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Salvezza, un reportage a fumetti sui salvataggi in mare
Il libro, edito da Feltrinelli, dei due siciliani Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso è il primo esperimento del genere in Italia: un lavoro di graphic journalism che narra il primo contatto tra gli operatori delle ong e i profughi
Tre settimane a bordo dell’Aquarius, nave della Ong Sos Mediterranée che soccorre i migranti nel Mediterraneo. Da questa esperienza, il giornalista e sceneggiatore trapanese Marco Rizzo e il disegnatore e illustratore messinese Lelio Bonaccorso hanno tratto il materiale per il loro “Salvezza”, reportage a fumetti “Salvezza”, appena pubblicato da Feltrinelli. Un lavoro che oltre alle storie delle persone, ai soccorsi, ci sono anche infografiche con dati e numeri per aiutare a capire la situazione.
Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso prima di imbarcarsi
Un esperimento di graphic journalism unico in Italia: il primo reportage a fumetti da un’operazione di salvataggio. L’idea alla base del progetto era nata un anno fa quando il fumettista Tito Faraci, al suo debutto come curatore della collana Feltrinelli Comics, chiede alla “premiata coppia” del graphic novel in Italia, da sempre impegnata in narrazioni e “fiabe” di impegno civile di proporre una storia.
Sull’Aquarius Rizzo e Bonaccorso hanno potuto vedere con i loro occhi come funzionano i salvataggi in mare e qual è il ruolo delle ong: “saves lives, protect people, testify” ovvero “salvare vite, proteggere le persone e testimoniare la loro sofferenza”, come spiega nel fumetto Sophie Beau, cofondatrice di Sos Méditerranée.
«Due cose mi hanno fatto moltissima impressione: ho disegnato un anziano, sembrava avesse settant’anni ma ne aveva quarantasei, e quando ho finito lui mi ha guardato con i suoi occhi profondissimi e mi ha detto, così non ti dimenticherai mai più di me», racconta Lelio Bonaccorso a Fumettologica, «l’altro evento che mi ha colpito molto è stato quando tre bambini, credo della Costa d’Avorio, si sono messi in posa per farsi ritrarre e mentre stavo per farlo li hanno trasferiti per sbarcarli. Di questi bambini mi è rimasta solamente la sagoma abbozzata. Il disegno l’ho lasciato così».
Il disegno è stato uno strumento efficace per avvicinare le persone a bordo della nave. Reperire storie, vivere esperienze da poi selezionare per il lavoro.
«Come sempre quando si fa giornalismo, e in generale per scrivere, si sacrifica qualcosa. Però dentro il libro c’è tanto. Alcune storie che abbiamo sentito ripetere più volte le abbiamo messe in bocca ad un personaggio in particolare, altre sono storie che ci hanno colpito, ad esempio quella di un signore anziano che ha lavato latrine in Egitto
Alcune storie che abbiamo sentito ripetere più volte le abbiamo messe in bocca ad un personaggio in particolare, altre sono storie che ci hanno colpito, ad esempio quella di un signore anziano che ha lavato latrine in Egitto per mesi per potersi pagare il varco con la Libia: altre sono storie interessanti degli stessi soccorritori. Molti hanno vite incredibili», spiega Marco Rizzo, «C’è una storia in particolare che ho raccolto l’ultimo giorno da un ragazzo che ci aveva fatto da interprete con un grosso gruppo di Eritrei, un ragazzo che parlava molto bene inglese. La sera dopo mi ha cercato perché voleva parlarmi della sua storia che, arrivata così alla fine, sembrava quasi un segno del destino. Non che non avessimo raccolto altro, ma la sua storia, che apre e chiude il libro, racchiude tutto, spiega perché partono, quello che gli succede, quello che succede alle donne e quello che succede ai mariti. Credo che sia la storia per la quale ho sacrificato altro».
Un'uscita editoriale che arriva in un momento non facile per le organizzazioni non governative, in particolare per quelle che si occupano di migranti. Un clima ostile però che non preoccupa i due autori: «Con i nostri libri, come con quello su Peppino Impastato, e Jan Karski, e tutti gli altri, vogliamo unire il nostro lavoro e la nostra passione con qualcosa che sia utile. è un libro militante. Io faccio solo libri militanti, ne sono orgoglioso. Siamo stati a bordo e abbiamo raccontato quello che abbiamo visto senza passare veline o riadattare comunicati stampa. Non abbiamo ricevuto imbeccate da nessuno, anzi, ci sono un paio di passaggi dove siamo anche critici su alcuni metodi dell’ONG. Noi non volevamo fare propaganda pro o contro le ONG, ci interessava raccontare storie. Mi interessava raccontare quel momento di contatto perché secondo me è li che si ribalta tutto, la loro situazione ma anche quella di noi cittadini europei che spesso ci voltiamo dall’altra parte. Queste persone col loro lavoro puliscono la coscienza a milioni di europei e se noi siamo amati dalle persone che arrivano da quell’inferno senza regole e senza leggi che è la Libia, lo dobbiamo senza dubbio a chi salva, cura e fa nascere bambini. Sono orgoglioso di fare sistematicamente libri di parte, perché sono sicuro che è la parte giusta».
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