Famiglia

Il boia non va al cinema

Dal commovente "Dead man walking" con Susan Sarandon a "Sacco e Vanzetti" con Volontè: da tempo attori e registi sono schierati contro la pena capitale.

di Antonio Autieri

Il nuovo film di Clint Eastwood, Fino a prova contraria, richiama alla memoria una serie di film con la pena di morte a fare da protagonista, quasi un sottogenere di quel cavallo di battaglia cinematografico che è il ?prison movie?, il film carcerario. Cercheremo, in questa breve rassegna, di ricordare i film a nostro modo di vedere più significativi. Negli ultimi anni almeno tre film hanno riacceso la ?moda? (che sul grande schermo funziona sempre) di scandagliare gli ultimi giorni di vita di un condannato alla pena capitale, rilanciata da una folta pattuglia di attori e registi ?progressisti? impegnati più o meno intensamente contro questa barbarie. È? soprattutto, il caso di Tim Robbins e Susan Sarandon, coppia politicamente impegnata del cinema hollywoodiano che con Dead man walking (diretto dal primo e magnificamente interpretato dalla seconda) hanno per un momento fatto vacillare i consensi del popolo americano nei confronti della sedia elettrica e delle numerose varianti odierne. Tratto dal libro di suor Helen Prejean, il film vedeva Sean Penn nella parte del condannato, reo confesso, toccato nell?anima da suor Sarandon. Meno fortunati due altri film, nonostante la presenza di due pezzi da novanta come protagonisti-condannati. In Difesa ad oltranza (1996) una Sharon Stone volutamente dimessa è una donna condannata per vari omicidi: ma sono passati tanti anni e, come spesso succede nella realtà, è ormai una persona completamente diversa. Ma la legge americana (o meglio, di parecchi stati Usa) non consente eccezioni o pietismi. Meno propenso, inizialmente, al pentimento il Gene Hackman de L?ultimo appello (1996): membro del Ku Klux Klan, viene difeso inutilmente dal nipote-avvocato che cerca almeno di redimerlo. Meno recente è anche uno dei pochi contributi italiani all?argomento: Porte aperte (1990), rilettura del romanzo di Leonardo Sciascia firmata da Gianni Amelio. Ambientato durante il fascismo, è la storia di una lotta di un giudice contro la pena di morte inflitta a un assassino reo confesso in un clima di ambiguità e misteri: il giudice (una delle più belle prove di Gian Maria Volontè) deve combattere contro tutti – potere politico, opinione pubblica – e usare le armi della giustizia contro la giustizia stessa, che a quell?epoca prevedeva la condanna capitale anche nel nostro Paese. Il giudice vincerà, ma sarà una vittoria provvisoria come lui stesso prevede alla fine del film («un?altra giuria cambierà il verdetto»). Da riscoprire il pur apprezzato, a suo tempo, Non uccidere di Krzysztof Kieslowski: si tratta di un breve film da un? ora, quinto episodio del celebre Decalogo di cui fu realizzata anche una versione più lunga, da film vero e proprio (Breve film sull?uccidere). Con la consueta lucidità, il regista polacco mostra la brutalità di una Legge che punisce l?assassinio con altrettanta efferatezza. Quasi un pamphlet sul tema, ma che non risparmia allo spettatore il realismo più duro. È invece della metà degli anni Ottanta il britannico Ballando con uno sconosciuto, che senza apparentemente prendere posizione si limita a narrare le vicende di Ruth Ellis, che nel 1955 fu l?ultima donna condannata a morte in Inghilterra. Il film è il remake de Gli uomini condannano, girato trent?anni prima. Facciamo ora qualche deciso passo indietro. Indimenticabile è senza dubbio un altro film italiano, quel Sacco e Vanzetti (1970) di Giuliano Montaldo che ricostruisce il caso giudiziario dei due anarchici italiani giustiziati in America nel 1927. Accusati, ingiustamente, di rapina e omicidio, sono diventati gli emblemi di una giustizia politica. Film appassionante e schierato, anche in questo caso interpretato da Volontè. Tornando ancora più indietro nel tempo, uno dei titoli più memorabili nella battaglia civile contro la condanna a morte, o quanto meno contro una giustizia che cerca un facile capro espiatorio, è senza dubbio La parola ai giurati (1957) di Sidney Lumet. Un vero capolavoro, in cui brilla Henry Fonda nella parte di un giurato che riesce a sgretolare lentamente la convinzione di una giuria inizialmente schierata per un rapido verdetto di colpevolezza. Sempre in quegli anni (è del 1959), Frenesia del delitto ha il doppio merito di analizzare la mentalità omicida di due ragazzi-modello – la storia narrata si ispira a un fatto di cronaca – e di mostrare una giustizia che, per una volta, non si abbandona al ?taglione?. Per la cronaca, l?avvocato difensore dei due ragazzi è il grande Orson Welles, che sfodera la scena madre dell?arringa. L?anno prima, nel 1958, anche Non voglio morire si ispira alla cronaca per raccontare la storia di una prostituta che finisce sulla sedia elettrica: ovviamente innocente, ma il suo ?mestiere? la condanna. Grande interpretazione di Susan Hayward. Infine, un film-cult per generazioni di spettatori: Gli angeli con la faccia sporca (1938), con James Cagney e Humphrey Bogart. Cagney incarna la figura indimenticabile di un gangster senza scrupoli ma con un suo codice morale: orgoglioso e violento, accetterà l?invito dell?amico prete a morire tra urla e pianti disperati, da vigliacco insomma, per infrangere il suo mito fra i ragazzini del suo quartiere.


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