Massimo Robberto

La scienza ha senso solo se obbedisce alla realtà

di Redazione

Intervista all'astrofisico italiano della Nasa: «Nella scienza affermare la realtà, guardarla e obbedire a ciò che essa suggerisce, è un fattore totalmente dominante. Senza di esso, semplicemente non si fa scienza. Lo scienziato che ti dimostra che Dio non esiste? Questa cosa non è possibile, perché Dio, per definizione, è l’Altro, è ciò che eccede la realtà, dunque è oltre l’orizzonte scientifico»

Massimo Robberto è un astrofisico. Da oltre vent’anni lavora allo Space Telescope Science Institute di Baltimora, dove ha guidato, come responsabile, il team che si occupa dello strumento principale di cui è dotato il James Webb Telescope (una specialissima fotocamera a raggi infrarossi che si chiama NIRCam, Near Infrared Camera).

Lei si è laureato in Fisica, cum laude, all’Università di Torino. Poi il PHD in Astronomia. Infine il lavoro: per una decina d’anni ricercatore di ruolo presso l’Osservatorio di Pino Torinese. Come è finito a Baltimora, a lavorare per la Nasa?
Ho colto le occasioni che mi si presentavano, senza fare troppi calcoli sul posto sicuro, o su come mantenere uno stipendio fisso… ho accettato i rischi connessi a prospettive allettanti dal punto di vista professionale, ma incerte da quello della durata. Da Torino sono andato al Max Planck Institut für Astronomie di Heidelberg, dove sono rimasto quattro anni. Poi, nel ’99, ho vinto un concorso indetto dall’Agenzia Spaziale Europea che mi ha mandato a Baltimora, allo Stsi, a lavorare su Hubble. Lì, prima di occuparmi di James Webb Telescope, mi sono fatto le ossa come responsabile per il canale infrarosso della Wide Field Camera 3, l’ultimo strumento installato a bordo dell’Hubble Space Telescope. Quando mi hanno chiesto di tornare in Europa si è fatta sotto la Nasa… Già a Torino avevo cominciato a specializzarmi nell’ideazione, costruzione e utilizzo di strumenti astronomici innovativi. Ho concepito Space, un satellite per lo studio della Dark Energy che l’Esa ha selezionato e integrato in Euclid, un telescopio spaziale che verrà lanciato entro l’anno. Per i telescopi terrestri, in questo momento sono il Principal Investigator di due strumenti in costruzione: Scorpio, lo strumento principale del telescopio di 8 metri Gemini South, e Samos, uno spettrografo di nuova generazione per il telescopio Soar da 4 metri. Gemini South e Soar sono entrambi in Cile. Nel passato ho costruito la camera infrarossa Maxper il telescopio Ukirt alle Hawaii, all’epoca il più grande telescopio infrarosso al mondo. Questi progetti da terra non sono esattamente il terreno della Nasaper cui li seguo come ricercatore per la Johns Hopkins University.

E per la Nasa cosa fa?
Lanciato James Webb, mi sono preso un anno sabbatico. Cioè mi sono messo a lavorare di più. Ho lasciato il posto di manager di NIRCam alla mia vice e mi dedico all’interpretazione dei dati che il telescopio ci invia dallo spazio. Senza smettere di seguire la costruzione dei due strumenti per la John Hopkins, naturalmente. Faccio scienza, come sempre. In un certo senso mi godo i frutti di tanti anni di lavoro. Il mio campo tradizionale di ricerca è la formazione delle stelle e dei pianeti sia vicino a noi che un po’ più in là, nelle galassie vicine. E non c’è nulla di più avanzato, oggi, per progredire in questo settore di studi, dei dati che riceviamo dal James Webb Telescope.

Se mi permette una metafora, le vorrei chiedere: che bisogno c’è di lanciare questi “occhi” nell’universo?
Webb è un telescopio infrarosso disegnato per lavorare a lunghezze d’onda che da Terra sono praticamente inosservabili. Ci permetterà di andare molto più vicini al Big-Bang, all’origine dell’universo.

