Comitato editoriale

Mutilazioni genitali femminili, a che punto siamo in Europa?

La fondazione ha organizzato per il 16 maggio un convegno a Roma per raccontare i risultati raggiunti dal progetto CHAT avviato nel 2015, finanziato dal programma Daphne della Commissione Europa, e implementato in 6 paesi europei: Italia, Portogallo, Spagna, Olanda, Inghilterra e Austria

di Anna Spena

Quello della Mutilazione Genitale Femminile è un fenomeno vasto, più che fenomeno una barbaria inflitta ai corpi delle donne. Una vera e propria violenza di genere, che comprende tutte le procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni non mediche. Una violazione del corpo e dei diritti dell’infanzia, che vede come vittime di questa pratica bambine e ragazze di età inferiore a 15 anni e sempre più piccole in modo che non ricordino abbastanza da poter raccontare quanto hanno vissuto.

Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche. La Fondazione l’Albero della Vita, da anni impegnata nella lotta alle MGF, mercoledì 16 maggio dalle 9:30 alle 13:00 al Senato della Repubblica Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro Piazza Capranica 72, Roma, ha organizzato una conferenza stampa per raccontare i risultati del progetto “CHAT – Changing attitude. Fostering dialogue to prevent FGM”, realizzato dalla fondazione, finanziato dal programma DAPHNE della Commissione Europa, è stato implementato in 6 paesi europei Italia, Portogallo, Spagna, Olanda, Inghilterra e Austria.

Durante la conferenza a cui è possibile iscriversi a questo LINK saranno presentati i dati sul fenomeno delle MGF in Europa e si avvierà un tavolo di confronto. Interverranno rappresentanti delle istituzioni politiche italiane ed europee, delle università, membri di associazioni della società civile e di migranti, esponenti del settore profit e rappresentanti diplomatici. Vita.it intervista Daria Crimella, Desk Officer Europe e responsabile del progetto CHAT.

Quando è nato il progetto chat?
Il progetto è nato nel 2015. La Fondazione era già impegnata a trattare il tema delle MGF ma i dati che avevamo a disposizione ci hanno spinto ad organizzare un intervento più grande e strutturato ed iniziare un dialogo con la comunità europea. Pensate si stima che in Europa siano 500 mila le donne che hanno subito mutilazioni genitali, 180 mila le bambine a rischio ogni anno e 30 milioni nei prossimi 10 anni in tutto il mondo. Solo in Italia, secondo gli ultimi dati di una ricerca commissionata dal Dipartimento per le Pari Opportunità, sono 35 mila le donne vittime di mutilazioni genitali, e circa 1000 quelle potenziali, tutte minori di 17 anni. Un’ulteriore stima sulle bambine a rischio è stata realizzata dalla stessa Fondazione presente nel dossier Il Diritto di essere bambine che presentava nel 2011, 7727 bambine a rischio, di cui il 70% di età compresa fra i 3 e i 10 anni iscritte alle scuole d’infanzia e primarie.

Quali sono state le prime azioni sviluppate?
Abbiamo messo attorno allo stesso tavolo di lavoro esperti di diversi settori, ed ovviamente anche esponenti delle diverse comunità. I membri dell’ Action Group hanno svolto attività di ingaggio e sensibilizzazione della comunità migrante e della società civile attraverso la metodologia del Behavior Change Communication. In Italia, nel caso specifico, ci siamo confrontati con Marwa Mahmoud, Libera Chiara, D’Acunto e Edna Moalli.

Come avete organizzato il lavoro?
A cascata. In ogni Paese sono stati creati gruppi di lavoro che hanno selezionato 20 persone. A loro volta queste 20 persone si sono fatte porta voci del messaggio all’interno delle diverse comunità.

Qual è la situazione italiana rispetto al problema?
In Italia è problematico raccogliere dati, nel 2009 si sosteneva che c’erano circa 110mila donne di cui 35mile portatici di MFG. Nel nostro Paese la legge numero 7 del 2006 vieta la pratica, anche quando questa avviene fuori dai confini nazionali.

Che obiettivi vi siete dati quando avete iniziato nel 2015?
Tre obiettivi principali: favorire il coinvolgimento delle comunità interessate, individuando al loro interno dei “Positive Deviants”, ovvero agenti di cambiamento, persone che possano attivamente favorire un cambio di attitudine; coinvolgere le piccole e medie imprese nelle azioni di sensibilizzazione, contrasto alla violenza di genere e nel sostegno a campagne in favore della lotta alle MGF; facilitare azioni di co-sviluppo con associazioni di migranti o attori istituzionali quali ambasciate e consolati.
Già nei 2 progetti sulla prevenzione e lotta a questa pratica realizzati in Lazio e Piemonte tra il 2014 e il 2015, la metodologia di lavoro della Fondazione prevedeva il coinvolgimento delle donne stesse delle comunità, attraverso cicli di incontri tra famiglie con minori e personale socio-sanitario ed educativo. Vogliamo solo specificare che mentre negli altri due progetti passati le donne venivano ascoltate attraverso l’attivazione di focus group. Nel progetto che avviamo oggi le stesse donne delle comunità si fanno promotrici e agenti di cambiamento L’idea di base è che il cambiamento comportamentale sia generato dal dialogo e dal confronto interno alle comunità, in cui gli stessi beneficiari del progetto abbiano un ruolo attivo nel contrasto alle MGF e possano individuare delle soluzioni al problema.

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