Volontariato

Qual è il tempo scuola da recuperare?

Recuperare il tempo scuola in parte perduto è una necessità. E non si tratta di un recupero materiale di ore e giorni di lezione, quanto piuttosto di un recupero “qualitativo”: di relazione, di apprendimenti, di esperienze. Mi preoccupa il fatto che molti di noi docenti non vogliano o non sappiano fare i conti con questa realtà. Soprattutto nelle regioni del Sud, che sole in Italia hanno dovuto sopportare lo strazio di lasciare alle famiglie la scelta tra presenza e DAD

di Massimo Iiritano

Le reazioni allarmate ai nuovi propositi del governo Draghi sull’eventuale recupero di una parte del “tempo scuola” che un prolungato uso della DAD rende evidente e necessario, segnano chiaramente quella che è la perdita del senso di realtà che ha causato, in tutti noi, il nuovo “modello” che in questi mesi, per necessità e per eccesso di “ordinanza”, è diventato da “integrativo” a decisamente prevalente. In nessuna dichiarazione di governanti e ministri ho mai letto frasi come quelle che, allarmati, vanno ripetendo e gridando tanti miei colleghi: nessuno ha detto o scritto che noi docenti abbiamo “perso tempo” o addirittura lavorato meno, in questi lunghi mesi di sacrificio fisico e mentale. Nessuno davvero potrebbe pensarlo! Ma il problema, altrettanto evidente, è un altro. Non si tratta di recuperare un tempo lavorativo, ma, al contrario, di fare i conti in maniera chiara e senza pregiudizi con quelle che sono le evidenti lacune che la DAD produce e ha prodotto in questo tempo. Quelle reazioni allarmate più di tutto mi preoccupano.

Mi preoccupa il fatto che molti di noi docenti non vogliano o non sappiano fare i conti con questa realtà: la didattica a distanza, strumento di emergenza o anche meglio di “integrazione”, ha segnato pesantemente tutti noi. Non si può negare – i dati parlano chiaro – la dispersione scolastica, visibile e invisibile, che ha creato e che crea ancora. Non si può negare l’enorme deficit esperienziale che ha lasciato e che lascia ai nostri ragazzi, in special modo agli studenti delle scuole superiori, che più di tutti l’hanno dovuta sostenere. Il danno è talmente grande da produrre ormai questa stessa mancanza di consapevolezza in tutti noi, docenti e famiglie. E in loro un senso di stanchezza e smarrimento che li vede ormai, rassegnati, preferire questo modello a quell’altro: come se ci fossero veramente due modelli possibili di scuola!

Recuperare il tempo scuola in parte perduto è una necessità. E non si tratta di un recupero materiale di ore e giorni di lezione, quanto piuttosto di un recupero “qualitativo”: di relazione, di apprendimenti, di esperienze. Sarebbe veramente la sconfitta definitiva della scuola se tutti noi ci limitassimo a rilevare solo da un punto di vista meramente “quantitativo” ciò che si è fatto e ciò che si è perduto. Non basta infatti terminare i “programmi”! Questo totem dovrebbe essere ormai retaggio di un passato da superare, ma rimane ancora lì, davanti ai nostri occhi, ad impedire lo sguardo più necessario, l’ascolto più vero.

Sarebbe bello quindi se tutti noi docenti, e il ministero con noi, potessimo affrontare con serenità questa prospettiva. Con serenità e con desiderio, oserei dire. Il desiderio di recuperare anche noi, insieme ai nostri ragazzi, qualcosa di ciò che l’eccessivo prolungamento della distanza ci ha tolto. E che non può mancare, profondamente, a chi veramente fa del suo esserci a scuola una parte significativa della propria esistenza, non solo un orario di lavoro da cui ricevere retribuzione.

Sarebbe bello immaginare, a giugno, momenti di didattica esperienziale, all’aperto, nelle comunità, nei musei, nei parchi, nel territorio. Perché è questa didattica, fatta di esperienze, sguardi, luce, colori, odori, quella che nessuna digitalizzazione ci potrà mai togliere. E che dovremmo essere noi, prima di tutti, a dover chiedere e difendere.

Soprattutto nelle regioni del Sud, laddove pensare ancora alla scuola nel segno della semplice equivalenza aula-classe è veramente triste. Laddove già da marzo e aprile si potrebbero immaginare giornate intere di outdoor education, di nuovo orientamento nel tempo, nello spazio, nella realtà vera, come momento di liberazione dalla clausura digitale di questi mesi.

Laddove il divario, certificato dai dati nazionali, non è stato solo creato dalla difficoltà di raggiungere alcuni luoghi ancora lontani dalla digitalizzazione, ma soprattutto da un utilizzo eccessivo delle chiusure regionali, a volte veramente assurdo e immotivato.

E allora, prima di prodursi in drammatiche lamentazioni magnogreche acclamate dai social, si confronti il tempo passato in DAD in regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna e quello trascorso invece in Calabria in Campania o in Puglia, laddove l’ultimo colpo fatale è stato quello di dare alle famiglie la possibilità di scegliere tra quelli che sono drammaticamente diventati, appunto, i due modelli possibili di scuola: distanza o presenza. Ordinanze più volte minacciate, poi impugnate, poi riprese… uno strazio che solo le regioni del Sud hanno dovuto sostenere, in aggiunta al dramma dell’emergenza pandemica. Ecco cosa è necessario recuperare. Ancor di più necessario per dare un segnale chiaro che faccia finalmente capire a tutti i nostri zelanti governatori, che cosa è, veramente, il “tempo scuola”.

*docente all’IIS Guarasci-Calabretta di Soverato e presidente dell’associazione Amica Sofia

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