Leggo, in un sito specializzato, che ci permetterà di osservare l’universo profondo, quando aveva appena 100 o 200 milioni di anni…
È così. Abbiamo già dei dati sorprendenti, tutti da interpretare. Non ci aspettavamo, per esempio, di trovare galassie così formate, “mature” per così dire, quasi a ridosso del Big-Bang. Su questo enigma sono già al lavoro scienziati di tutto il mondo.

Recentemente sono stato a Praga. Nella chiesa di Santa Maria di Týn ho visto la tomba di Tycho Brahe. Devo dire che mi sono commosso. Quest’uomo, che nella seconda metà del 1500 costruì un imponente osservatorio astronomico sull’isola di Hven, tra Svezia e Danimarca, ha regalato all’umanità un cielo più ampio. Il cielo, prima di lui, era più piccolo! Ho pensato che lei, e tutti i suoi collaboratori, fate la stessa cosa. Ci regalate un cielo più ampio. Da visitare con gli occhi della scienza e il propellente dell’immaginazione. È un cielo profondo circa 13 miliardi di anni. Ma alla fine, in un certo senso, è anche la nostra casa. Una casa che non abbiamo ancora finito di scoprire. Allora le voglio fare una domanda di carattere più generale. Cosa muove lo scienziato? È la stessa cosa che muove il filosofo, il medico, il politico, lo sportivo… il pubblicitario, nel mio caso… o è altro?
Forse la cosa che unisce, che dovrebbe unire tutti è l’amore al vero. È affermare la verità prima del tuo preconcetto, della tua opinione. Questo comporta anche ammettere che hai sbagliato. Quello che dovrebbe guidare è l’obbedienza alla realtà, alla verità della realtà. Per noi – ma dovrebbe essere per tutti, anche se qualche volta ti viene il sospetto che qualcuno ci giri intorno – per noi è fondamentale. Di più: vitale. Nella scienza questo aspetto di affermare la realtà, di guardarla e obbedire a ciò che essa suggerisce, è un fattore totalmente critico e dominante. Senza di esso, semplicemente non si fa scienza. Questa è la prima cosa che mi viene in mente. Penso che lo stesso valga per il medico che guarda il paziente. Se il medico non obbedisce alla realtà, sbaglia diagnosi, ed è un guaio. Per chi fa scienza, insomma, l’obbedienza alla realtà è la natura stessa del lavoro. In altri settori forse è più un principio, che però vale per tutti… anche per i pubblicitari come te! Poi ognuno deve trovare, nel proprio ambito, le proprie regole di applicazione…

Ma non c’è un po’ un pericolo, quando dice che la verità, o l’obbedienza alla verità che la realtà ti mostra, è il contenuto stesso del procedere scientifico… non c’è il pericolo di cadere in una specie di positivismo ingenuo, per cui l’unica verità oggettiva è quella scientifica? Su temi etici, per esempio, questo lo trovo difficile da sostenere. E se domani una intelligenza artificiale ci dicesse, dati alla mano, che uccidere tutti gli abitanti del Madagascar porterebbe del giovamento al pianeta, come dovremmo comportarci? Io credo che dovremmo sempre dire così: la verità è il contenuto della scienza, ma non tutta la verità può essere contenuta dalla scienza
Ma sono assolutamente d'accordo. Anzi, ti dico che è talmente ovvio che quasi non c’è da parlarne. Secondo me, poi, bisogna guardarsi dalle opinioni di scienziati che parlano di cose che non sono il loro francobollo scientifico. Bisogna guardarsene perché non esiste una sorta di autorevolezza superiore che possiamo attribuire allo scienziato in quanto tale, magari sulla scorta dei suoi successi e anche, oggi, per la popolarità mediatica raggiunta con le partecipazioni ai talk show o grazie a una certa attività insistita sui social. Su un tema che non è lo specifico suo… e nel caso della scienza moderna, lo specifico di ogni scienziato è davvero molto specifico… su un tema che non è lo specifico suo la sua opinione vale quanto quella di mia zia. Ti dirò di più: questo fatto che qualche scienziato usa la propria autorevolezza per contrabbandare come scienza ciò che è solo una sua opinione, indebolisce proprio l’autorevolezza della scienza, perché la trascina in un territorio dove non si sa più cos’è oggettivo e cosa no. Qui negli Stati Uniti questo è evidente. Pensa a posizioni irragionevoli come il Creazionismo, il rifiuto dell’Evoluzione… pensa al rifiuto dei vaccini! Come interpretare questi fenomeni se non come reazione a uno scientismo aggressivo, che non tollera altro che la propria autorità autoconferita. Le faccio l’esempio più banale. Lo scienziato che ti dimostra che Dio non esiste. Questa cosa non è possibile, perché Dio, per definizione, è l’Altro, è ciò che eccede la realtà, dunque è oltre l’orizzonte scientifico. Allora se tu mi dici “ti dimostro che Dio non esiste” è chiaro che arriva una controreazione che dice: la tua scienza è stupida. E così, insieme all’opinione dello scienziato, che come tutte le opinioni è discutibile, si butta via anche la sua scienza, sulla quale, invece, non dovremmo avere dubbi.

