Formazione

Sono bombe ma di solidariet

Tra i rifugiati Kukes, Scutari, Durazzo: tre storie di straordinaria accoglienza "made in Italy"

di Gabriella Meroni

Non solo tragedie. Non solo bombardamenti, deportazioni, violenze, sofferenze. Non accade solo questo al di là dell?Adriatico, in Albania e Macedonia. Ad accogliere i profughi ci sono italiani e organizzazioni che hanno raggiunto luoghi ormai familiari come Kukes, Cavaje, Brace, Scutari, Tropoje. Vi raccontiamo alcune delle loro esperienze di volontari. Storie che ciascuno può ripercorrere, rispondendo alle ricerche di personale delle ong i cui appelli pubblichiamo a pag. 8. Oppure favorendo la fine di questa guerra. All?interno del giornale quattro pagine spiegano come fare qualcosa subito.

Storia 1.Elena Sibani, maestra elementare

Una scuola per i kosovari

Una città di pace dentro un teatro di guerra. Un mondo di fiabe dentro un incubo di morte. Un sospiro di sollievo dentro tanta, troppa follia. A Kukes, i volontari della comunità di Sant?Egidio ce l?hanno fatta. Accanto al magazzino delle patate, a venti chilometri dalla frontiera, in mezzo al fango, ai feriti, alle migliaia di profughi, 800 bambini da 6 ai 14 anni vanno a scuola. Imparano a scrivere e a leggere e, finalmente, studiano alla luce del sole la loro lingua: il kosovaro. I sei maestri sono infatti quegli stessi che, sfidando le autorità di Belgrado, dal 1991 hanno insegnato nelle scuole ?parallele? dei villaggi albanesi in terra serba: cantine, case, uffici. Lezioni serali, protette dal silenzio e dal segreto.
«Tutto è iniziato il 4 aprile», dice Elena Sibani, maestra elementare romana e volontaria di Sant?Egidio, che ha lavorato per un mese a Kukes per costruire la scuola sui prati accanto ai campi o sotto le tende verdi della Protezione civile italiana. «Appena abbiamo aperto le iscrizioni sono arrivati in 300. Per ogni bambino davamo un?arancia e il numero d?iscrizione valeva per partecipare alla lotteria. Poi abbiamo fatto una festa, con danze, balli e giochi. Abbiamo detto ai bambini che avremmo costruito la scuola della pace perché la pace è il nome più bello del mondo. Poi abbiamo estratto i numeri e i vincitori hanno ricevuto dei dolci».
Così il giorno dopo la scuola è iniziata. Gli scolari profughi tutti seri si sono messi in fila per marciare. I maestri profughi, pieni di orgoglio, hanno cantato l?inno kosovaro. E poi – con gli abbedecedari in lingua albanese, le penne e i quaderni comprati dai volontari – tutti seduti su enormi teloni di plastica, hanno dato inizio alle lezioni. La notizia si è sparsa: sono arrivati altri 500 bambini e altri sei maestri. E anche la domenica dopo, il 14 aprile, quando sono arrivati a Kukes 14 mila profughi quasi impazziti, la scuola non si è fermata. È stato assunto un bidello che teneva pulite le tende e custodiva penne e quaderni. E anche quando è arrivata la pioggia, e i campi si sono riempiti di fango, la scuola è andata avanti. «Bladi era il mio preferito», ricorda Elena. «È figlio di un medico e arrivava da Prizren. Capelli biondi, occhi verdi, grande sorriso e un?allegria contagiosa. Per i 30 chilometri fra Prizren e Kukes ci ha messo 49 ore».
Gli scolari della scuola della pace hanno scritto temi che parlano del freddo, dei fucili dei serbi e della paura, dei loro villaggi dietro le montagne, e del desiderio di tornare a casa. «Siamo bambini, ma abbiamo visto tante cose», hanno scritto. I maestri, quando sfogliavano l?abbecedario regalato da un poeta albanese che a ogni pagina ha inserito una poesia per i bambini del Kosovo, si sforzavano di ricordare che i serbi non sono tutti come quelli che piombavano nei villaggi. I maestri ogni giorno si stupiscono di poter insegnare la loro lingua senza timore di finire in prigione, ma sanno che nulla tornerà a essere come prima. «Ma noi li seguiremo», conclude Elena Sibani. «Li seguiremo se verranno evacuati da Kukes e li seguiremo se torneranno nei loro villaggi. No, la scuola della pace non abbandonerà i piccoli profughi del Kosovo».

