Cultura
L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo
La parola del futuro non potrà in nessun modo coincidere con il vecchio schema del passato, ovvero con il modello feudale del capitalismo di rapina di questi ultimi anni. È giunto il tempo di una parola nuova, rinnovata e rinnovante. Ecco i libri che ci aiutano a fare il punto della questione
di Pietro Piro
Fragile umanità
Nel 1864 Fëdor Dostoevskij concludeva il suo celebre Memorie dal sottosuolo (Записки из подполья, Zapiski iz podpol´ja) con queste considerazioni: "A noi ci pesa persino d'esser uomini, uomini dotati d'un vero, d'un proprio corpo e d'un proprio sangue; ci vergogniamo di questo, lo riteniamo un'ignominia e aspettiamo di diventare non so che inauditi esseri astratti. Siamo nati morti, del resto è un pezzo che non nasciamo più da padri vivi, e questo ci conviene sempre più. Cominciamo a prenderci gusto. Presto inventeremo la maniera di nascere dall'idea" (traduzione di Tommaso Landolfi, Valecchi, Firenze 1964, p. 177).
Più avanziamo nell'innovazione tecnica e più la "natura umana" è radicalmente sottoposta a "ibridazioni" e "modifiche" che impongono una riflessione su quale tipo di uomo stiamo "pensando" e su quali saranno le nuove modalità di relazioni che questo tipo d'uomo riuscirà a realizzare. Molte sono le "immagini" dell'uomo futuro che ci vengono da transumanisti e postumanisti e ci stimolano ad approfondire con più attenzione le possibili "svolte" per la condizione umana rappresentate dall'interazione tra uomo e tecnologia (medica, genetica, robotica, cibernetica…..).
Leonardo Caffo nel suo Fragile umanità. Il postumano contemporaneo (Einaudi, Torino 2017), immagina un uomo futuro capace di superare: "la discriminazione da parte di Homo sapiens delle altre specie animali" (p. 7), un uomo che rifiuta di nutrirsi di animali perché si riconosce nell'animalità originaria che lo abita (p. 13), un uomo sensibile, elevato moralmente, che evita coscientemente di distruggere troppe risorse (p. 19). Un'umanità: "in continuità ontologica con gli animali e la natura, priva di una posizione speciale nel mondo, che tende a ibridarsi e a modificarsi con i suoi stessi prodotti tecnologici, modificando radicalmente i suoi predicati e parzialmente la sua essenza (pp. 55-56). Caffo immagina il suo uomo futuro più simile al monaco zen che al cyborg (p. 101) dedito a una intensa attività di condivisione (p. 105) e che "invece di consumare le risorse le usa, e che blocca la sua espansione numerica smettendo di produrre la vita animale col solo scopo di uccidere e inquinare, diventa non più solo obiettivo argomentativo dei filosofi ma soluzione unica alla vita che verrà" (p. 67).
Non posso nascondere la "simpatia" per il ragionare di Caffo che guardando al futuro immagina un uomo capace di custodire il Creato. Un ipotesi che affonda le sue radici nella notte dei tempi – in questa direzione potrebbe essere di grande aiuto leggere con attenzione il volume recentemente curato dall'indologo Pietro Chierichetti: Il sentiero della nonviolenza e della liberazione. Tattvarthasutra di Umasvati (Ester 2017) – e che è rimasta "intatta" nel monachesimo di tutte le tradizioni religiose e nel pensiero dell'ecologia d'ispirazione religiosa (si pensi solo per un attimo alla Laudato si' di papa Francesco) e laica (penso in particolar modo a Arne Næss).
L'ipotesi di un uomo futuro pacifico e liberato dai vincoli della distruzione e della morte è straordinariamente affascinante. Ma – come sappiamo bene – in ogni trasformazione radicale ci sono elementi di continuità con il passato. L'uomo nuovo deve trattenere qualcosa dell'uomo arcaico ed è proprio questa radice che occorre ritrovare per poter guardare al futuro con occhi nuovi.