Forse sia lo scientismo, sia l’opposizione alla scienza – quella dei no-vax, ma anche il negazionismo climatico, se posso aggiungere – sono entrambi estremismi…
Sono estremismi che non rispettano il metodo scientifico. La scienza si muove raggiungendo livelli sempre più avanzati di certezza, che però non si esauriscono mai. L’arte dello scienziato, se così si può dire, consiste nel capire sempre meglio quello che si è già capito.

Mi spieghi…
Per lo scienziato non si tratta mai di buttare via ciò che è stato compreso in passato. E non si tratta mai nemmeno di esaurirlo, di capirlo una volta per tutte. La comprensione dello scienziato è sempre progressiva. Noi abbiamo lanciato il James Webb Telescope, e con lui adesso rifacciamo studi che avevamo già fatto trent’anni fa con strumenti meno potenti. Ma anche trent’anni fa vedevamo cose bellissime, e la conoscenza progrediva. Solo che gli strumenti erano più deboli, e confondevano le stelle con le galassie, per esempio… lasciandoci un po’ confusi. Si costruisce una nuova macchina per sfondare i limiti della vecchia… il maggiore dettaglio con cui riusciamo a guardare le stelle oggi aprirà livelli più profondi dai quali sorgeranno domande nuove, che trent’anni fa non avremmo potuto nemmeno porci. In sintesi: non buttiamo via la roba di trent’anni fa. Tutto quello che sta ai fatti è giusto, poi ci si può avventurare in speculazioni, ma questo è un altro discorso. Noi continuiamo ad approfondire. Io dico sempre ai miei studenti: l’arte della scienza non è tirare fuori un numero. Non è misurare una cosa. È ridurre il grado di incertezza. La misura non è dire: è un metro e settanta. È dire: un metro e settanta più o meno. È su quel “più o meno” che si gioca la scienza. Perché dire “più o meno” cinque centimetri o un millimetro fa capire cose diverse del modo in cui la realtà funziona.

Sa cosa dice Carlo Sini?
Il filosofo?

Sì. Dice che questa faccenda della scienza è una faccenda essenzialmente cristiana. L’ho letto in un suo bel libro sul linguaggio, che si intitola IdiomaMi ha colpito perché, a quanto ne so, Carlo Sini non è esattamente un apologeta del Cristianesimo. Eppure dice, testualmente: “La scienza moderna nasce dal popolo di Dio, dalla sua laboriosa humilitas, dalla sua esaltazione del lavoro di contro all’otium saggio e orgoglioso dei pagani; nasce dal problema delle anime individuali da salvare e ricondurre al paradiso evangelico”. In altre parole, per Sini, la scienza è il progetto tutto cristiano, attribuibile a Francesco Bacone, di un nuovo linguaggio per interpretare la realtà. Un linguaggio delle “opere”, più inclusivo e accessibile, da contrapporre al linguaggio delle “parole”, aristocratico e astratto, dei retori antichi e della Scolastica coeva a Bacone. Un pensiero abbastanza sorprendente, non trova? Secondo lo stereotipo che viene sempre proposto, anche in modo militante, la religione sarebbe il territorio della superstizione e la scienza quello della verità. Ora, naturalmente, ho sollevato questo tema perché lei è credente…
La scienza nasce da una passione per la realtà e da una passione per l’uomo, per tutti gli uomini: per il grande imperatore come per l’ultimo reietto della Terra… Questa passione, questa passione così comprensiva intendo, nella quale nessuno è escluso, credo che nella storia l’abbia portata il Cristianesimo. Ho poi un’idea mia, che però non c’entra tanto con la religione o le religioni in generale, ma proprio solo con il Cristianesimo. Il cristiano dice una cosa stravagante, se non assurda. Dice che uno è risorto dai morti. Ora, per sostenere una cosa del genere, per essere credibile e non cialtronesco in questo tipo di claim, come si dice in inglese, devi essere a un livello di razionalità e di attaccamento alla realtà superiore a quello normale, perché altrimenti passerai per un fesso credulone. Non so se mi spiego. Per non essere considerato uno che afferma delle cose che sogna, e che si beve tutto e quindi va in giro a dire questa stravaganza di uno che è risorto dai morti, devi dimostrare una razionalità a prova di bomba. Devi essere più materialista del materialista ateo, mi viene da dire…

