Formazione

L’onda lunga del Covid sugli adolescenti? Va affrontata adesso

Stefano Vicari: «Non ho mai avuto tanti accessi al pronto soccorso di tentativi di suicidio e di autolesionismo. Abbiamo una quantità di richieste di aiuto addirittura superiore alle nostre possibilità di accoglienza. Il Paese deve avere più consapevolezza che siamo in una situazione particolarmente complessa, in cui gli adolescenti sono i dimenticati»

di Sara De Carli

«Ci siamo illusi, forse, che i più piccoli tra noi non ne avrebbero risentito. Abbiamo scoperto, invece, che anche loro sperimentano paura e incertezza, oltre a soffrire per l’isolamento fisico e sociale determinato dalla iniziale e prolungata chiusura delle scuole». «Sottovalutare l’impatto del Covid-19 tra i più giovani rischia di trasformare un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo in una crisi dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Inoltre, sebbene sia ancora prematuro tracciare un quadro preciso delle reali conseguenze della pandemia sul benessere mentale dei più piccoli, cominciano ad essere disponibili dati poco rassicuranti». «Non possiamo attendere inermi, far scorrere il tempo senza immaginare possibili risposte o accorgimenti capaci di ridurre, almeno, le conseguenze che fin da ora si manifestano come negative. Tenere nella debita considerazione queste analisi e riflessioni risulta perciò fondamentale per poter intervenire già nell’immediato, cercando di mitigare il più possibile tutti gli effetti negativi fin qui riscontrati e quelli, ad oggi, solo ipotizzabili».

Queste frasi sono prese dall’introduzione di Stefano Vicari e Silvia Di Vara al volume “Bambini, adolescenti e Covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico”, appena pubblicato da Erickson. Il volume tratteggia una prima valutazione dell’impatto della pandemia sui ragazzi, in vari ambiti, con le riflessioni di importanti esperti come Daniela Lucangeli, Giacomo Stella e Dario Ianes. Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma, da mesi ogni giorno sulla sua pagina Facebook richiama l’attenzione sulle conseguenze non sanitarie del Covid sui ragazzi, contrastando con l’esperienza diretta che vede nel suo reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù di Roma la vulgata che liquida la sofferenza di decine di migliaia di ragazzi come capricci di ragazzini viziati o al massimo come un effetto collaterale necessario (cit Raffaele Mantegazza). Non c’è niente di necessario nelle scelte di lasciare i ragazzi per ultimi, chiedendo a chi sta crescendo (cit Alberto Pellai) di stare zitto e in silenzio, di rimanere invisibile e passivamente obbediente a tutte le decisioni che gli adulti stanno prendendo in relazione alle loro vite e ai loro bisogni.

Ad alzare la voce sono tanti medici, come si vede anche nel ricorso presentato al Tar della Lombardia da parte di decine di firmatari tra professori universitari, medici e ricercatori scientifici, tra cui anche l’epidemiologa Sara Gandini e il chirurgo Paolo Spada, per chiedere di sospendere l’ordinanza con cui Regione Lombardia aveva prolungato la chiusura delle scuole superiori fino al 24 gennaio. Invece spesso si cerca di liquidare la questione dicendo che chi chiede più attenzione e diritti per i ragazzi non capisce che siamo dentro l’emergenza di una pandemia.

