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Cooperazione 2/ Il testo dell’audizione di Mantica in Senato

Il sottosegretario agli Esteri ha reso una lunga relazione a Palazzo Madama. Tutti i dati, gli impegni e il disegno politico del governo sugli Aiuti allo Sviluppo. Non perdetevi neanche una virgola

di Benedetta Verrini

Una radiografia alla cooperazione allo sviluppo, con tanto di dati relativi al 2001 e promesse fatte dal governo negli appuntamenti internazionali. Così il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, martedì 23 luglio, ha reso alla commissione Esteri del Senato una dettagliata relazione sull’argomento. Vi riportiamo, di seguito, alcuni passaggi del resoconto parlamentare. Lo scenario internazionale Più di un miliardo di persone vive in condizioni di povertà assoluta e l’86 per cento del PIL globale è a disposizione della sola quinta parte più ricca della popolazione mondiale, mentre la quinta parte più povera dispone dell’1 per cento. Ottocento milioni di persone sono da considerarsi denutrite secondo il recente Vertice FAO, e c’è una grave situazione sanitaria dei Paesi in via di sviluppo colpiti, oltre che dalle malattie endemiche, anche dalla piaga dell’AIDS. A tutto ciò si aggiunge inoltre l’elevata mortalità infantile e il diffuso analfabetismo negli stessi Paesi in via di sviluppo. Mantica ha fatto presente che si prevede che nei prossimi due decenni, se non si verificherà un’inversione nei tassi di crescita, la popolazione mondiale raggiungerà gli 8 miliardi di abitanti, dei quali meno di 2 vivranno nelle aree del benessere, mentre i rimanenti 6 nelle aree della povertà e quasi la metà di essi nell’indigenza assoluta. Ne deriva che i progressi compiuti dai Paesi in via di sviluppo nel corso degli anni ’90 sono ancora insufficienti ed è richiesto pertanto un rinnovato impegno della comunità internazionale, soprattutto in favore dell’Africa. Impegni della comunità internazionale Il Sottosegretario ripercorre le principali tappe in cui, negli anni più recenti, sono stati fissati gli obiettivi da perseguire nella lotta alla povertà. Cita quindi analiticamente quanto stabilito nella Dichiarazione del Millennio approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel settembre 2000, nel Monterrey consensus, nelle conclusioni della Conferenza di Doha sul commercio internazionale, nella recente sessione dell’ECOSOC dedicata al tema della valorizzazione delle risorse umane e della sanità, nella riunione del G8 di Genova e in quella di Kananaskis che ha approvato il Piano per l’Africa. Pone tuttavia in evidenza come i Paesi in via di sviluppo abbiano criticato tanto il Monterrey consensus, quanto le conclusioni della Conferenza di Doha, in quanto gli impegni assunti in quelle sedi non sono stati ritenuti sufficienti ai fini della lotta alla povertà. Conseguentemente non è stato possibile predisporre un documento politico che registrasse un ampio consenso in vista della Conferenza di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile e pertanto tale documento verrà elaborato solo nella fase di svolgimento della Conferenza medesima. Al tempo stesso l’Organizzazione per l’Unità Africana ha dichiarato di non accettare il preambolo politico del Piano per l’Africa, che pone la condizione della good governance per la concessione degli aiuti, non riconoscendo ai Paesi ricchi il diritto di sottoporre a giudizio il processo di emancipazione politica in senso democratico prescelto dai singoli Paesi africani, in quanto si tratterebbe di una nuova forma di colonialismo. Egli formula peraltro un giudizio positivo su questo quadro generale di iniziative a livello internazionale, che appare fortemente dinamico e lascia ben sperare anche ai fini della lotta al terrorismo, che trae le proprie origini anche da condizioni socio-economiche di estrema povertà, che la cooperazione allo sviluppo può contribuire a rimuovere risolvendone le cause strutturali. Impegno italiano negli aiuti allo sviluppo Mantica ha ricordato le iniziative assunte sia in sede di G8, sia in merito al Piano per l’Africa. Conferma inoltre che la cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dell’Italia, dal momento che da