Il suo collega Carlo Rovelli forse non la penserebbe allo stesso modo.In un libro intitolato “La realtà non è come ci appare”, a un certo punto riprende un passo del Fedone di Platone, e lo commenta in un modo che mi ha lasciato di stucco: “Socrate dice di ‘ritenere’ che la Terra sia una sfera, con grandi valli dove vivono gli uomini. E aggiunge: ‘Non sono sicuro’. Questa pagina vale assai più delle sciocchezze sull’immortalità dell’anima che riempiono il resto del dialogo”. Subito dopo fa l’elogio di quel ‘non sono sicuro’, perché afferma: “Questa acuta consapevolezza della nostra ignoranza è il cuore del pensiero scientifico. È grazie a questa consapevolezza dei limiti del nostro sapere che abbiamo imparato così tanto sul mondo”. Mi fa specie che una persona così intelligente, quale è Rovelli, non si accorga della contraddizione enorme nella quale si dibatte il suo pensiero. Da una parte fa, giustamente, l’elogio di quel ‘non sono sicuro’. Dall’altra, nello stesso capoverso addirittura, dice: “tutte le sciocchezze contenute nel resto del dialogo”. Si lascia quindi andare, con una sicumera del tutto apodittica, e senza portare argomenti a sostegno, a un giudizio sprezzante, arrogante, che viene spacciato come verità assoluta, certa.
Mi sembra un bell’esempio di quello scientismo aggressivo che poi porta ad avere sfiducia nella scienza, di cui dicevamo prima. Poi mi viene in mente che forse si deve spiegare bene che cosa si intende con quel ‘non sono sicuro’, perché altrimenti rischiamo di fare di nuovo confusione su cosa è scienza e cosa no. Quando dici che la Terra è una sfera e poi dici ‘non sono sicuro’, cosa intendi? Che potrebbe essere una banana? O stai dicendo che potrebbe essere leggermente schiacciata ai poli, cioè di forma sferica ma non perfettamente sferica perché la sfera perfetta è un’idea matematica (riecco Platone… ndr)? Se con ‘non sono sicuro’ dici che potrebbe essere qualsiasi cosa, non stai facendo scienza, perché tutta l’evidenza dice che la Terra è sostanzialmente sferica. La scienza la fece Eratostene, a quei tempi, che misurò la circonferenza della Terra sbagliando di pochi chilometri, e dunque restrinse lo spazio, secondo quanto allora era possibile, del “più o meno”…