Chiedere più attenzione per i ragazzi non vuol dire ignorare l'esigenza di un'attenzione sanitaria: possibile che non c’è una via di uscita? E soprattutto, perché ostinarsi a far finta che la situazione odierna è irrilevante e non avrà una onda lunga di conseguenze? Invece di pensarci quando tutto sarà finito, cominciare a pensarci adesso che significa?
La mia idea è che la prima cosa è parlarne. Il Paese deve avere più consapevolezza che siamo in una situazione particolarmente complessa in cui gli adolescenti sono i dimenticati. Questo in cosa si dovrebbe tradurre? In un aiuto concreto, oggi e domani. Vuol dire supporto psicologico, per i ragazzi e per gli insegnanti. Un supporto psicologico da affiancare già oggi alla didattica a distanza o in presenza, intervenire nelle scuole è qualcosa che volendo si può fare in brevissimo tempo. L’altro aspetto è non trascurare, a scuola, il dialogo con gli studenti, avviando un confronto sui loro vissuti, con tanti strumenti di racconto. Soprattutto la scuola dovrebbe riaprire… I dati ci dicono che i contagi a scuola pesano il 2%. Non serve tornare al 100% di apertura, in questa fase è più prudente questa fare dei turni ma è fodnamentale che i ragazzi tornino a uscire di casa per andare a scuola, tra i loro pari, anche per due o tre ore al giorno, anche a giorni alterni.

In questo periodo di isolamento, che sia il lockdown o la dad, il non avere un confronto reale con i coetanei porta i ragazzi a non aver mediazione rispetto alle loro pulsioni e ai loro pensieri e a vivere moltissimo la noia. La noia rinforza alcuni pensieri e circuiti viziosi, facilita l’umore depresso… Su questo la scuola in quanto luogo di socialità dà al ragazzo la possibilità di incontrare un altro, di raccontare quel che gli passa per la testa, c’è una mediazione tra il suo pensiero interiore e la realtà. I compagni e gli insegnanti diventano un ammortizzatore di alcuni pensieri.

Stefano Vicari

In questa età specifica, perché i ragazzi hanno fisiologicamente bisogno della relazione?
Ridurre la scuola al mero svolgimento della didattica rischia di essere fortemente mortificante. Decenni di ricerche in pedagogia sono lì a ricordarci che la scuola, per un bambino, non è tanto apprendimento di materie curricolari quanto, piuttosto, occasione unica per sperimentare relazioni, riconoscere negli altri le proprie emozioni, scoprire se stessi. Occorre recuperare questo aspetto che qualifica enormemente l’esperienza scolastica. Nell'adolescenza succedono cose, il cervello è alla sua massima maturazione. In questo periodo di isolamento, che sia lockdown o la dad, il non avere un confronto reale con i coetanei porta i ragazzi a non aver mediazione rispetto alle loro pulsioni e ai loro pensieri e a vivere moltissimo la noia. La noia rinforza alcuni pensieri e circuiti viziosi, facilita l’umore depresso… Su questo la scuola in quanto luogo di socialità dà al ragazzo la possibilità di incontrare un altro, di raccontare quel che gli passa per la testa, c’è una mediazione tra il suo pensiero interiore e la realtà. I compagni e gli insegnanti diventano un ammortizzatore di alcuni pensieri. È impossibile non ricordare che un adolescente non parla con mamma e papà, che non sono sufficienti a svolgere questa funzione: lo sono stati nell’età precedente, ma l’adolescente è proprio quello che lascia la casa, che sperimenta la separazione dai genitori.

«Io non ho mai avuto tanti accessi al pronto soccorso di tentativi di suicidio e di autolesionismo. Noi abbiamo una quantità di richieste di aiuto che addirittura superiore alle nostre possibilità di accoglienza»: lo ha scritto lei nei giorni scorsi. Qual è la situazione?
In questi ultime mesi ho avuto settimane intere con 8 posti letto su 8 occupati, tutti con tentativi di suicidio. Non era mai successo. Ho avuto ragazzini di 12 anni che si sono buttati da finestra. Ho dovuto “appoggiare” altri pazienti fuori dal reparto. Io non so dire con certezza se c’è un rapporto di causa effetto con il lockdown, la riduzione della socialità, la Dad e la sospensione degli sport… ma la coincidenza non può non farci pensare. Mi arrivano ragazzini in ambulanza da tutto il Centro Sud e ora anche dal Nord, io ho 8 posti letto che praticamente sono il 10% di tutti i posti letto d’Italia in neuropsichiatria infantile, sono 92 posti in tutta Italia, è grottesco. Abruzzo, Umbria e Calabria non ne hanno, la Campania ne ha 4 per il post acuzie, in Emilia Romagna ci sono 4 posti letto a Rimini…