L'uomo che deve rimanere
Il filosofo Eugenio Mazzarella ha recentemente pubblicato un intenso volume il cui titolo ci impone la massima attenzione: L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet, Macerata 2017). Che cosa intende con smoralizzazione del mondo? Scrive Mazzarella: "Qualcosa di cui forse non siamo all’altezza. E pure è forse l’evento più importante della nostra epoca. Ci si è giunti da lontano. Legando ciò che vale alle pure determinazioni della coscienza, a un’autarchia della soggettività che dopo essersi esercitata a lungo sulla natura esterna è passata alla natura ad essa più interna della relazione sociale, e alla fine alla sua stessa natura, in un regime del desiderio cui, nella sua singolarizzazione di massa, viene alla fine meno lo spazio vitale, l’aria come a un uccello che ne possa sostenere davvero il volo. Dove, nel vuoto di una libertà negativa, nel vuoto del puro essere possibile, siamo troppo liberi, per essere davvero liberi.
Distratti dalla crisi delle istituzioni che, mentre si liberava, la libertà si è procurata – lo stato, la democrazia, il mercato, la scienza, la tecnologia – non riusciamo a mettere a fuoco «che le minacce più serie oggi non derivano più da un difetto di liberazione, ma dalle conseguenze più o meno inattese, della libertà liberata», che la nuova sfida della libertà è salvarla da sé stessa" (pp. 23-24). Paradossalmente dunque, l'eccesso di libertà ci ha resi orfani di senso e di desiderio di comunità (p.28) e rende impossibile ricucire un ethos condiviso (p. 33).
Mazzarella guarda con sospetto alle ipotesi transumaniste: "In questo immaginario postumanista dell’umano, ciò che è in gioco non è tanto l’unicità individuale dell’individuo clonato (un’impossibilità logica oltre che pratica) quanto la legittimazione biologica – “naturale” perché si può fare in natura [affidata cioè alla capacità della tecnica di una ri-naturalizzazione in laboratorio delle basi naturali date della riproduzione umana, dove il “naturale” come ri-naturalizzazione artificiale della natura data come mere basi materiali organiche da riprogrammare in laboratorio non ha più niente cha venga da sé, di physei, ma è esso stesso thesei, posto da noi] – della smoralizzazione del mondo in essere sul piano di una società che pensa di potersi reggere sulla base di una pura convenzionalità biopolitica, i cui contraenti sono gli individui atomizzati nel loro desiderio.
Dove al presupposto comunitario del loro stesso desiderio la tecnica lavora per togliere le sue stesse basi biologiche naturali; risolvendo il vincolo sociobiologico della cultura nel puro libitum sociale, quello che oggi vede egemone – nei limiti conformistici e politici, di necessaria integrazione sociale – “l’individuo e i suoi diritti” (pp. 49-50). Mazzarella sostiene che esiste uno specifico dell'uomo che non può essere ridotto alla "serie" biologica, psichica, sociale (p.71), la "voce della coscienza" che deve guidare il nostro agire di fronte a una smoralizzazzione che ci rende sempre più nudi di fronte allo strapotere dei dispositivi sociali.
Essere figli
Ma su cosa si fonda la nostra umanità? Per Mazzarella: "Il modulo cognitivo-esperienziale che fonda il nostro esserci è quest’originario maternage, dell’essere figli di qualcuno: noi veniamo al mondo, siamo posti nel nostro essere, da qualcuno e con qualcuno, che è e resta la nostra originaria “provvista” di certezza. Noi veniamo a noi nell’assenso che diamo a questa certezza, a questo “sentire” del tutto ragionevole e previo ad ogni razionalità discorsiva e in definitiva suo fondamento. Tener viva questa certezza, ravvivarla nella vita di ogni giorno e di ogni momento è riprendersi – riprendere sé – in questo originario legame a qualcuno che ci costituisce, vera fonte della certezza: antropologicamente il volto e la voce della madre. “Sulle mammelle di mia madre mi hai insegnato la fiducia, o Dio!” (Sal 22, 10).
Si nasce abitando questa fiducia, abitati dalla fiducia. Anche quando da quelle mammelle dovrà staccarsi, il cucciolo dell’uomo che tenta il mondo, e incontra il mondo che gli si apre, un mondo che dovrà tenere aperto per sé se n’è capace; anche quando il cucciolo dell’uomo si fa uomo, è alla provvista esistenziale di questo affidamento nativo, di questa certezza, di questa fiducia in cui la vita nasce che dovrà tornare. Anche per le ragioni di una ragione esistenzialmente affidabile per lui; una ragione che non sia il mero software strumentale di una macchina che si difende. Per poter rispondere – all’euristica della ragione, alla perplessità della ragione – che la sua causa, anche quella della ragione, non è fondata sul nulla, ma sulla lealtà degli uomini e sulla fedeltà di Dio. Antropologicamente l’attesa che non gli venga meno – che non venga meno alla sua “fede” profana, di ogni giorno – il terreno solido su cui poggiare i piedi nei passi della vita". (pp. 145-146).
