Famiglia

Alfonso Molina: «attenzione al robotic divide»

Intervista con Alfonso Molina (Fondazione Mondo Digitale) mentre a San Francisco si giocava il primo confronto dialettico della storia fra un uomo e un robot. «È importante evitare il robotic divide perché questa tecnologia è pervasiva, basti pensare a come noi potremmo cominciare a interagire con un robot... La robotica apre infinite opportunità, non possiamo permetterci che nessuno ne sia tagliato fuori»

di Sara De Carli

Due oratori, un confronto dialettico, il pubblico che vota. È finito in parità, 1 a 1, più che altro per un voto di “incoraggiamento” perché nel contraddittorio la macchina non è stata granché efficace. Ma quello che si è svolto a San Francisco è stato il primo confronto dialettico della storia che ha messo dinanzi un uomo (anzi due, Dan Zafrir e Noa Ovadia) e un robot. Il robot si chiama “Project Debater” ed è uscito dai laboratori Ibm. L’intelligenza artificiale sarà la protagonista del nostro immediato futuro. Con Alfonso Molina, direttore scientifico di Fondazione Mondo Digitale abbiamo provato a guardare alla robotica dal punto di vista dei giovani e della loro formazione.

Professore, quali sono le opportunità e i punti critici di questa rivoluzione alle porte?
Io non sono professore di robotica ma di innovazione, si capisce che la robotica trasformerà il mondo in questo secolo. Paura? Io vedo opportunità dappertutto perché la robotica è trasversale: pensiamo alla robotica assistiva, legata al benessere, agli anziani e alla disabilità, l’esoscheletro. Entreremo nell’ecare, con nano robot che entreranno nel nostro corpo per cure mirate, ad esempio per rilasciare un medicinale in un punto molto preciso… L’ospedale 4.0 è robotizzato e automatizzato, il robot assistivo accompagnerà l’infermiere, ricorderà le medicine, anche in campo genetico potremo capire le relazioni tre i 3 miliardi di lettere di cui è composto l’alfabeto genetico, perché il genoma è sequenziato ma siamo agli inizi del capire quali relazioni portano a malattie genetiche e l’intelligenza artificiale sarà fondamentale per comprendere queste relazioni. Certamente tutte queste cose hanno implicazioni etiche. I robot sociali si mescoleranno a noi e tutto questo sviluppo creerà opportunità di lavoro e benefici.

E la minaccia sui milioni posti lavoro che andranno persi, non ci crede?
È inevitabile, i lavori a basso livello di informatizzazione saranno in caduta libera, secondo il Metropolitan Policy Program del Brookings Institution i lavori con basso livello digitale sono scesi dal 56% al 30% fra il 2002 e il 2016 mentre quelli con alto contenuto digitale sono saliti nello stesso arco di tempo dal 5% al 23%. La tendenza è questa. L’elemento importante per il lavoro del futuro è la creatività, mentre quelli di routine sono minacciati. Nel settore salute la cosa interessante è che c’è un’alta componente di interazione umana, sono mestieri che richiedono creatività, empatia, interfaccia con le persone. Questo ovviamente protegge dal rimpiazzamento da parte dei robot, sono lavori che dai robot possono essere “aumentati” ma non sostituiti.

L’Italia ha delle chance da giocare in questa partita?
L’Italia in area robotica è un’eccellenza, basta guardare al numero di robot istallati. E non parlo solo di robotica industriale ma anche di robotica di servizio e sociale, che è in espansione. C’è però un elemento un po’ contraddittorio, da una parte siamo un’eccellenza, ma manca la capacità di creare un ecosistema. Continuiamo a lavorare in forma frammentata e così l’impatto della creatività è minore, invece se lavori in una logica di comunità l’impatto è più forte. Per questo noi alla RomeCup abbiamo voluto proporre un evento dedicato all’ecosistema digilife, lo “STRATEGY DigiLIFE WORKOUT”, mobilitando non solo industrie e università ma tutti gli attori che hanno interesse nello sviluppo del settore, per esempio le aziende grandi e piccole, gli ospedali, i centri di ricerca, le scuole… Hanno partecipato 34 organizzazioni, ragionando su come sviluppare un ecosistema del digilife: prima hanno risposto le singole organizzazioni, poi abbiamo fatto dei tavoli di lavoro settoriali, università con università, aziende con aziende… per identificare ostacoli e opportunità, infine abbiamo mescolato i settori e fatto una open innovation challenge, tra le 12 sfide di sviluppo individuate dalle stesse organizzazioni ne sono state scelte 5 e si è lavorato su quelle. Ad esempio un problema era la persona in Pronto Soccorso, che “sparisce” senza che chi lo ha accompagnato sappia più nulla per ore… si è pensato a un’app per seguire il percorso del paziente dentro l’ospedale, per comunicare con chi sta in sala d’attesa. Il punto è quello che ripetiamo da 25 anni, la necessità di cambiare l’educazione tradizionale per puntare su creatività, lavoro di squadra, piccole imprese, soluzioni innovative, c’è bisogno di un grande orientamento nella scuola, bisogna cominciare da lì a mescolare tutti gli attori. Sono tutti meccanismi nuovi per rispondere alle sfide.

Per avere questo ecosistema favorevole cosa serve?
Cambiare culturalmente un ecosistema è una strada molto lunga perché parliamo di tutto, persone, cultura, cultura della collaborazione tra differenti… Un elemento necessario è il portare avanti una accelerazione della capacità creativa che l’Italia ha, ma che ha bisogno di arrivare a un frutto che di mercato, di applicazione. Tutti hanno parlato dei limiti posti dalla burocrazia. È un percorso che durerà minimo dieci, quindici anni.

C’è il rischio di un “robotic divide”?
Il divario c’è in natura e c’è in società e come abbiamo lavorato sul digital divide da sempre, per portare l’alfabetizzazione digitale nelle scuole, agli anziani, ai rifugiati, così oggi sulla robotica c’è un bisogno enorme di orientamento, per evitare che il divario tagli fuori le persone dalle opportunità. È importante, perché questa tecnologia è pervasiva, basti pensare a come noi potremmo cominciare a interagire con un robot e a investire anche emotivamente su di lui… Stiamo entrando in un mondo incredibile, di positività e rischi.

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