Storia 2. Mario Baglio, giovane sacerdote

Un villaggio tutto nuovo

Mario Baglio è uno dei pochi ragazzi italiani ad aver sempre sognato di andare in Albania. Due anni fa, a 29 anni appena compiuti e appena ordinato sacerdote, riesce a realizzarlo. Partito dalla sua Catania va prima al sud, nella verde Elbasan, al confine con la Grecia, e poi al nord, nella montuosa e inospitale Scutari. Qui per sei mesi ha pochissimo da fare: organizza tre incontri sulla dottrina sociale della Chiesa, a cui partecipano politici e notabili della città. Contatta alcuni ragazzi della parrocchia, mette su un gruppo giovanile. Poi un giorno, nel marzo del 1998, i frati francescani di Tropoje lo chiamano: i loro confratelli in Kosovo li hanno avvertiti che molte persone stanno lasciando il Paese a causa delle persecuzioni dei serbi. Stanno arrivando in Albania e bisogna aiutarli. Allora Mario, che in fondo è un ragazzo di trent?anni e non ha esperienza di emergenze umanitarie, chiede aiuto all?Acnur, l?agenzia Onu per i rifugiati, perché gli dia una mano. Almeno con un contributo in denaro. Ma non ottiene niente. Il suo allarme è esagerato, si sente rispondere.
Oggi Mario non ha più la sua casa, due stanze e cucina nel piccolo villaggio di Shiroka, a sei chilometri da Scutari, perché dentro ci vivono trentacinque profughi. «Ma non state stretti?», gli ha chiesto lui una volta. «Sì padre» ha risposto il capofamiglia. «Ma nei boschi era molto peggio».
Così Mario si è arreso e li ha lasciati lì, mentre lui si è trasferito in città, a ridosso del cinema ?Repubblica?. Qui i primi giorni dell?esodo la prefettura di Scutari aveva sistemato seicento profughi, tutti seduti sulle seggiole di legno come in attesa di una proiezione a lungo rimandata. Ma Mario si ribella, va dentro con i suoi volontari, smonta le sedie e mette giù teloni di plastica e materassi. Ci sono trentamila profughi a Scutari di cui tremila ?in carico? alla Caritas di don Mario. Che ha avuto un?idea straordinaria per farli sentire più a casa loro.
«Un giorno un vecchio è venuto da me piangendo», racconta. «Mi ha detto: cosa mi è servito lavorare una vita e poi essere qui come un fardello inutile? La società albanese infatti dà enorme importanza agli anziani, ai capifamiglia. Così abbiamo pensato: perché non ricostruire qui la struttura di un villaggio?».
Niente campo profughi, dunque, a Scutari, ma una comunità in esilio che ha eletto al suo interno un consiglio degli anziani incaricato di prendere tutte le decisioni, dalle piccole riparazioni ai turni per la raccolta dei rifiuti. Le donne provvedono alla pulizia, i bambini vanno a scuola dalle suore salesiane (ma i maestri sono kosovari), organizzati in classi secondo la struttura kosovara (otto elementari e due medie), e non trascurano nulla, neppure l?ora di ginnastica. Per il pranzo, Mario ha stipulato una ?convenzione? con la mensa ufficiali dell?esercito, e i profughi mangiano seduti come al ristorante. La sera, ricevono un pacco per famiglia con tre litri di yogurt – il piatto forte della cena kosovara -, pane, scatolame e latte per i bambini. «I nostri volontari sono albanesi», spiega Mario. «E questa è una novità per un Paese così povero che fino ad oggi era abituato a ricevere gli aiuti e non a darne. Invece l?Albania si sta comportando da gran signora».
Almeno agli occhi di Mario, il ragazzo che sognava di attraversare l?Adriatico.

Storia 3. Franco De Luca, pediatra della Croce Rossa
Abbiamo riacceso i loro occhi

