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Magi: «In onda la legittimazione unilaterale della Guardia costiera libica»
Indignazione del segretario dei Radicali italiani dopo il servizio del Tg1 della sera del 2 maggio in cui il comandante dei guardacoste libici "afferma cose false senza contraddittorio, quando bastava una veloce ricerca in rete per dare l'informazione completa. E non basta dire che gli sbarchi sono diminuiti dell'80%: chiediamo all'Italia di dare i numeri dei respingimenti dei libici, dato che ormai la collaborazione è alla luce del sole"
“Il servizio del Tg1 della sera del 2 maggio 2018 con l’intervista al comandante della guardia costiera libica? Una violazione gravissima del diritto dei cittadini a essere informati in modo corretto. Farò un esposto alla Commissione Vigilanza Rai appena verrà reinsediata”. Lo afferma Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani e neoeletto alla Camera con +Europa.
“Cinque milioni di spettatori hanno sentito parlare il comandante Abujella Abdul-Bari dicendo cose false e senza contraddittorio”, sottolinea Magi, che oggi sul proprio profilo facebook ha pubblicato un video in cui presenta l’altra faccia della medaglia: “Abdul-Bari ha detto ‘Potete controllare, a bordo delle nostra navi non troverete armi, non le portiamo. E poi noi non picchiamo i migranti sono povera gente, hanno bisogno di aiuto’. Ma ci sono diversi filmati incontrovertibili che fanno vedere l’opposto, e in un caso lo stesso Abujella Abdul-Bari è a bordo della motovedetta con in pugno una pistola puntata verso un barcone carico di migranti”. Ancora, “altre immagini mostrano maltrattamenti ai migranti e minacce alle ong, come accaduto a Sea-Watch e Proactiva Open Arms”.
Proprio in corrispondenza della Giornata mondiale per la libertà di stampa – nell'ultima classifica di Reporters sans frontieres l’Italia è al 52mo posto – il servizio del Tg1, girato in corrispondenza della visita dell’attuale ministro dell’Interno Marco Minniti a Tripoli, “con stretta finale di mano ad Abdul-Bari che sancisce l’accordo italiano con una Guardia costiera libica che di fatto opera respingimenti in mare, quindi illegali”, suscita in Maggi una forte indignazione. “Siamo tornati ai tempi delle veline dell’Isituto Luce? Com’è possibile che non ci sia alcuna reazione nella cittadinanza di fronte a tutto ciò? Affidare le operazione in acque internazionali alla Guardia costiera libica, tra l'altro con motovedette donato dal nostro Stato, e permettere che vengano riportati indietro in quello che non è un posto sicuro come ha sancito più volte l’Onu viola le convenzioni internazionali sul salvataggio di vite in mare e sui diritti umani”.
Per Magi “sarebbe bastato un commento che faceva vedere la parte di informazione mancante per rendere più legittimo il servizio. Ma ciò non è successo, e quello che è stato fatto vedere segue in tutto e per tutto la linea governativa italiana”. Come uscire da questa situazione? “Affrontare il fenomeno come è tale, ovvero nella sua complessità, non solo parlando del mare: per esempio, se esiste un problema di inclusione dopo l’accoglienza, affrontare quello, sia a livello nazionale con la revisione della legge Bossi-Fini e prevedere canali legali di arrivo che incrocino la domanda-offerta di lavoro (vedasi la proposta di legge di iniziativa popolare Ero straniero, ferma ora in Parlamento), sia con tutte le pressioni del caso a livello europeo per la redistribuzione delle quote degli arrivi”. In questo senso, è nata nelle scorse settimane la nuova piattaforma di pressione mediatico-politica Welcoming Europe.
Anche per quanto riguarda quello che avviene in mare, “comunque manca chiarezza: non si può solo dire che gli sbarchi sono diminuiti dell’80 per cento per fare vedere che l’accordo Italia-Libia funziona”, prosegue Magi. Le persone partono lo stesso, “e vogliamo sapere quante sono in totale le persone riportate in Libia, così come i corpi senza vita recuperati e la stima dei dispersi. Sono dati che il nostro governo ha in mano, dato che la collaborazione con la Guardia costiera libica è in atto da tempo, compresa la presenza di personale di nostri guardacoste a Tripoli: renderli pubblici è fondamentale per raccontare davvero le cose come stanno, non solo quello che si vuole fare vedere per legittimare il proprio operato”, conclude Magi.
Nella foto (credit Hoffmann/SeaWatch) un momento del drammatico naufragio del 6 novembre 2017
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