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Così gli homeless escono dall’ombra

Ogni giorno per i 25 mila senzatetto della Grande Mela si spendono 23 mila dollari, senza risultati. La "Coalition for the Homeless", invece, ne assiste direttamente cinquemila.

di Cristina Giudici

«New York, fantastica. Il ?nessun luogo? dove ognuno può ritrovarsi e perdersi all?infinito. Città di specchi e città di fantasmi, rete inesauribile delle possibilità poiché tutto è identico ma anche sostituibile». Così scriveva Paul Auster nel suo libro Trilogia di New York. E infatti, intrappolati fra gli specchi dei grattacieli e i fantasmi del sogno americano, ci sono anche loro: 25 mila homeless, cittadini che nessuno vede, di cui nessuno parla quasi più. Eppure, nonostante gli sforzi ripetuti dei bulldozer che il sindaco- sceriffo Rudolph Giuliani ha mandato sotto i ponti della città per abbattere le case di alluminio e le squadre inviate sotto terra per ripescare i mole people, che vivevano nelle stazioni abbandonate della metropolitana, e i tagli all?assistenza pubblica di Bill Clinton, loro non se ne sono mai andati. Basta allontanarsi un po? da Times Square, e scendere nella stazione di Porth Authority, nella 42esima strada, o percorrere la città underground della metropolitana oppure spingersi fino a quartieri tipo Queens, Bronx, Brooklyn, per vederli. Con i loro carrelli su cui portano i loro cocci di esistenza, infilati in qualche sottoscala per sopravvivere alle notti fredde. Coppie che sono state trovate all?alba , stretti in un abbraccio mortale, freddati dal gelo e dalla carenza di letti, ricoveri, centri di accoglienza. È una New York che non interessa a nessuno, questa, una città anch?essa enorme, fotografata in bianco e nero, che racconta sempre le stesse maledette storie. Famiglie che da un giorno all?altro hanno perso il lavoro, la casa, il futuro. Malati mentali vittime della chiusura dei manicomi iniziata dal presidente Kennedy. Uomini e donne, soprattutto neri, che davanti alla solitudine hanno preferito il movimento della città, un movimento che incanta, strega e spesso anche uccide. Ma ogni giorno e ogni notte c?è anche un?altra città che non si ferma mai. Non è quella di Wall Street e neanche quella dei teatri di Broadway o dell?arte all?avanguardia di Chelsea. É la città delle agenzie non profit che sono sopravvissute ai tagli dei fondi pubblici e vengono sostenute soprattutto grazie al fund-raising. Organizzazioni efficienti che cercano soluzioni rapide per problemi infiniti e lavorano senza sosta per offrire servizi agli homeless. Una di queste, forse la più belligerante della città, è la Coalition for the homeless, un?organizzazione non profit fondata nel 1980 con lo scopo di difendere i diritti dei senza tetto. Oggi il loro slogan è housing, housing, housing, case, case, case. «L?amministrazione di questa città pensa che la soluzione per i senzatetto si chiami ricovero pubblico, ma non è così», dice George Delay assistente sociale della Coalition. «I ricoveri sono un prolungamento della strada: inferni dove la gente si aggredisce, beve e non riesce a costruirsi una prospettiva. Oggi più che mai gli homeless sono persone che da un giorno all?altro hanno perso la casa, a causa di affitti inaccessibili, speculazione edilizia, mobilità lavorativa. Ogni giorno si spendono 23 mila dollari per loro, ma gli stanziamenti dei fondi non risolvono il problema». Perciò in 18 anni di attività la Coalition for the homeless ha costruito una strategia di intervento ad ampio raggio diventando un punto di riferimento per i poveri e i senzatetto di New York. Il suo budget annuale sfiora i 5 milioni di dollari, le persone assistite sono quasi 5000 al giorno. E i programmi sono tantissimi: ?Crisis intervention? è un?unità di crisi per assistere nell?immediato le persone bisognose: un posto per la