Cultura

Sussidiarietà, purché non sia della mutua

Sussidiarietà e solidarietà sono principi tra loro inscindibili secondo gli ideali della Dottrina sociale della Chiesa

di Riccardo Bonacina

Sussidiarietà, da parola rebus e un po? retrò si è trasformata, nel giro di pochi anni, in un?espressione che segnala un vero e proprio spartiacque tra la vecchia e ormai insostenibile visione di uno Stato sociale universale e centralista, e una più moderna visione del Welfare incentrata sul protagonismo dei cittadini e dei corpi intermedi e articolato in poteri decentrati. Fino a qualche anno fa sussidiarietà era una parola dimenticata, propria del cattolicesimo sociale degli anni 50; il primo Papa a suggerirla come principio fu Pio XI nel 1931 con la sua enciclica sociale Quadragesimo Anno. Pio XI scriveva: «?siccome è illecito togliere agli uomini ciò che essi possono compiere con le forze e l?industria proprie per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che comunità minori e inferiori possono fare. Ne deriverebbero, infatti, un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società, poiché oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera supplettiva (sussidium afferre) le associazioni del corpo sociale, non distruggerle o assorbirle». Da allora l?idea di ?sussidium afferre?, diventò un caposaldo della dottrina sociale della Chiesa e quasi tutti i Papi ne ripresero e aggiornarono il concetto mirando a sottolineare che lo Stato è fatto per servire i cittadini e la società e non viceversa. Un principio così ragionevole e giusto che, come spesso è accaduto nella storia, è stato fatto proprio da larga parte del mondo laico e politico. Così la sussidiarietà è diventata con il trattato di Amsterdam un punto cardine del nuovo ordinamento dell?Unione europea e con la riforma costituzionale la sussidiarietà diventa un riferimento certo e autorevole per le nostre leggi. A breve, il principio sarà recepito anche nei nuovi statuti regionali che dovrebbero essere varati entro l?anno. Bene, benissimo. Eppure c?è qualcosa che non va, che non quadra, hanno avvertito i leader del cattolicesimo sociale riuniti a Collevalenza. L?inflazione della parola sussidiarietà, l?approvvigionamento alla dottrina sociale cattolica come fosse un juke-box per giustificare ogni tipo di particolarismo ed egoismo, per coprire ogni problema di budget statale è insopportabile, non più tollerabile, hanno avvertito. Le notizie di un sistema sanitario regionalizzato dalle disparità e diseguaglianze ingiustificabili, l?avvertimento del neo presidente della Commissione povertà, Giancarlo Rovati, di fronte a politiche locali che dimenticano i poveri, il fantasma delle mutue private, suggeriscono che in nome di ?sua maestà il cittadino? si stiano attuando politiche sociali di stampo darwiniano e la sussidiarietà usata come giustificazione per un Welfare dove a chi più ha sarà dato e a chi meno ha sarà tolto anche quel poco che ha. Anche qui equivocando tragicamente un principio evangelico. Non sarà allora inutile ricordare di questi tempi che il principio di sussidiarietà è compreso nel principio di solidarietà come suo momento, come esplicitazione. Senza la solidarietà, la sussidiarietà sarebbe senz?anima e diverrebbe una tecnica di dismissione dello statalismo. Senza la solidarietà la sussidiarietà scade a metodo tecnico-procedurale di attribuzione di competenze ispirato ai soli criteri di efficienza e di risparmio, con il rischio di accentuare l?individualismo, la divisione, il particolarismo, gli interessi di profitto del tutto privatistici. Sussidiarietà e solidarietà sono principi tra loro inscindibili, da salvaguardare e applicare in modo unitario e, per quanto possibile, simultaneo, altrimenti l?ideale di società proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa sarebbe sostanzialmente alterato, hanno avvertito da Collevalenza. Di nostro ci permettiamo di citare un passaggio della Quadragesimo anno che non va di moda quanto il passaggio già citato. Scrive Pio XI: «è bensì vero che si deve lasciare la loro giusta libertà di azione alle famiglie e agli individui, ma questo senza danno del pubblico bene e senza offesa di persona. Spetta poi ai reggitori dello Stato difendere la comunità e le parti di essa, ma nella protezione dei diritti stessi dei privati si deve tener conto principalmente dei deboli e dei poveri».


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