Cultura
Dalle smart city alle città-territorio
La pandemia sta riscrivendo il nostro modo di convivere. E sono le città intermedie a indicare la strada: le connessioni sociali sono decisive. Il viaggio da nord a sud che trovate sul numero del magazine di dicembre in distribuzione da lunedì
L'itinerario professionale di Davide Agazzi è di quelli da mettere sotto la lente per capire come stanno cambiando le cose: esperto in politiche pubbliche, ha lasciato il posto nel Gabinetto del sindaco di Milano per spostarsi a Brindisi e seguire un progetto di innovazione tecnologica e sociale. Le conseguenze del Covid stanno ridisegnando la geografia dell’Italia delle città. I grandi centri urbani soffrono e faticano a immaginare nuovi assetti, mentre le città “intermedie” si stanno rivelando interessanti laboratori di futuro.
La categoria di “città intermedie” è al centro della ricerca “L’Italia policentrica”, appena pubblicata da Mecenate 90 e coordinata da Ledo Prato. Il sottotitolo parla di “fermento” di questi centri che stanno tra i 30mila e i 250mila abitanti. In Italia sono 161, con alte concentrazioni in Lombardia e Toscana, e accolgono il 28,5% della popolazione italiana, poco più di 11 milioni di persone. «Sono tutte città resilienti, a volte con un dinamismo economico, sociale e culturale che contraddice le narrazioni sulle città non metropolitane, contrapposte con le aree metropolitane», scrive Ledo Prato nell’introduzione al volume. E allora andiamo alla scoperta di questi laboratori che ribaltano le gerarchie dell’Italia urbana.
Il viaggio non può cominciare che da Brindisi. Qui Roberto Covolo, assessore alla Programmazione economica, ha voluto innescare un processo di innovazione attraverso un bando per avviare un laboratorio urbano di ricerca e sviluppo per la comunità, insediato in un palazzo nel centro della città, palazzo Guerrieri. Al bando si sono candidati in 38, tra loro anche Agazzi da Milano, che è risultato vincitore. Brindisi, un po’ come Taranto, è stata vittima di uno sviluppo industriale scriteriato: qui c’era una grande centrale a carbone, classificato come il sito più inquinato d’Italia. «Bisognava riscoprire nuove vocazioni per una città che negli ultimi anni aveva perso il 10% degli abitanti e che era alle prese con povertà giovanile e dispersione scolastica altissima», spiega Agazzi. Quali vocazioni? «Certamente quella ad un turismo lento, dato che Brindisi è il terminale della via Francigena. Lo sforzo è in particolare quello di destagionalizzare i flussi. Ma lo sviluppo passa anche per processi di rigenerazione urbana. La strada imboccata è quella di trasformare spazi vuoti in città come leve di progettualità». Le prime esperienze sono già state avviate: il parco Buscicchio è stato affidato ad una cooperativa di comunità, che tiene al suo interno tanti soggetti, lo gestisce e cura i vari spazi sportivi. Ora la cooperativa ha avuto in concessione d’uso gli edifici all’interno del parco. «Ma la rigenerazione riguarda anche spazi diversi, come un ex supermercato che è diventato un centro di formazione professionale; o uno dei bastioni affidato al Wwf e a un gruppo di archeologi locali», continua Agazzi. Anche il mondo produttivo è coinvolto in questo processo guidato dalla cabina di regia di palazzo Guerrieri. Il territorio di Brindisi abbraccia la superficie agricola più grande d’Italia («metà del rosato del nostro Paese viene da qui», sottolinea Agazzi) e la spinta deve essere quella a favorire le dinamiche consortili. «È così che si può ottenere una crescita della qualità media dei nostri prodotti».