notte, cibo, vestiti, medicinali. La ?Housing? è un insieme di complessi edilizi per adulti e famiglie (bridge building). Nei shelter, i ricoveri pubblici, infatti, le famiglie non possono stare insieme e ciò spinge molti a scegliere la strada e talvolta anche la morte. I ?Job trainings? sono invece corsi di formazione professionale. Si chiamano first step (primo passo) e hanno lo scopo di aiutare i senzatetto ad acquisire una capacità professionale, soprattutto nel campo della tecnologia, che permetta loro di essere all?altezza delle richieste del mercato. È facile trovare per strada persone senzatetto che non hanno una casa, un lavoro, ma sanno costruire pagine web e ovviamente hanno un indirizzo e-mail. Sono gli homeless che hanno seguito i corsi della Coalition. E poi ci sono le case-alloggio per i malati di Aids dove gli homeless possono essere seguiti da medici, psicologi e assistenti sociali, c?è la rental assistance che concede prestiti d?onore a chi vuole provare a farcela da solo o non riesce a ottenere il sussidio. La ?New York Community voice mail? mette a disposizione 25 mila segreterie telefoniche personalizzate per permettere a chi vive sulla strada o in un ricovero di avere un numero di telefono dove ricevere offerte di lavoro, comunicazioni di avvocati, o risposte dall?assistenza pubblica. Infatti il governo prevede sussidi di circa 300 dollari al mese (più 100 dollari in buoni pasto) per al massimo cinque anni, ma mai più di due anni consecutivamente. Sussidi che però vengono scoraggiati in tutti i modi dall?ammnistrazione della città. Quindi la possibilità di avere una segreteria telefonica e un indirizzo virtuale rappresenta un punto fermo di un?esistenza precaria. Ma i programmi della Coalition non si fermano qui. Ci sono avvocati che offrono consulenza legale gratuita e intervengono nelle dispute in tribunale, o presso gli uffici dell?assistenza pubblica in difesa degli homeless. Ogni anno volontari organizzano campi di tre settimane per 400 bambini, figli di senzatetto, e permettere loro di uscire dalla spirale strada-povertà-violenza. E poi ogni notte c?è il furgoncino dell?organizzazione che attraversa la città per fornire pasti caldi ai senzatetto. Passa sotto il City Hall, l?ufficio di quel sindaco che secondo Fraser Bresnahan, coordinatore del ?Food program?, «è più interessato alle statistiche che alle vite umane», si ferma sotto il palazzo dell?Onu, che è fornito di sofisticati marchingegni per difendersi da attacchi terroristici, ma non può evitare che di notte gli homeless cerchino rifugio proprio davanti all?entrata principale. I volontari del Food program della Coalition di giorno lavorano a Wall Street , ma la notte scendono qui a distribuire pasti caldi e a chiacchierare con le persone che aspettano, pazienti, l?arrivo del pulmino. Gli uomini in una fila, e le donne, quasi tutte cinesi che non sanno parlare l?inglese, su un?altra fila. Mille pasti ogni giorno che vengono distribuiti dalla Coalition, ma arrivano dal banco alimentare del Bronx, ?Food for survival? (Cibo per la sopravvivenza), o dai volontari della ?Food reclamation?, l?associazione che reclama parte del cibo ai ristoranti di Manhattan. Infatti la Coalition for the homeless non è la sola a muovere l?ingranaggio della solidarietà a New York. Ci sono decine di centri indoor, sparsi nel centro di Manhattan, che gestiscono l?assistenza di 10 mila homeless. Centri come quello dell?associazione Urban Pathways (sentieri urbani), costruito proprio sotto la stazione di Port Authorithy, dove arrivano da tutti gli stati d?America nella speranza di sopravvivere nella Grande Mela. Passano le giornate a fare l?elemosina, e le notti accoccolati sulle sedie che i centri della Urban Pathways mettono a disposizione. Oppure vengono «per chiedere informazioni sui centri di disintossicazione, i letti disponibili negli altri