un lato risponde all’esigenza etica della solidarietà dei ricchi verso i poveri che si manifesta anche fra Stati e dall’altro è utile a rafforzare le relazioni politiche, culturali ed economiche con i Paesi in via di sviluppo, promuovendo fra l’altro il sistema Italia. La cooperazione rappresenta inoltre uno strumento per promuovere la democrazia, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, oltre che per contribuire alla prevenzione dei conflitti e al ristabilimento della pace nelle aree di crisi. Passando alle cifre relative all’aiuto pubblico allo sviluppo da parte dell’Italia, egli rende noto che l’insieme delle risorse pubbliche nette trasferite ai Paesi in via di sviluppo, nel 2001, è stato pari a 3228 miliardi di lire, equivalenti allo 0,15 per cento del prodotto interno lordo (PIL), con un leggero incremento rispetto all’anno precedente in cui lo stesso dato era risultato pari allo 0,13 per cento, ma con una forte contrazione rispetto allo 0,34 per cento raggiunto nel 1992. Per quanto riguarda la composizione dell’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia, il rappresentante del Governo precisa che 2726 miliardi di lire, pari al 77 per cento, sono destinati all’aiuto multilaterale e 502 miliardi, pari al 23 per cento, sono finalizzati agli aiuti bilaterali. A sua volta, l’apporto italiano all’aiuto multilaterale si suddivide in 1362 miliardi quale contributo alle attività dell’Unione europea a favore dei Paesi in via di sviluppo, 746 miliardi per contributi a banche e fondi di sviluppo e 618 miliardi per contributi obbligatori o volontari al bilancio di organismi internazionali di cooperazione. L’aiuto pubblico bilaterale netto è invece la risultante dello stanziamento per doni di 735 miliardi di lire a cui va sottratta la cifra dei rientri concernenti i crediti di aiuto, pari a 233 miliardi. Egli ricorda al contempo che i doni bilaterali includono anche i finanziamenti per progetti multibilaterali, nonché i contributi a fondi fiduciari di organismi internazionali destinati a singoli Paesi o aree geografiche. Dopo aver ricordato la ripartizione geografica dei contributi italiani, che vede la quota più rilevante destinata all’Africa subsahariana e che comunque assegna il 40 per cento degli aiuti bilaterali in favore dei 49 Paesi considerati, secondo parametri ONU, come i meno avanzati, il Sottosegretario sottolinea che lo stanziamento di bilancio per le attività di cooperazione promosse dall’Italia di diretta competenza della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri risulta essere pari soltanto a circa un terzo dell’aiuto pubblico allo sviluppo, mentre un altro terzo è rappresentato dal contributo alle attività dell’Unione europea ed il rimanente da cancellazioni del debito e contributi a banche e fondi di sviluppo gestiti dal Ministero dell’economia e delle finanze, nonché da altre voci di entità minore su bilanci di altri Dicasteri, enti pubblici ed enti locali per attività di cooperazione decentrata. Evidenzia peraltro come la legge n. 209 del 2000, recante norme per la riduzione del debito ai Paesi a basso reddito, ha consentito all’Italia di avviare un processo finalizzato, attraverso la conclusione di accordi bilaterali, alla cancellazione totale dei debiti verso la stessa Italia non solo dei Paesi più poveri ed indebitati (HIPC), ma anche di quelli con reddito pro capite inferiore a 700 dollari l’anno o colpiti da calamità. Al riguardo, egli riferisce sugli accordi di cancellazione debitoria con Paesi HIPC firmati finora dal Governo italiano, richiamando in particolare quello concluso il 17 giugno scorso con il Monzambico. Dichiara poi che è intenzione del Governo accrescere gli stanziamenti di bilancio per l’aiuto pubblico allo sviluppo, al fine di conseguire, entro il termine della legislatura, l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona dello 0,33 per cento del PIL entro il 2006, con ciò riportando nuovamente il livello dell’aiuto pubblico italiano a quello raggiunto all’inizio degli anni ’90. In proposito, egli fa esplicitamente riferimento alla scansione annuale degli incrementi contemplata dal Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF). Quanto