Scordiamoci le “tre S” che fanno girare l’economia: sesso, soldi, sangue. Nel XXI secolo la sessualità, grande protagonista del secolo precedente, sembra avviata verso una dissoluzione, come pratica ma persino come tema. «Il problema è immenso, le discussioni che lo riguardano sono squittii di un topo», afferma lo psicoanalista e sociologo Luigi Zoja, che ha appena dedicato al tema il saggio Il declino del desiderio (Einaudi). «Si crede scontato che la caduta delle barriere sessuali abbia donato all’umanità una maggiore e migliore soddisfazione degli impulsi erotici. Tanto gli individui quanto la società complessivamente vivrebbero con meno ansie il desiderio e sperimenterebbero anche un rapporto più rilassato col proprio corpo. Se, però, le nevrosi e le patologie psichiche fossero globalmente conteggiabili, le cifre ci direbbero che esse sono in crescita: i dati segnalano aumenti molto forti nelle psicopatologie dei minorenni, quindi dei futuri adulti. In particolare, sembra sbriciolarsi il modo in cui i più giovani vivono il proprio corpo», scrive Zoja.
Quanto è grave questo declino del desiderio? Qual è il vissuto, in particolare dei più giovani?
Il ritiro dal sesso è un dato di fatto nell’Occidente più ricco. Nemmeno l’avvento delle app per incontri ha corretto questa rotta, anzi si è rivelato persino controproducente. Le istituzioni pubbliche che misurano la vita sessuale del cittadino segnalano tutte una diminuzione netta dell’attività sessuale, specialmente tra i più giovani. In Gran Bretagna sono state fatte tre National Survey of Sexual Attitudes and Lifestyles, nel 1990-91, nel 1999-2001 e nel 2010-12: nella terza indagine, che include i nati negli ultimi anni del secolo, il 97% della popolazione continua a dichiararsi eterosessuale ma la frequenza mediana del rapporto eterosessuale nelle quattro settimane precedenti l’indagine è diminuita da 4 a 3 volte. Fra i maschi (non solo fra gli adolescenti) la masturbazione è l’attività sessuale prevalente. Due ricerche nazionali tedesche, del 2005 e del 2016, mostrano come la percentuale di individui fra i 18 e i 30 anni sessualmente inattivi è passata dal 7,5 al 20,3 per cento, quasi triplicata in soli undici anni. In Giappone già nel 2015 il 43 per cento dei single fra i 18 e i 35 anni era vergine e anche fra i coniugati il 47 per cento dichiarava di non aver avuto rapporti nell’ultimo mese. In generale vediamo come la curva che misura l’attività sessuale delle persone si appiattisce nel passaggio dal secolo scorso a quello attuale e poi diminuisce, pur non essendoci più divieti in campo sessuale. Questo ritiro dal sesso si sovrappone sia a quella che oggi è la principale patologia delle giovani generazioni, il ritiro sociale, sia ad un malessere legato alla propria identità corporea, al rifiuto del proprio corpo, da cui derivano patologie nuove come il cutting e i gesti di autolesionismo.
Lei scrive che «gli adolescenti si tagliano braccia e gambe, si sfigurano per odiare meglio sé stessi davanti allo specchio» e dall’altra parte racconta come in questa cattiva relazione con il proprio corpo c’è la ragione di un «allontanamento da quelle forme di sessualità che comportano relazione: i dati mostrano infatti come siano spesso accompagnate da un aumento della masturbazione, sia maschile che femminile. Questa fuga dalla intimità dei corpi è una fra le tante manifestazioni di un profondo disagio esistenziale e di un odio per sé stessi, a cominciare dalle proprie forme fisiche».
Non si sta bene nel proprio corpo. Il corpo era sempre stato il principale supporto della nostra esistenza, mentre oggi è diventato qualcosa di quasi separato da me, un oggetto che si cerca di modificare continuamente per esibirlo, ma di cui non si è mai soddisfatti. Il digitale ci dà l’illusione di essere in relazione con gli altri ma in verità la nostra immagine sostituisce la nostra realtà, con una distanza crescente fra l’essere e l’apparire che ci porta a disprezzare ciò che è per apprezzare solo ciò che appare. Già Eschilo diceva "preferiscono l’apparire all’essere e così fanno torto alla giustizia", ma oggi la tecnologia ha aumentato enormemente il gap tra essere ed apparire, in maniera irreversibile: possiamo educarci ed educare a questo, ma sarà sempre una limitazione del danno.
L’altro non ci interessa più?
Ci interessa di meno.
La rivoluzione sessuale è un simbolo della libertà e della società aperta, ma alla prova dei fatti – lei scrive – la società del XXI secolo è «una società che vive il desiderio in maniera ansiogena, per cui in contrasto con l’essenza del desiderio quanto più a esso si aprono possibilità, tanto più sembra che l’uomo si chiuda spaventato. Tanto che anche i bisogni di mangiare o di dormire oggi si scontrano con patologie nuove».
Il fatto è che qualunque soddisfazione del desiderio, quando non è più commisurata alla natura umana, porta alla nausea. Negli anni ‘80 è iniziata la bulimia del desiderio, che non ha più nulla a che fare con la soddisfazione. Il tema non è tanto la scomparsa del desiderio ma una cattiva gestione sociale e culturale dei desideri, per cui il continuo aumento del consumo porta alla nausea. La sfida oggi è quella di intervenire sulla malattia del desiderio, ma non mi farei troppe illusioni che si possa guarire. Cosa ci vuole? Un’educazione. Difficile dire da dove cominciare, perché nessun passo è sufficiente da solo ma tutti sono necessari. Forse da una parola che vuol dire niente e tutto, consapevolezza. Perché genitori, insegnanti e educatori oggi sono spaventati dai problemi che gli adolescenti e i giovani vivono nella relazione con il proprio corpo e nella relazione con il desiderio, ma non sono consapevoli di cosa davvero significhino.
L'intervista è stata pubblicata sul numero di VITA di maggio, all'interno di un grande racconto del malessere della Generazione Z: copia della rivista, intitolata "Gioventù bruciata", sia cartacea sia digitale, può essere acquistata dallo store del sito di VITA.
Foto di Adrian Infernus su Unsplash
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