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Adozioni, facciamole ripartire

Nel 2018 in Italia le adozioni potrebbero scendere sotto quota mille, in linea con il crollo mondiale. Le ragioni sono molteplici: costi eccessivi (dai 15 ai 45mila euro), tempi lunghi e spesso imprevedibili, esito incerto, l’avvento (e la gratuità) di altre forme di genitorialità. Ma anche gli scandali veri o presunti, i dubbi sulla legalità delle procedure all’estero, lo sviluppo in molti Stati di altre forme di protezione dell’infanzia. Eppure in questi anni il bisogno non è sceso. Sul numero in distribuzione dal 6 luglio, il punto e la road map per ripartire

di Sara De Carli

Più di 50mila in diciotto anni. Ci siamo arrivati a marzo 2018, nel silenzio generale: o meglio, mentre tutti eravamo impegnati a denunciare il costante e probabilmente irreversibile crollo delle adozioni internazionali. Dal 16 novembre 2000 al 31 aprile 2018, mettendo in fila i dati della Commissione Adozioni Internazionali, sono 50.152 i minori a cui coppie italiane hanno dato una famiglia: la storia delle adozioni internazionali è iniziata molto prima e gli italiani adottati da un altro Paese del mondo sono di più, ma è da qui occorre ripartire, dal fatto che decine di migliaia di bambini che non avevano una famiglia l’hanno trovata. Questo resta il fatto straordinario dell’adozione, per quanto cambino i bambini, le coppie, i Paesi, i numeri: un’accoglienza viva, gratuita, assoluta, che trasforma in figlio un bambino nato da altri e lo ama di un amore talmente incondizionato da rendergli possibile affidarsi di nuovo a due adulti, al punto da chiamarli mamma e papà.

I numeri
Peter Selman, che da anni monitora i trend delle adozioni internazionali, ha contato circa 11mila adozioni realizzate nel 2016 in 23 Paesi di accoglienza: «I don’t think it will go up again». Per avere un termine di paragone, l’Italia da sola nel 2010 ne registrò 4.130. Il crollo mondiale delle adozioni internazionali è iniziato nel 2004: ad esempio -79% negli Stati Uniti fra il 2004 e il 2017 (da 22.884 adozioni l’anno a 4.714) e -83% in Francia (da 4.079 a 685). In Italia nello stesso periodosi è registrato un -58%, che diventa però un -65% in riferimento al 2010, anno in cui le adozioni in Italia hanno segnato il picco. Dal 2008 siamo il secondo Paese al mondo d’accoglienza: una tenuta relativa che Selman spiega col fatto che «l’Italia ha una grande tradizione di apertura nei confronti di tutti i bambini, anche quelli con special needs, molto più forte che in altri Paesi». “Special needs” significa minori che hanno subito gravi traumi, con problemi di comportamento, con una disabilità, ma anche con più di sette anni o i gruppi di fratelli adottati insieme: alla recente conferenza di EurAdopt Paesi come l’India e la Bulgaria hanno dichiarato che – rispettivamente – sono special needs il 60% e il 40% dei minori segnalati per l’adozione internazionale, mentre la Commissione Adozioni Internazionali ne ha contati il 66% fra gli ingressi del primo trimestre 2018.

Il calo delle adozioni internazionali ha molte ragioni, più volte indicate: i costi importanti (dai 15 ai 45mila euro), l’iter lungo, l’esito incerto, l’avvento (e la gratuità) di altre forme di genitorialità. Ma anche gli scandali veri o presunti, i dubbi sulla legalità delle procedure all’estero, lo sviluppo in molti Stati di altre forme di protezione dell’infanzia, a cominciare dall’affido e dall’adozione nazionale… tutto ciò ha reso l’adozione sussidiaria, come è previso che sia. Tutto bene quindi se il calo delle adozioni è conseguenza del fatto che ci sono altre soluzioni per rendere concreto il diritto a una famiglia che ogni bambino ha; tutto male se dice solo dell’incapacità di governare i cambiamenti in atto, anche trovando nuove strade. Un punto che la vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, Laura Laera, affronta con molta chiarezza, e a cui reagiscono i responsabili di quattro importanti enti autorizzati.

Come ripartire?
Il post-adozione; la permanenza o meno nei Paesi “difficili” dove i bisogni dei minori sono più acuti, ma al contempo le prassi, le norme e le culture sono molto distanti dalle nostre; i viaggi dei figli adottati alla ricerca delle proprie origini; la gestione intra ed extra familiare di figli e fratelli con la pelle "colorata”; lo storytelling ormai schiacciato su parole d’ordine (crisi, scandali, special needs…) che alludono quasi esclusivamente ad aspetti problematici; la concezione larga delle politiche adottive da inserire in un quadro di politiche pubbliche orientate al bene comune. Sono i sei snodi decisivi per il futuro delle adozioni che abbiamo approfondito nel bookazine, con l'aiuto di alcuni degli esperti più affidabili di questi temi.

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