alle specifiche priorità internazionali che l’Italia conta di conseguire grazie al rinnovato impegno sul piano dell’aiuto pubblico allo sviluppo, il Sottosegretario cita il contributo alla ricostruzione dell’Afghanistan, il sostegno all’Argentina nell’attuale crisi economico-sociale, la promozione di un piano di rinascita della Palestina ispirato alle modalità proprie del Piano Marshall, il rispetto degli impegni assunti nei confronti della Nuova iniziativa africana (NEPAD) e in favore del Fondo globale per la lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria, il conseguimento degli obiettivi fissati dal Vertice mondiale sull’alimentazione e infine la realizzazione del progetto di partenariato, inizialmente con cinque Paesi pilota, consistente nella elaborazione di un modello di informatizzazione del settore pubblico (e-government) da trasferire ai Paesi in via di sviluppo, nel rispetto tuttavia della cultura, della tradizione e dell’identità dei singoli popoli. Il rappresentante del GOVERNO traccia quindi le linee direttrici che l’Esecutivo intende seguire in materia di aiuti allo sviluppo evidenziando in primo luogo come sia troppo rilevante la parte di cooperazione italiana canalizzata attraverso istituzioni multilaterali, spesso inefficienti e con altissimi costi di gestione, e come pertanto sia necessario riequilibrare questa proporzione in favore degli interventi bilaterali realizzati da istituzioni italiane. Andranno poi riviste sia le priorità geografiche alla luce dell’evoluzione della situazione internazionale, sia le modalità e i settori di intervento, allo scopo di mettere a disposizione dei Paesi poveri non solo risorse finanziarie, ma anche know how, capacità tecniche e imprenditoriali, modelli di sviluppi elaborati dal sistema Italia. In considerazione inoltre del fatto che non può ritenersi sufficiente il contributo pubblico per la cooperazione allo sviluppo, si dovranno promuovere nuove forme di collaborazione tra settore pubblico e settore privato, elaborando strumenti innovativi per il reperimento di risorse finanziarie, come ad esempio la proposta contenuta nel provvedimento collegato alla legge finanziaria, che prevede l’istituzione di un sistema di detassazione di parte del contributo a iniziative in favore dei Paesi in via di sviluppo promosse da imprese commerciali. Il Governo ritiene poi che l’attività di cooperazione dovrà anche tener conto del profondo mutamento in atto negli interventi di aiuto ai Paesi in via di sviluppo, che stanno ormai abbandonando le modalità proprie dei progetti di cooperazione tecnica per orientarsi verso il sostegno a specifici programmi o settori, nel quadro del rafforzamento delle istituzioni del Paese considerato. Occorrerà a tale proposito che i Paesi in via di sviluppo dispongano di apparati amministrativi efficienti. Dovranno inoltre essere tenute in considerazione le priorità settoriali emergenti, quale la sfida posta dalla disparità di accesso alle tecnologie informatiche. Al riguardo, egli sottolinea l’impegno del Governo italiano per l’adozione di tecnologie informatiche da parte delle pubbliche amministrazioni dei Paesi in via di sviluppo, ricordando nuovamente il già citato progetto relativo all’e-government destinato a cinque Paesi pilota (Albania, Giordania, Tunisia, Nigeria e Mozambico) e segnalando in particolare l’elevato interesse manifestato dal Mozambico per la realizzazione di un catasto agricolo. Principio fondamentale della cooperazione italiana dovrà in ogni caso restare quello del partenariato con i Paesi beneficiari, i quali devono assumersi la responsabilità primaria del loro sviluppo. Questo concetto del resto è alla base della NEPAD, che rappresenta un modello promettente e innovativo di cooperazione. Ciò non toglie che il Governo italiano continuerà a sostenere attivamente le iniziative promosse dalle organizzazioni non governative (ONG), delle quali si riconosce il ruolo importante soprattutto nelle aree in situazioni di crisi, dove gli interventi bilaterali sono più difficili, e per le iniziative a carattere umanitario o di alto contenuto sociale. Le ONG, d’altra parte, rappresentano un’espressione spontanea dello spirito di solidarietà