Una delle caratteristiche delle città intermedie è quella di concepirsi come città-territorio. Il caso di Biella, per esempio, è emblematico. Anche qui un processo di deindustrializzazione ha generato spopolamento e abbandono di tanti edifici. Ma attorno alla Fondazione Biellezza che raccoglie soggetti privati (Zegna e Banca Sella, su tutti), istituzioni importanti come la Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto e la Fondazione Cassa di Risparmio, dal febbraio 2020 è partito un percorso di rilancio. Il progetto di punta si chiama “Silver Life. Disegnare il proprio futuro” ed è guidato dal consorzio di cooperative Filo da Tessere. Come dice il nome, il progetto riguarda quella stagione della vita che viene visto solo sotto il profilo dei consumi speciali o delle cure sanitarie. Spiega il presidente del consorzio Enrico Pesce: «L’idea è quella di attrarre abitanti temporanei over 50. Il percorso è stato tracciato: abbiamo fatto una mappatura degli immobili pubblici e privati che possono essere trasformati in residenze per chi vuole fare questa scelta. In cambio chi arriva si rende disponibile per attività di volontariato per la comunità: una specie di servizio civile per la “silver age”». Il punto di partenza è stata l’esperienza condotta con successo degli alberghi diffusi nel territorio della Valle Elvo. «Si tratta di fare evolvere quel modello, mettendo l’offerta su una piattaforma e affidando gli immobili in comodato d’uso ad un gestore: in valle Elvo dovremmo riuscire a partire dalla primavera prossima. Poi replicheremo il modello in altre parti del nostro territorio». La forza del progetto sta nell’aver visto schierati con grande convinzione tanti soggetti privati e del privato sociale. «È come un movimento di comunità», sottolinea Pesce. Che poi ricorda come a Biella sia partita la prima piattaforma comunitaria di welfare per fronteggiare le emergenze familiari e sociali legati alla pandemia del Coronavirus: uno spazio dove i cittadini possono comperare servizi o domiciliari o da remoto. A promuoverla il consorzio Cgm e Filo da Tessere.
Non si deve andare molto lontano da Biella per scoprire un altro modello interessante. Siamo a Novara. Qui i cantieri sono più di uno, ma tutti convergenti sull’idea che il futuro passa per l’innovazione sociale. La Fondazione De Agostini, presieduta da Marcella Drago, si è ripensata uscendo dal modello filantropico. «Passeremo da fondazione del “dare” a fondazione del fare», ha spiegato la presidente. «C’è bisogno di competenze, anche di giovani: dobbiamo creare un serbatoio di esperienze che ci aiutino per il futuro e rafforzino l’impatto sul territorio». Intanto il gruppo ha lanciato il progetto di rigenerazione urbana dell’area ex Officine grafiche De Agostini, con quel mix di produttivo, alloggi per studenti, spazi per startup, innovazione e formazione. Sempre a Novara Casa Bossi, cioè uno dei più bei palazzi neoclassici d’Italia, è diventato da qualche anno un “cantiere della conoscenza”, cioè un percorso di contaminazione tra artigianato tradizionale e digitale, design e mestieri dei settori culturali e creativi. Casa Bossi per la sua qualità monumentale (è un progetto di un geniale architetto del 1700, Alessandro Antonelli), per l’articolazione degli spazi si presenta come un luogo ideale di incontro e interscambio. È una vera e propria piattaforma per generare nuove conoscenze dall’incontro tra diversità. Gli spazi a Casa Bossi certamente non mancano: oltre 6.500 metri quadrati e quasi 200 stanze. A piano terra è stato attivato uno spazio di co-working gestito in collaborazione con Enne 3 network, la rete di incubatori di idee della provincia di Novara.
A Forlì la cabina di regia è invece pubblica. «La filosofia è lineare: non vogliamo fare ma permettere di fare», spiega Valerio Melandri, assessore alla Cultura. «Le associazioni sono il software, noi mettiamo l’hardware». Emblematico il successo ottenuto allestendo un’arena estiva al complesso di San Domenico: il comune ha messo la struttura, le proposte di spettacoli venivano invece tutte dal tessuto associativo del territorio. Risultato: 60 spettacoli, tutti sold out. L’esperienza doveva essere replicata quest’autunno, al chiuso, ma la seconda ondata ha bloccato tutto. «È davvero il tempo delle province: la dimensione territoriale e di prossimità di città come Forlì è una leva importante per pensare nuovi percorsi di rigenerazione urbana». A questo proposito, il modello del Museo diffuso dell’Abbandono varato dall’associazione Spazi Indecisi, è un modello di riferimento. Il percorso prevede il recupero di spazi oggi senza destinazione innescando processi di rigenerazione urbana leggera attraverso interventi che spaziano e ibridano i diversi linguaggi contemporanei. Luoghi in abbandono trasformati in un campo di ricerca per artisti, fotografi, architetti ma anche semplici cittadini. «È percorso aperto a menti e braccia che vogliono contribuire alla riappropriazione simbolica degli spazi comuni», spiega Francesco Tortoli, uno dei fondatori di Spazi Indecisi.
Ascoli è un’altra “città intermedia” che ha sofferto le conseguenze di un pesante declino industriale…
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Nell'immagine di copertina alcuni volontari del progetto “Per Padova noi ci siamo” davanti alla sede del Csv padovano
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