“Tutte le mamme del mondo sono uguali, si preoccupano sempre che i loro bambini non mangino abbastanza. Ma ce n?è qualcuna che ha qualche ragione in più delle altre”.Non se li è dimenticati i visini affilati e affamati dei bimbi kosovari, il dottor Franco De Luca, romano, pediatra dell?Asl di Campagnano, immediata periferia della capitale, e ufficiale di complemento della Croce Rossa. Rientrato da pochissimi giorni dal campo italiano di Cavaje vicino a Durazzo ha ancora negli occhi e nella voce la commozione per aver scoperto un modo diverso di fare il suo lavoro.
«Curare i bambini è la mia professione da vent?anni» spiega lo specialista, 48 anni, moglie (anche lei pediatra) e due figlie che ha dovuto convincere a passare la Pasqua lontane da lui. «Ma in Albania ho dovuto imparare molte cose da zero. Ho visto casi di rachitismo che avevo studiato solo sui libri. Casi di denutrizione grave, dovuti a venti o trenta giorni di stenti in un?età che non permette distrazioni alimentari. E poi tanti, tantissimi bambini resi muti, inebetiti e insensibili dall?orrore che sono stati costretti a vedere. Loro sì che non mangiavano, anche quando gli mettevi davanti i cibi più buoni».
Eppure normalmente non lavora nei quartieri alti, il dottor De Luca. Presta la sua opera in periferia, in un consultorio pubblico, dove spesso arrivano piccoli con famiglie non proprio modello, con storie pesanti alle spalle, genitori assenti, affetti negati.

Le mamme col volto di pietra
«Non mi era mai capitato però di vedere bambini con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi fissi. Psicosi reattive, si chiamano. E poi le loro mamme… Donne semplici, contadine, che però si accorgevano che qualcosa non andava nei loro figli. Ci portavano i bambini e poi rimanevano lì davanti a noi, in silenzio. Anche gli interpreti erano impotenti davanti ai loro volti impietriti. E allora noi a improvvisarci psicologi, suggerivamo di parlare con i figli, di mostrarsi comunque forti, di trasmettere sicurezza. Gli spiegavamo che i bambini ormai erano al sicuro e non avrebbero più visto morti, case bruciate e violenze. La soddisfazione più grande era tornare dopo qualche giorno nelle tende di quelle persone e vedere i bambini sorridere». Le mamme di questi bimbi ritornano spesso nel suo ricordo. «La cosa che le metteva più a disagio era il non poter lavare i figli. Si vergognavano del fatto che erano sporchi, loro che sono pulitissimi e facevano vergognare noi per come tenevamo le nostre tende personali…».

Cari colleghi, fate come me
Adesso che il dottor De Luca non si alza più alle sette e non fa più ottanta visite al giorno, e può dormire di notte invece che essere svegliato due o tre volte per le emergenze, tiene a far arrivare ai suoi colleghi un semplice messaggio:
«Ai miei colleghi consiglio caldamente un?esperienza come la mia. Si impara umanamente, e anche professionalmente: spesso noi medici moderni siamo abituati a fare diagnosi con tutti i supporti delle analisi più sofisticate, e solo dopo averle accuratamente esaminate. Lì non c?era nulla di tutto questo, e siamo stati costretti a fare diagnosi alla vecchia maniera, visitando il paziente e basandoci sull?esperienza. Sarei bugiardo se dicessi che ci siamo mai sbagliati».

Ok, avanti così…

Per una volta l?Italia si sta muovendo davvero bene, siamo tutti coordinati: i volontari di tutte le associazioni impegnate in Macedonia e Albania si sono divisi i compiti e si collabora con la massima disponibilità. Si agisce su compiti precisi e su richieste altrettanto precise avanzate dalla Protezione civile. Se dovessimo fare un bilancio degli interventi finora attuati potremmo senz?altro dire che tutti i volontari delle associazioni umanitarie si sono mossi davvero bene. Ognuno sta portando avanti il suo ruolo nel migliore dei modi, senza sovrapposizioni inutili. Senz?altro, però, il pensiero comune è che si vorrebbe fare ancora di più. Non si può certo rimanere impassibili di fronte all?ondata di centinaia di profughi che ancora devono trovare accoglienza. Che fare, allora? Passata l?emergenza si sta cercando di introdurre miglioramenti concreti, anche se obiettivamente da un punto di vista logistico e sanitario si sta già facendo l?impossibile. Obiettivi prioritari dovranno essere prima di tutto creare nuovi campi, possibilmente non in posizioni critiche come quello di Kukes che appena piove un po? si riempie di fango. Quindi si tratta di migliorare l?organizzazione e le condizioni di vita in quelli che già sono stati allestiti, e soprattutto spostarli lontano dai confini. Infine, sarà indispensabile realizzare il progetto di scuole mobili per i ragazzi dei campi profughi.
presidente generale della Croce Rossa italiana