della società civile italiana nei confronti del mondo in via di sviluppo e costituiscono anche un valido strumento per favorire una corretta informazione dell’opinione pubblica sui temi in oggetto. Riforma della cooperazione Occorrerà avviare un processo di ristrutturazione della struttura responsabile degli aiuti, al fine di renderla più efficiente ed efficace e più consona agli obiettivi di politica estera dell’Italia. Dopo aver espresso la constatazione che non esiste, tra gli Stati partner dell’Unione europea, un modello unico di cooperazione allo sviluppo, ma che al contrario i singoli sistemi riflettono le tradizioni culturali, le strutture economiche e sociali e l’orientamento politico e dell’opinione pubblica dei Paesi considerati, egli rimarca l’esigenza di riordinare la disciplina introdotta dalla legge n. 49 del 1987, che ha rivelato nell’attuazione pratica gravi carenze operative, alle quali si è cercato di porre rimedio con numerose modifiche legislative nel corso del tempo. In particolare, si avverte l’assenza di un adeguato sistema di raccordo tra indirizzo politico, strategie operative, programmazione, esecuzione degli interventi e controlli formali e di merito, né appare chiara la suddivisione delle competenze tra il personale diplomatico e gli esperti tecnici, che sono spesso chiamati a svolgere compiti amministrativi che non spettano loro, mentre i diplomatici sono chiamati ad assumersi responsabilità per attività di natura tecnica o manageriale in merito alle quali non hanno una specifica preparazione. Va inoltre segnalato che gli esperti tecnici si trovano a svolgere la doppia funzione di elaborazione ed esecuzione dei progetti e, nel contempo, di controllo e valutazione della efficacia ed efficienza degli stessi. Non prevedendo tra l’altro la normativa vigente il ricorso a consulenze tecniche esterne, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo sconta anche carenze di organico. Questa situazione ha indotto a ricorrere in maniera crescente allo strumento multilaterale, determinando così perdita di visibilità dello sforzo compiuto dall’Italia, mancanza di trasparenza ed aggravio dei costi. Mentre infatti gli interventi bilaterali prevedono istruttorie complesse e laboriose rendicontazioni, i contributi agli organismi internazionali vengono spesso utilizzati sulla base di intese sommarie e molto lacunosa appare la documentazione contabile acquisita dalla Direzione generale competente circa l’utilizzazione di questi fondi. Egli rende peraltro noto che l’Italia ha stipulato accordi quadro diretti a disciplinare rigorosamente le modalità di utilizzazione dei fondi di provenienza italiana nell’ambito degli interventi bilaterali. Nel ricordare poi che nel corso della passata legislatura vennero presentate in Parlamento numerose proposte di legge sulla riforma della cooperazione allo sviluppo, assicura la disponibilità del Governo a confrontarsi con il Parlamento e con tutte le espressioni della società civile interessate alla cooperazione allo sviluppo prima di procedere ad elaborare nel dettaglio un’apposita proposta di riforma. Qualunque sia il modello che verrà prescelto, egli precisa tuttavia che occorrerò garantire la necessaria trasparenza nella realizzazione delle iniziative, senza però che i meccanismi di verifica e di controllo inficino la flessibilità che viene richiesta per gli interventi di cooperazione a fronte dei possibili mutamenti delle realtà politiche locali o dinanzi a iniziative a carattere fortemente etico e solidaristico che non possono essere valutate solo con il metro dell’interesse nazionale o in base a riscontri di tipo ragioneristico. Infine, il Governo ritiene che la struttura della gestione degli aiuti dovrà cercare di coinvolgere tutti i possibili soggetti attivi del sistema Italia, assegnando loro il giusto ruolo; in primo luogo le ONG di cooperazione, ma anche le Università, gli Enti di ricerca, gli Istituti specializzati e il mondo economico e produttivo. Occorrerà inoltre studiare nuove disposizioni per la collaborazione tra settore pubblico e privato a beneficio dei Paesi in via di sviluppo. Info: www.senato.it


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