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Israele cancella l’accordo con Unhcr sui richiedenti asilo
Il patto che avrebbe permesso a circa 39mila persone, principalmente eritrei e sudanesi, di ottenere un permesso di soggiorno in Israele o di accedere a dei programmi di relocation, è stato cancellato dal primo ministro Netanyahu a 24 ore dalla firma
Un accordo firmato il 2 aprile e cancellato meno di 24 ore dopo. È quello che è successo al patto tra Unhcr e Israele che avrebbe visto il trasferimento dal Paese di circa 16mila eritrei e sudanesi nell’ambito di vari programmi di gestione dei flussi migratori, incluso il resettlement, il ricongiungimento familiare, i sistemi di sponsorizzazione e gli schemi di migrazione per motivi di lavoro, mentre altri avrebbero ricevuto un permesso di soggiorno in Israele.
L’accordo, frutto di una lunghissima trattativa, avrebbe dovuto coinvolgere circa 39mila persone nei prossimi cinque anni ed avrebbe sostituito la direttiva emanata dal governo e poi sostituita dalla corte suprema israeliana, per la stesura di un piano di espulsione dei cittadini eritrei e sudanesi entrati nel Paese negli ultimi dieci anni. Secondo il piano del governo annunciato lo scorso gennaio, infatti, alle persone arrivate da Eritrea e Sudan sarebbero state date due opzioni: accettare di essere espulsi dal Paese, in cambio di 3.500 dollari, oppure essere trasferiti in un centro di detenzione, per un periodo indefinito. Il piano annunciato da Netanyahu a gennaio aveva immediatamente sollevato le preoccupazioni della società civile internazionale, in Israele un gruppo di oltre cento rabbini aveva dato vista all’Anne Frank Home Sanctuary movement, un vero e proprio movimento di resistenza civile che puntava ad assistere circa 40mila persone, principalmente eritree e sudanesi che rischiano la deportazione, offrendo, se necessario, letteralmente un rifugio a casa propria. Tra le voci che si erano opposte al piano anche alcuni dei principali esponenti della comunità ebraica internazionale e dei sopravvissuti all’Olocausto.
Con l’approvazione dell’accordo tra Unhcr e governo israeliano la minaccia della deportazione di massa dei migranti sembrava scampata. Oltre alla relocation, secondo cui per ogni persona ricollocata in un Paese terzo sicuro, a un’altra sarebbe stato dato un permesso di soggiorno in Israele, l’accordo prevedeva inoltre l’attivazione di programmi di formazione e inserimento lavorativo nei campi dell’energia, dell’agricoltura e dell’irrigazione per i richiedenti asilo. Secondo l’Unhcr tra i punti dell’accordo vi sarebbe anche stata anche l’intenzione di “incoraggiare i richiedenti asilo eritrei e sudanesi a lasciare i quartieri della parte sud di Tel Aviv, dove si sono in larga parte stabiliti”.
Il ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato di aver deciso di cancellare l’accordo proprio dopo essersi consultato con i residenti di Tel Aviv, aggiungendo, secondo la BBC, che adesso prenderà in considerazione “tutte le opzioni per rimuovere gli intrusi”.
L’Unhcr ha espresso “grande rammarico” per la cancellazione “dell’accordo firmato il 2 aprile sulla ricerca di soluzioni per i cittadini eritrei e sudanesi attualmente ospitati in Israele. L’accordo, a cui si era giunti dopo lunghe discussioni, rispecchiava lo sforzo condiviso per trovare una soluzione che offrisse protezione internazionale alle persone che arrivano in Israele dopo essere fuggite da guerre o persecuzioni, e allo stesso tempo andava incontro alle preoccupazioni delle comunità ospitanti israeliane”.
Secondo l’Unhcr tra l’altro da dicembre 2013 fino a giugno 2017, circa 4mila eritrei e sudanesi sono stati trasferiti in Rwanda e Uganda ma “a causa della segretezza di questo piano e della mancanza di trasparenza rispettivamente alla sua implementazione è stato molto difficile per l’Unhcr seguire e monitorare sistematicamente la situazione delle persone trasferite nei Paesi africani”. Nel 2013 Israele aveva anche terminato la costruzione del muro con l’Egitto, pensato proprio per bloccare l’ingresso nel Paese ai migranti.
La maggior parte delle persone arrivate nel Paese erano entrate proprio dall’Egitto diversi anni fa.
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