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Spese militari mondiali oltre i 1.700 mld di dollari
Pubblicati i dati del Sipri, l’istituto svedese di ricerca sulla pace che attestano una crescita dell’1,1% e che confermano il trend al rialzo. La Campagna globale sulle spese militari nella dichiarazione conclusiva - rilanciata da Rete Disarmo - del Global day of Action on Military Spending 2018 chiama la società civile all’azione per “fermare questa tendenza”
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Le spese militari mondiali hanno superato il muro dei 1.700 miliardi di dollari e sono valutati in 1.739 miliardi di dollari, pari al 2,3% del Pil mondiale (in pratica 230 dollari a testa) e con una crescita valutata in termini reali dell’1,1%. Numeri certificati dalle stime del Sipri (Stockholm International Peace Research Insitute), l’istituto svedese di ricerca sulla pace, diffuse oggi – 2 maggio – e relative alla spesa per eserciti ed armamenti di tutti gli Stati del mondo.
L’1,1% può essere considerata una leggera crescita, ma prosegue un trend in atto da alcuni anni ed è il risultato dell’incremento ormai da tempo robusto nelle spese dell’area mediorientale – Arabia Saudita su tutti – e del continuo aumento dei fondi militari impiegati da Cina e India. Un aumento che avviene nonostante il drastico taglio delle spese militari della Russia (- 20%) e una stasi in quelle statunitensi che comunque, da sole, superano quelle dei successivi sette Paesi della lista e si prevedono in rialzo già sul 2018.
I 10 Paesi ai vertici della classifica di spesa per il 2017 secondo il Sipri sono rispettivamente: Stati Uniti, Cina, Russia, Arabia Saudita, India, Francia, Regno Unito, Giappone, Germania e Corea del Sud.
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Il dato relativo al Medio Oriente risulta in crescita di oltre il 6% nonostante non siano valutabili (e quindi esclusi dal conteggio) i dati di Paesi in guerra come Siria e Yemen oltre che di Qatar ed Emirati Arabi.
Anche in Europa si registra un incremento generalizzato, più pronunciato in quella centrale (+12%), e comunque presente in quella occidentale (+1,7%) sia per la percezione di pericolo russo sia per le richieste di aumento di spesa che la Nato sta reiterando. I principali Paesi per spesa militare in Europa sono Francia (-1,9%) Gran Bretagna (+0,5%), Germania (+3,5%) e Italia (+2,1%). Anche il nostro Paese viene stimato con una spesa militare in rialzo e superiore ai 26 miliardi di euro, circa 29 miliardi di dollari, con un controvalore pari all’1,5% del Pil. Numeri che confermano il trend in rialzo già evidenziato dalle analisi dall’Osservatorio Mil€x.
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«Siamo di fronte al pericolo di un terzo conflitto mondiale e i grandi Paesi si stanno preparando alla guerra con massicci investimenti in armamenti. È giunto davvero il momento che le popolazioni facciano sentire la loro voce» osserva nella sua dichiarazione conclusiva – diffusa oggi – del Global day of Action on Military Spending 2018 la Campagna globale sulle spese militari (Gcoms). Che prosegue: «I fondi attualmente destinati ad usi militari devono essere urgentemente reindirizzati verso i veri bisogni umani! I fondi che oggi vengono spesi negli eserciti sono necessari invece e con urgenza per ridurre le disuguaglianze, per aumentare la cooperazione mondiale, per eliminare le ingiustizie energetiche, per sfidare le dinamiche che stanno spingendo la massiccia crisi di rifugiati e sfollati, per implementare regolamenti globali di mercato basati sulle persone e per costruire un mondo pacifico».
Per la campagna occorre investire di più nelle risorse dedicate alla prevenzione dei conflitti e per questo chiede “come primo passo”: «una riduzione del 10% della spesa militare in tutti i Paesi e le Alleanze, compresa la Nato, al fine di uno spostamento di questi fondi verso i veri bisogni umani e obiettivi sostenibili».
La Rete Italiana per il Disarmo sostiene la Gcoms nella richiesta di una riduzione del 10% delle spese militari, a partire da quelle italiane che in particolare sono sbilanciate sulla spesa per il personale e prevedono quasi 6 miliardi di euro annui per l’acquisto di nuovi armamenti.
La Rete Disarmo sottoscrive e rilancia del nostro Paese la dichiarazione conclusiva della Campagna internazionale che analizza la situazione che driva da scelte politiche globali influenzate dal complesso militare-industriale: «Gli affari di guerra si basano sul commercio di armi e sulla ricerca di strutture di potere, dominio e mascolinità che provocano morti civili, conflitti degradanti, sfruttamento predatorio del pianeta e contribuiscono attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per promuovere la giustizia globale e ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare i negoziati nel risolvere i conflitti. Produrre e vendere armi è un affare molto redditizio che uccide le persone, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane».
In apertura photo by Michael Afonso on Unsplash