Mondo

Lettera da Gaza, ovvero la “normalità” dell’orrore

Lisa Clark dei Beati i Costruttori di pace ci scrive. "Volevo fare qualcosa, ma..."

di Lisa Clark

Questa mattina ho scritto questa cosa … “Si’, vengo dal mondo esterno.” Gerusalemme, 23 luglio 2002. Ho passato la notte a guardare le notizie che arrivavano da Gaza dove ieri notte un missile sganciato da un F16 israeliano ha centrato e distrutto una palazzina. In questo palazzo viveva il comandante militare di Hamas, con la moglie e le sette figlie, insieme ad altre famiglie. Le scene girate alla luce delle fotocellule mi hanno accompagnato fino all’alba: una enorme folla di persone che scavavano tra le macerie per tirarne fuori dei corpi, alcuni vivi (molti bambini), altri morti (anche qui, molti bambini). Appena possibile ho cercato un mio amico sacerdote cattolico che solo due giorni fa mi aveva permesso diessere presente ad un’iniziativa bella, commovente e foriera di speranza. Un gruppo di religiosi, tre rabbini, quattro religiosi musulmani, un protestante e lui, prete cattolico, hanno fatto visita ad alcuni feriti ricoverati all’ospedale israeliano di Hadassah. Si trattava di vittime di attentati suicidi compiuti da palestinesi a Gerusalemme negli ultimi mesi. In particolare la presenza dei quattro sheikh musulmani, con le loro lunghe ed eleganti vesti tradizionali, ha suscitato all’inizio molto stupore, ma poi lacrime di commozione. L’Appello scritto insieme da questi “Religiosi per la Pace”, che qualche giorno prima avevano fatto visita alle vittime dell’esercito israeliano ricoverati in un ospedale palestinese, ricorda che “tutti gli esseri umani sono creati da Dio a Sua immagine e ogni aggressione contro un essere umano e’ un’aggressione contro Dio”. L’Appello chiede a tutti i religiosi di “condannare ogni atto di violenza in quanto contrario al progetto che Dio ha per l’umanita’.” Sono riuscita a parlare con il mio amico solo verso le 8.30, per telefono. Cosa possiamo fare, gli chiedo. “Ancora non ho sentito nessuno, ma qui le cose non si muovono così velocemente.” In tutta la mia agitazione gli dico ciò che farei io. “Ci mettiamo in silenzio, voi tutti vestiti da sacerdoti, a pregare per le vittime davanti al Ministero della Difesa o davanti alla residenza di Sharon. Oppure correte subito all’ospedale di Gaza a far visita a quei poveri sopravvisuti, quella carne maciullata che abbiamo visto in TV.” Ma ho capito che l’iniziativa non sarebbe partita da lui. Ho cercato allora uno dei tre rabbini. Un po’ assonnato mi ha detto che stava leggendo la sua posta elettronica e che ancora nessuno aveva proposto niente. “Chiedi alle Donne in Nero, mi dice, se hanno intenzione di fare qualcosa.” Altra telefonata, altra risposta. “Si capisce che sei arrivata da poco dal mondo esterno. Ti prego, non pensare che sono insensibile, ma ti devo dire che nessuno di noi qui ha sufficienti energie per reagire ad ogni singolo attacco, per quanto terribile.” Ho provato ancora, andando negli uffici di un organismo d?informazione alternativa, ormai alle 9.45. Due ragazze stavano facendo colazione. Ho chiesto di manifestazioni, o altro, ma hanno solo risposto che in internet ancora non era stato lanciato niente. Il mio amico era al telefono e stava parlando dell’organizzazione del Social Forum a Firenze. Insomma, ordinaria amministrazione. Sì. Vengo dal mondo esterno. Chissà quanto (poco) tempo mi ci vorrà per entrare a far parte di questo tragico mondo interno, dove ciò che è successo a Gaza stanotte fa solo parte della normalità quotidiana. E intanto aspetto la risposta di Hamas.


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