Noi non siamo esseri umani che vivono una esperienza spirituale. Siamo esseri spirituali che vivono una esperienza umana
Pierre Teilhard de Chardin
Mazzarella riscopre una creaturalità fondamentale che attraverso le cure della madre ci rende partecipi della condizione debole e insicura di tutto ciò che è nato. Questa memoria ci permette di costruire il sociale sul sentimento più importante: la fiducia reciproca: "nella semantica dell’esistenza, la sfida non è tra fede e ragione, ma tra fede e sfiducia, anche nei suoi travestimenti ‘razionali’.
Tra il venir meno di quella trama di rapporti fiduciali a cui siamo, finché siamo, ancorati – la cui entropia, tra resistenza e resa, è il tema della vita –, e il tener fede ad essi. In questo tener fede, la fede in senso stretto – la fede come vissuta esperienza religiosa, nei suoi vari toni, fino alla restituzione personale dell’alterità fiduciale dell’origine in cui si nasce, il volto e il senso della madre – uno psicologo direbbe che è una tecnica di ripotenziamento, simbolico, della vita; simmetrico del ripotenziamento biologico riproduttivo del phylum genetico nell’individuo" (p. 156).
Mazzarella è un metafisico che rifiuta l'illusione di una tecnoscienza in grado di dire l'ultima parola sull'uomo e che propone un " programma stazionario metafisico; un programma di resistenza identitario, meta-fisico nel senso che cerca di sopra-vivere alla physis da cui proviene e su cui emerge" (p. 212).
Libro intenso e profondo questo di Mazzarella che richiama continuamente al compito originario del filosofare: domandare un senso per l'uomo. Uomo che di fronte allo strapotere dei sistemi tecnopolitici deve resistere tendosi attaccato alla sua capacità di dire no: "Nel kathekon, nel freno che ritarda, nella dilazione, che all’animale resiliente guadagna questa sua capacità, questo carattere acquisito, c’è il futuro dell’uomo che deve rimanere" (p. 136).
Nuove modalità di relazione
Credo sia difficilissimo dire oggi quali saranno le caratteristiche dell'uomo che verrà. Riuscirà a liberarsi dai meccanismi che lo inchiodano alla violenza, al potere, alla sopraffazione? Riuscirà a sentire ogni creatura come parte di un disegno più ampio e più grande del suo piccolo Io? Saprà trovare la pace e ripudiare la guerra per sempre? Oppure, si trasformerà nuovamente in un aguzzino torturatore?
Il Mahatma Gandhi ha detto: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Credo possa significare che per immaginare un uomo del futuro occorra da subito cambiare la propria vita e indirizzarla verso quell'idea di futuro che speriamo possa un giorno concretizzarsi.
Gli uomini del futuro ci sono già. Hanno ereditato delle saggezze del passato e adesso si occupano di "cose belle che vedremo più chiare domani". Sono molti e un giorno saranno egemoni. Sapranno imprimere alla storia "una direzione morale". Quando? Difficile ipotizzare una data ma è certo che si tratta di un processo in atto.
Nel mio volume Desiderio di volti – il lettore perdonerà la citazione autoreferenziale – pensando al futuro ho utilizzato queste parole con le quali mi sento di concludere questa recensione critica: "Il futuro non sarà un mero accumulo di potenze: tecnologiche, belliche, industriali, economiche ma sarà soprattutto una nuova modalità di relazione, una declinazione della parola originaria. Sopravvivrà chi sarà stato capace di dare un nuovo volto alle relazioni, chi saprà tradurre la parola primordiale che gli è stata affidata sin dalle origini. In questo senso, la parola del futuro non potrà in nessun modo coincidere con il vecchio schema del passato. Con il modello feudale del capitalismo di rapina di questi ultimi anni. È giunto il tempo di una parola nuova, rinnovata e rinnovante. Una parola di liberazione. Una parola carica di memoria e di identità, antica e nuovissima, generosa e viva. Una parola che crea e consola. Una parola d'amore".
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