Raggiunta quota 80 miliardi

La Missione Arcobaleno ha raggiunto quota 80 miliardi. E ?Vita? continua il filo diretto per aggiornare sulle attività del Commissariato per la gestione dei fondi privati, presieduto da Marco Vitale. Fra le iniziative deliberate si segnala l?impegno di 500 milioni per il ?Treno della Vita? con ii quale si va a contribuire alla copertura dei costi. Inoltre, per risolvere il problema di far giungere in modo continuativo gli aiuti ai campi profughi in Albania è stato predisposto un progetto per il noleggio di una nave portacontainer. L?impegno economico per tre mesi sarebbe di 2 milioni di dollari. Questa nave verrebbe messa al servizio esclusivo di tutte le ong e del volontariato, l?imbarcazione avrebbe un servizio di linea, regolare andando a toccare i porti di Ravenna, Ancona, Brindisi e Durazzo. La proposta è all?esame della Protezione Civile.
Sono stati inoltre predisposti dei numeri di telefono per mettersi in contatto con l?Ufficio di coordinamento della Missione Arcobaleno (tel. 02-76015122, 02-76015232; fax 02/76015615). Si possono richiedere i criteri adottati per la selezione delle ong e delle associazioni e per selezionare le iniziative da finanziare.

Cercasi volontari
Ai.Bi.
Cerca coordinatori gestionali diretti ad un Osservatorio Minori
da realizzare sul territorio albanese. Dovranno essere in grado di svolgere interventi sociali e logistici. Requisiti richiesti: disponibilità immediata a partire e quindi rimanere in Albania per almeno 6 mesi; esperienza di coordinatore gestionale di un progetto di cooperazione internazionale; laurea e/o master; buona conoscenza della lingua inglese. Corso di formazione, spese di viaggio, alloggio e assicurazione saranno a carico dell?Ai.bi. Gli operatori usufruiranno
di un trattamento economico di 1 milione 700 mila lire mensili.
Inviare curriculum e lettera di motivazione (specificando Rif. EBK) al seguente numero di fax: 02/98232611

CESVI
Cerca coordinatori e logisti per il Sud dell?Albania.

Il candidato ideale ha già esperienza nell?ambito della cooperazione, capacità decisionale in tempi brevi, attitudine al lavoro autonomo. Preferenziale è la conoscenza della lingua inglese. Si richiede disponibilità minima a rimanere in Albania per 3 mesi, meglio se estendibile a 6. Per i coordinatori è prevista una interessante retribuzione. Si ricercano inoltre volontari con attitudini manuali e qualifiche tecniche in attività idrauliche, elettriche e di muratura. Per loro la disponibilità richiesta è di 3-4 mesi.
Inviare curriculum a Cesvi Cooperazione e Sviluppo, via Pignolo 50, 24121 Bergamo.
Tel 035/243990
Fax 035/243887.

INTERSOS
Si cercano logisti e magazzinieri per i campi di Albania e Macedonia
Loro compito sarà organizzare la distribuzione dei beni di prima necessità. Si cercano anche operatori e assistenti sociali per rispondere al disagio degli ospiti delle strutture di accoglienza. Il volontario ideale ha maturato una discreta esperienza sul terreno dell?emergenza, conosce l?inglese e ha una disponibilità di tempo di 2-3 mesi. L?associazione provvederà a viaggio, vitto e alloggio e fornirà un pocket money di un milione e mezzo.
Inviare curriculum al numero di fax 06/4469290.

AVSI
L?associazione ricerca, per il progetto ?Emergenza bambini? 4 coordinatori
di attività per l?infanzia.

Si richiedono esperienza in gestione del personale, attitudini alle relazioni umane e istituzionali, capacità organizzative;
si ricercano inoltre 3 pediatri di base, 1 psicologo e 4 operatori sociali/animatori. Per il progetto ?Pane per i profughi?: 2 logisti e 1 magazziniere; un coordinatore che sappia l?inglese e abbia competenze manageriali. Per il campo profughi di Valona si ricercano: 2 coordinatori, con capacità organizzative e amministrative e conoscenza della lingua inglese; 1 medico di base. Disponibilità di tempo richiesta da un minimo di 1 a 3 mesi.
Inviare curriculum all?Avsi (fax 02/5062994) all?attenzione di Giampaolo Silvestri.

ICS
Dall?idraulico al maestro d?asilo, l?associazione cerca ogni tipo di volontari.

Unico requisito indispensabile: la maggiore età e l?esperienza adatta a reggere lo stress di un contesto problematico. Figure specifiche richieste: medici, infermieri e pedagogisti. Disponibilità minima: 2 settimane. A carico dei volontari le spese del viaggio per Durazzo, da lì si occuperà di tutto l?Ics (inclusi vitto e alloggio). Inviare curriculum via fax (06/4469290) indirizzato a PaoloTamiazzo.

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