Le cronache italiane hanno riportano, ieri, un caso di sanità britannica, un caso agrodolce: di una bambina di tre anni che muore, a causa di una malattia degenerativa, la Leucodistrofia metacromatica. Una patologia che non lascia scampo nella fase conclamata, sintomatica. Ma nella vicenda c’è anche la sua sorellina, di 19 mesi, che invece, grazie alla terapia genica, si salva. È la storia, drammatica di due bimbe, Nala e Teddi, di una madre, Ally, e di un padre Jake, la storia degli Shaw, divisi fra il lutto lacerante e la gioia di una seconda morte scampata. Le cronache dimenticano però un dettaglio: la terapia che ha salvato la piccola Teddi, il Libmeldy, è nata nel laboratorio Tiget di Telethon al San Raffaele di Milano. «Il farmaco è frutto della ricerca di Luigi Naldini, mentre Alessandro Aiuti ne ha curato lo sviluppo clinico», racconta al telefono Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon.
Pasinelli, cosa ci dice questa vicenda inglese?
Che un farmaco, interamente sviluppato in Italia, per curare una malattia genetica rara, adesso viene utilizzato nel mondo. Ci dice, in questi due casi speculari delle sorelline Shaw, che una bambina, Nala, non può essere purtroppo curata perché nella fase, sintomatica e devastante, di quella patologia.
Che patologia è quella di cui si parla.
Una malattia genetica gravissima, i cui sintomi compaiono purtroppo un bel po’ dopo la nascita e che comporta una neurodegenerazione legata al difetto di un enzima. Quando i sintomi compaiono è, in genere, troppo tardi. Come nel caso di queste due sorelline, dopo la diagnosi, si corre a verificare se anche altri fratelli o sorelle, se ci sono, non abbiano ereditato la stessa malattia. Purtroppo poi la progressione della malattia è rapidissima e in genere, nel volgere di due anni, i bambini muoiono.
La malattia di Nala ha consentito di salvare Teddi. È dura da ascoltare.
Durissima per la famiglia, immagino. I primi tempi che mi occupavo di malattie rare e conoscevo questi genitori, non mi capacitavo di come potessero resistere a tanto dolore. E questa vicenda ci insegna un’altra cosa.
Prego, Pasinelli.
Che lo screening neonatale è fondamentale: perché questa mutazione prima viene intercettata, meglio è; tanto più piccolo è il bambino, tanto più efficace la terapia. Che adesso c’è, esiste. E non dobbiamo esitare a lavorare per la diagnosi precoce. Con la comunità dei pazienti abbiamo attivato col ministero della Salute il percorso per arrivare allo screening. E un progetto sperimentale, triennale, proprio sulla Leucodistrofia metacromatica, è stato annunciato, nel luglio scorso, dall’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze.
Nel caso della sorellina salvata, ha fatto scalpore che la terapia sia costata 2,8 milioni di sterline. Tanto che i genitori hanno sentito il bisogno di ringraziare pubblicamente il National Health Service-Nhs, il servizio sanitario inglese.
Sì è molto costoso, perché si tratta di pochissimi casi e quello che le aziende farmaceutiche debbono fare, a livello di sviluppo e produzione, ha costi ingenti, abnormi. Però può essere davvero fuorviante partire da quel dato.
Spieghiamo perché.
Perché si parla, non di 150 pazienti all’anno in un Paese, qui “rarità” vuol dire, talvolta, 10 pazienti al mondo. Però potremmo avere regalato loro una vita intera, perché no 80 anni di sopravvivenza, a questa bambina, a Teddi. E quel costo, in una corretta valutazione di costi-benefici, andrebbe “spalmato” su 29mila e passa giorni.
In effetti farebbe 96 sterline al giorno.
Appunto, costano molto di più tante terapie croniche. Ma non voglio fare difese d'ufficio delle case farmaceutiche.
Tanto più che quando rinunciano a distribuire queste terapie, come abbiamo raccontato su VITA, ve ne siete fatti carico voi. Penso al caso del farmaco Strimvelis.
Esattamente. Un farmaco che cura l’Ada-Scid, malattia che può portare alla morte già nell’infanzia e che opera sulle immunodeficienze primitive. Un farmaco che serve a 40 pazienti. E presto “ritireremo”, come si dice, un’altra terapia, che cura la sindrome di Wiskott Aldrich. Abbiamo deciso che faremo noi, perché non possiamo permettere che nessuno resti indietro. Nessuno.
Storie come questa evidenziano in maniera plastica l’importanza di Telethon e quanto abbiano ragione, gli italiani, a volervi bene: oltre 56,5 milioni di donazioni nella Maratona di dicembre.
Grazie. Ed effettivamente storie come queste, pur nelle loro drammaticità, esemplificano bene l’efficacia di questo sistema di ricerca finanziata dai cittadini. Noi non facciamo solo ricerca sulle basi di una patologia, ci mettiamo nelle condizioni di sviluppare la terapia genica fino in fondo, per poi “licenziarla” ad aziende in grado di commercializzarla.
Non le fa rabbia, in questi momenti, trovare quelli che, sui social, magari alimentano leggende nere sul vostro conto?
Guardi, io mi ci sono un po’ abituata. Ogni tanto, qualcuno lo dice: «Dove vanno a finire questi soldi?». Finiscono a sviluppare farmaci salvavita, oltre a tanta ottima ricerca, messa a disposizione della comunità scientifica internazionale, di altri ricercatori che, da lì, possono progredire. Così come anche noi facciamo nei nostri laboratori. No, non credo che questo livello di protesta sia comprimibile, sappiamo che esiste ed esisterà sempre.
Si è mai chiesta il perché?
Un po’ di cultura del sospetto e un po’ di quella maldicenza che esistono da sempre nel nostro Paese. Quello che possiamo fare è dire alle persone di informarsi, di controllare, di saperne di più.
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