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Ong, contro la sfiducia occorre cambiare il modo di comunicare

Lettera aperta del responsabile per la comunicazione sociale dell’Aoi (Associazione delle ong italiane): «Una “politica di comunicazione” è l’unica possibile prevenzione all’insorgere di crisi mediatiche, ma anche il miglior modo possibile per fronteggiarle»

di Nino Santomartino

Una comunicazione responsabile, comprensibile e condivisa. Sin dalla sua ricostituzione nel 2013, l’AOI ha messo al centro delle sue attività la comunicazione sociale, prevedendo nell’Esecutivo dell’associazione una delega in tal senso. Confermando e sviluppando ulteriormente questa linea strategica, sul finire del 2015, con un appello pubblicato su varie testate, l’associazione ha promosso il Tavolo sull’utilizzo delle immagini nelle campagne di raccolta fondi, costituito da lì a poco con Link2007, ASSIF e altre associazioni di categoria del mondo della comunicazione e del fundraising (AIAP, EU Consult Italia, Istituto Italiano della Donazione, UNICOM). Un percorso che in poco tempo ha prodotto significativi risultati: l’avvio di un confronto costruttivo con associazioni del mondo professionale finora mai sviluppatosi, l’adesione delle due aggregazioni di ONG all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (le prime due realtà non profit a farlo), l’evoluzione del dibattito sul più ampio argomento dell’etica nella comunicazione. Tutto ciò perché siamo fermamente convinti che la comunicazione sia un tema assolutamente centrale per la credibilità delle organizzazioni della società civile nei confronti dei soci, dei partner e dei donors, e che sia anche un fattore determinante per la costruzione e il consolidamento della reputazione delle organizzazioni. Solo una comunicazione “onesta, veritiera e corretta” (per citare il Codice di autodisciplina) può costruire un rapporto di fiducia tra organizzazioni e stakeholder, e mantenerlo nel tempo. Possiamo affermare che non c’è comunicazione sociale senza etica.

Questa “politica di comunicazione” è anche l’unica possibile prevenzione all’insorgere di crisi mediatiche nella vita di un’organizzazione ed è sicuramente il miglior modo possibile per fronteggiarle. Per fare ciò le organizzazioni devono promuovere una comunicazione che sia responsabile, etica appunto, comprensibile e condivisa.

  • Responsabile: una comunicazione etica, che eviti stereotipi e semplificazioni e che metta al centro la dignità della persona. Una comunicazione trasparente, che “dia conto” (accountability) ai propri stakeholder. Una comunicazione onesta e corretta come elemento principale per la costruzione e il consolidamento della reputazione di un’organizzazione e del rapporto di fiducia che deve esistere tra questa e i cittadini.
  • Comprensibile, nel senso di una comunicazione “che si può comprendere, capire”; che sappia spiegare bene le proprie ragioni e punti di vista. Comprensibile come intelligibile, “che può essere chiaramente intesa”. La responsabilità di una comunicazione efficace è in capo a chi la promuove. Per essere compresi, pertanto, dobbiamo essere noi a porre le condizioni affinché ciò avvenga. Dobbiamo trasformare “la gente non ci capisce” in “forse non ci siamo spiegati bene”. Ma la semplicità (non la semplificazione) è un punto di arrivo che si raggiunge solo con la dovuta preparazione. Un motivo in più per affrontare questo percorso quanto prima.
  • Condivisa, nel senso di “fare insieme”, di condivisioni di esperienze, di proficue contaminazioni. Una comunicazione che sia frutto di percorsi, prassi, saperi condivisi, perché la comunicazione non è un lavoro per solitari. Una condivisione che va sviluppata ancora di più tra le stesse organizzazioni della società civile, e promossa con determinazione tra queste e le Istituzioni, tra tutto il sistema della cooperazione italiana e il mondo dei media, della comunicazione e della raccolta fondi.

Questo è il messaggio che abbiamo voluto portare alla Tavola rotonda sulla comunicazione coordinata dall’AOI nell’ambito della Conferenza nazionale sulla Cooperazione allo Sviluppo. Un momento interessante, nonostante i problemi logistici, sia per l’eccezionale partecipazione dei responsabili della comunicazione di numerose organizzazioni, uffici stampa, giornalisti e altre persone del settore, che per la serie di contributi da parte dei relatori intervenuti. Per questo motivo siamo particolarmente soddisfatti del fatto che nel Manifesto conclusivo della Conferenza si legga che “per contrastare questo clima di sfiducia, dobbiamo spiegare meglio, far comprendere meglio cosa facciamo, cambiare il nostro modo di raccontare al Paese come la cooperazione dell’Italia cambia la vita delle persone”. E, poche righe più in là, che “Abbiamo il dovere di essere trasparenti”. Raccontare bene l’utilità delle diverse attività di cooperazione allo sviluppo, il valore del volontariato, l’esperienza del servizio civile, ma spiegare bene anche il ruolo, la mission delle organizzazioni, la loro visione, il loro pensiero sui temi più caldi. Ma non ci fermiamo a questo significativo risultato: con il messaggio di una comunicazione comprensibile, responsabile e condivisa riconvocheremo a brevissimo il Tavolo avviato con le altre associazioni per formulare e proporre a tutti un serrato programma di iniziative. Ovviamente condivise.

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