Ma non credo che Rovelli intendesse dire che vale tutto… Il suo libro – che a parte quella caduta di tono, è davvero bello – non dice che la Terra potrebbe anche essere una banana…
Giustamente. Quel ‘non sono sicuro’ è la riserva che si tiene lo scienziato per accedere a un livello di comprensione più profondo… che però non annulla il precedente, lo integra. Quando lo scienziato dice che la Terra potrebbe non essere esattamente una sfera, sta scoprendo che esiste il momento angolare, e che la Terra è plastica, che nella sua struttura non è un corpo rigido. Da questo punto di vista quel ‘non sono sicuro’ di Platone è bellissimo, perché apre a livelli di conoscenza sempre nuovi. Ma non dobbiamo scambiarlo con il dubbio sistematico. Il dubbio è sopravvalutato. Noi non dubitiamo della sfericità della Terra, non dubitiamo di ciò che abbiamo acquisito in passato. Lo precisiamo. Il dubbio nasce soltanto quando c’è un’affermazione così stravagante, e così ancora poco supportata dai dati che uno scienziato, come qualsiasi persona ragionante, dice: aspetta un momento. Calmiamoci e cerchiamo di vedere bene. Quando sono stati visti i neutrini andare più veloci della luce, sono stati gli stessi scienziati ad avanzare dei dubbi, perché la cosa sembrava totalmente folle. E l’errore è stato trovato. Ma nella pratica della scienza quotidiana non avanzi per dubbi. Avanzi per curiosità del bello e del vero.

Per tornare a cose più ‘astronomiche’… cosa dobbiamo aspettarci dai dati che James Webb Telescope invia agli astronomi di tutto il mondo?
Questa è facile. Esiste una specie di rassegna stampa che comunica quasi ogni giorno le scoperte di Webb. La missione è ancora giovane per cui queste scoperte sono spesso sorprese che hanno un bell’effetto mediatico, ma che poi hanno bisogno di essere studiate, misurate e confermate. Quando apri una nuova finestra nell’universo vedi un’enormità di cose nuove, ma poi per capire devi ripetere le stesse osservazioni molte volte. Devi ridurre le incertezze. Devi vedere se hai trovato un oggetto estremamente esotico oppure no. Il fatto è che con Webb vediamo a profondità temporali pazzesche, vediamo una fase giovanissima dell’universo… e la prima sorpresa, come accennavo, è che a queste distanze ci aspettavamo di trovare galassie molto piccole, che si stanno ancora aggregando come dei brufolini, piccoli ammassi… e invece troviamo galassie già ben formate. Questo ci costringerà ad approfondire la nostra conoscenza dei processi che presiedono alla formazione delle galassie. Ancora una volta, la conoscenza procede integrando e allargando ciò che già sappiamo. Un’altra sorpresa è di pochi giorni fa. Sembra che abbiamo trovato l’acqua su un pianeta roccioso. Non si tratta naturalmente della prima osservazione di acqua nell’universo. Acqua ce n’è tantissima nell’universo. H2O è una molecola che non è banale rompere, per cui la trovi facilmente nell’atmosfera dei pianeti ma anche nelle zone fredde delle stelle, nelle macchie solari, in forma di vapore acqueo, naturalmente. In questo caso l’acqua potrebbe essere sul pianeta, in forma liquida, dentro le rocce, ma dobbiamo prendere altri dati per essere sicuri che non sia invece sulla stella… sarebbe una scoperta molto affascinante, potrebbe essere la cosa più vicina alla Terra che abbiamo scoperto fino ad ora. Un’altra cosa che Webb potrà rilevare sono le fusioni di due stelle di neutroni. Attenzione, non buchi neri, stelle di neutroni. Devi immaginarteli come due nuclei atomici, entrambi più grandi del nostro sole. Quando si scontrano, e si fondono, abbiamo un fenomeno che si chiama kilonova, che produce onde gravitazionali e una quantità di materia enorme. Masse di oro,aurum, grandi quattro volte la Terra… per farti il primo esempio che mi viene in mente. Un altro fenomeno che Webb ci aiuterà ad osservare è quello dei sistemi di galassie che ruotano intorno a un buco nero dalle dimensioni mostruose. Immagina 200 galassie che si muovono legate tra loro dalla gravità, che danzano, in un certo senso, intorno a un buco nero, o intorno a una specie di galassia regina, una specie di ape regina che al suo interno ha un grosso buco nero. Questo è uno dei fenomeni più affascinanti, e potrà farci procedere ulteriormente nella conoscenza della gravità e della materia oscura.

Ma se adesso le chiedessi di indicarmi dov’è, nel cielo, a 150 milioni di chilometri, James Webb Telescope, saprebbe dirmelo?
Certo, è lì…

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