi più mai dire. E lo fa anche attraverso le discese agli inferi di novelli Raskolnikov o Stravrogin, resuscitati nello squallore della provincia Usa.
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