Volontariato

Perché non si può più restare a guardare

L’obiettivo era quello di fermare Milosevic e la sua criminale opera di pulizia etnica del Kosovo. Un mese dopo quali sono stati i risultati?

di Riccardo Bonacina

È passato ormai un mese da quando il 24 marzo scorso fu sferrato il primo attacco aereo della Nato sui cieli della Serbia. L?obiettivo era quello di fermare Milosevic e la sua criminale opera di pulizia etnica del Kosovo. Un mese dopo quali sono stati i risultati? Che l?emergenza in Kosovo è diventata una gigantesca catastrofe umanitaria. Una catastrofe fatta di dolore, fame, separazioni, ferite fisiche e psicologiche, condizioni di sopravvivenza indegne, malattie, una catastrofe che ha proporzioni che di giorno in giorno sembrano inarrivabili anche per la generosità enorme messa in campo da migliaia e migliaia di donatori e centinaia di volontari di organizzazioni non governative e agenzie umanitarie. Una catastrofe che neppure il peggior cinico potrebbe definire come ?il meno peggio?, anche perché delle sue dimensioni e della sua realtà sappiamo solo la metà visibile e nulla invece sappiamo di quello che è successo e succede dentro i confini blindati e minati del Kosovo. Il primo mese di conflitto ci ha consegnato qualche centinaio di vittime civili serbe: e anche lì le vittime cominciano a non aver più nome e cognome, e questo significa che sono tante. Questo carico orribile si può ancora definire come ?il male minore?? No. Non possiamo più accettare di abituarci all?indignazione di fronte alle nefandezze di Milosevic che i volti dei deportati raccontano, non possiamo più accettare di firmare uno dei tanti appelli per la pace. Chi non vuole la pace, chi dice di non volere la pace? Non possiamo più accettare di essere costretti nell?angolo dell?intervento umanitario, pur così necessario. In redazione e nel dialogo con tantissimi amici e lettori sentivamo l?esigenza di uscire dall?angolo in cui gli eventi sembrava ci avevano costretti. Sentivamo l?esigenza di trovare una via che rimettesse in causa la dimensione personale di ciascuno. Per questo promuoviamo un appello che chiede un coinvolgimento profondo, intimo, personale. ?Io vado a Pristina? non chiede un generico pronunciamento per la pace, ma domanda una disponibilità a manifestare pacificamente nei luoghi teatro della guerra. Il nostro obiettivo è di raccogliere almeno la disponibilità personale (per questo ci siamo rivolti alle persone e non alle strutture delle organizzazioni), di centomila uomini di pace. Raccogliere questo carico testimoniale prima ancora di dare una finalizzazione pratica e organizzativa all?iniziativa (finalizzazione su cui d?altra parte stiamo già lavorando). Chiediamo a noi stessi e a chi ci legge di passare dalle parole alla testimonianza. Perciò vi chiediamo di mobilitarvi, di firmare e fare firmare, di promuovere raccolte firme. Da parte nostra dalla prossima settimana vi offriremo gli strumenti organizzativi e pratici per sostenere questa mobilitazione di coscienze e di uomini e donne che decidono di rischiare qualcosa personalmente per promuovere la pace.


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