centri», spiega Theodore deSantis, coordinatore del centro. «Purtroppo qui non possiamo dar di più perché Giuliani ci ha tagliato i fondi, però abbiamo assistenti sociali, medici, psicologi, psichiatri e anche un apparecchio sperimentale che attraverso i raggi ultravioletti uccide i microbi delle malattie», aggiunge orgoglioso. Dentro ci sono centinaie di persone che hanno lasciato tutto in una notte e si sono giocati la vita in un giorno. Come Edward, che ha vissuto 5 anni sotto terra in una stazione abbandonata della metropolitana e si è pagato la droga rubando rame dai tunnel, finché un giorno ha sbagliato cavi e la scossa lo ha fatto quasi saltare in aria. Ha fatto sei mesi di ospedale e sei anni di carcere, e ogni giorno aggiunge una frase alla lettera che vuole indirizzare a sua moglie, che l?ha lasciato 15 anni fa. «La nostra vita è un blues molto triste», dice, «ognuno di noi qui dentro ha avuto un buon motivo per arrivare in fondo al pozzo: c?è sempre una donna che ci ha lasciato, un amore che ci ha piegato, la solitudine o la droga che ci ha spezzato». Nel centro in-doors si spendono 30 mila dollari per fornire assistenza ai casi di emergenza. Quando arrivano gli homeless,gli assistenti sociali devo verificare se sono drogati o se hanno una pistola . Se hanno un cartoncino giallo vuol dire che sono stati accompagnati dai poliziotti, quelli che hanno avuto l?ordine tassativo di ripulire Manhattan. Poi c?è chi arriva senza cartoncino perché è stato contattato dai ?Team Reachers? di Urban Pathways. Vanno per i sotterranei della Grande Mela, cercano di parlare con gli homeless e di convincerli a lasciare la strada. Anche in questo caso, gli americani del non profit sciorinano numeri e statistiche: centinaia di homeless contattati ogni giorno, alta percentuale dei successi. Ma è difficile dire, in questa New York dove tutto gira così in fretta, quante siano le vittime della sua opulenza, perché come dice Dave Bouyd, ?frequentatore? dei dintorni del World Trade Center, il cuore finanziario della città, per rimanere vivi a Manhattan i sentatetto devono soprattutto imparare le leggi della sopravvivenza (la Coalition ha anche elaborato un manuale) che più o meno sono queste: «Stai sempre solo perché la compagnia di un altro homeless può attirare l?attenzione della polizia, vesti bene, in modo da non farti identificare, e soprattutto keep moving, non smettere di muoverti». Le news di strada fanno boom Gli americani, a differenza del Diavolo, oltre alle pentole riescono anche a fare i coperchi. Se infatti, da un lato la struttura socioeconomica degli Stati Uniti crea endemicamente un elevato numero di senzatetto, dall?altro la società civile americana è attivissima nell?accoglienza e assistenza degli homeless. Ne è un esempio l?elevato numero di giornali di strada, il cui elenco è possibile rintracciare presso il sito della National Coalition for the Homeless (nch.ari.net/). E proprio il ricco sito dell?associazione federale rende l?idea della portata del movimento, che si riunirà il primo maggio a Washington in un summit nazionale che predica metaforicamente ?il ritorno dell?America a casa?. Ritornando sulle pubblicazioni di strada, si distingue in particolare lo Street News, ?il più antico giornale per i senzatetto del mondo?. E sfogliando le oltre 50 pagine del mensile si possono trovare tra le molte storie di strada, una serie di suggerimenti pratici di sopravvivenza, consigli e indirizzi sanitari, ma anche approfondimenti sulla politica e sulla brutalità degli agenti di Polizia, indirizzi di ristoranti a prezzi popolari, poesie e testi rap. Il tutto in puro stile americano: infatti Street News ha da poco inaugurato la sua nuova linea d?abbigliamento che propone a quei lettori che, pur non avendo una casa, vogliono comunque sentirsi à la page.


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