Cosa sta succedendo?
Alcuni vivono le regole di questa chiusura con aggressività, impazienza, intolleranza, spesso diventano aggressivi verso i familiari o rivolgono verso se stessi l’aggressività. Qualcuno superano addirittura la soglia dell'autolesionismo non pericoloso e tenta il suicidio. Un altro gruppo si isola, restano chiusi nella propria stanza… preoccupazione è cosa dovremo fare quando sarà finita, perché sarà impegnativo convincere i ragazzi a uscire di nuovo di casa e non sarà per nulla facile. Dovremmo immaginare, nelle risorse per la ripartenza destinate alla salute, che una fetta sia destinata alla salute mentale degli adolescenti, su tutto il territorio naizonale. I dati – e sto parlando di prima del Covid – dicono che almeno il 20% adolescenti ha un disturbo mentale, che è stessa percentuale che si ritrova nella della popolazione generale, mentre nell’infanzia siamo al 10%. Sono i disturbi in assoluto più frequenti, la buona notizia è che questi disturbi sono curabili e si guarisce, ma la cosa paradossale è che in pediatria non si studia la psichiatria e quindi la diagnosi è spesso tardiva, oppure i genitori sono lasciati soli e non sapendo dove andare si rivolgono allo psicologo sotto casa, che magari non ha competenze specifiche. Serve invece lavorare in un contesto di équipe.

I dati – e sto parlando di prima del Covid – dicono che almeno il 20% adolescenti ha un disturbo mentale, che è stessa percentuale che si ritrova nella della popolazione generale, mentre nell’infanzia siamo al 10%. Sono i disturbi in assoluto più frequenti, ma la cosa paradossale è che in pediatria non si studia psichiatria e quindi la diagnosi è spesso tardiva, oppure i genitori sono lasciati soli e non sapendo dove andare si rivolgono allo psicologo sotto casa

Stefano Vicari

Nei giorni scorsi le cronache ci hanno raccontato di ragazzini che si sono organizzati sui social per radunarsi in piazza per una maxi-rissa, per fare casino. Anche qui, senza giustificare, la situazione che i ragazzi vivono oggi può aiutare a capire?
Due riflessioni su questo. Da un lato tutti gli adolescenti sperimentano la trasgressione e devono provarsi anche al limite del lecito, tutti hanno violato norme e regole, fa parte del percorso di crescita. Oggi è molto ridotta la possibilità di violare delle “norme normali”, tutto è esasperato. Questo non per giustificarli, occorre che modulino questa necessità di trasgredire. D’altro lato però io vorrei richiamare i genitori alla loro responsabilità, con affetto: i vostri figli in questo momento hanno un grandissimo bisogno di voi. E se non ce la fate, non abbiate paura a chiedere aiuto, con il parent training. Fare i genitori non è mai stato facile, ma lo è sempre meno. Chiedere aiuto non è una vergogna.

Vorrei richiamare i genitori alla loro responsabilità, con affetto: i vostri figli in questo momento hanno un grandissimo bisogno di voi. Fare i genitori non è mai stato facile, ma lo è sempre meno. Chiedere aiuto non è una vergogna.

C’è anche però chi mette in gaurdia contro il rischio di “cullare” un po’ i nostri figli in questa condizione di vittime, allevando una generazione che avrà sempre la scusa della pandemia e di ciò che gli è stato sottratto…
Chi ha gli strumenti per farcela ce la farà comunque. Io però penso ai ragazzi che vivono in 25mq, senza internet, con genitori poco disponibili al dialogo… Io faccio il professore universitario e il primario ma vengo da famiglie semplice, se non ci fosse stata la scuola io non avrei avuto questo riscatto sociale. Ecco, la scuola per molti è l’unica opportunità che hanno per farcela.

Photo by Warren Wong on Unsplash

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.