Welfare
Povertà in Sardegna, la tempesta dopo la quiete
Nel 2019 gli accessi ai centri Caritas dell’isola sono crollati del tredici per cento, poi lo scoppio della pandemia ha disegnato uno scenario nuovo. “Ma di sicuro le persone con un basso livello di istruzione pagano un prezzo più alto” spiega il delegato regionale Raffaele Callia. “Sul tema della povertà educativa scontiamo una fragilità strutturale che si fatica ad affrontare”
E dire che nel 2019 in Sardegna i poveri erano anche diminuiti. A certificarlo, il crollo del tredici per cento del numero di persone rivoltesi ai dieci centri di ascolto della Caritas nell’isola. Poi però è arrivato il 2020, che ha riportato tutti non solo in alto mare, ma anche in piena tempesta. E così la presentazione del Report 2020 su povertà ed esclusione sociale nell’isola ha dovuto fare i conti con una realtà mutata drasticamente. “I dati del 2019 hanno una valenza socio-statistica importante ma è chiaro che è successo qualcosa di straordinario cui dovremo fare i conti anche nei prossimi anni” spiega il delegato regionale e responsabile del servizio studi e ricerche della Caritas Sardegna Raffaele Callia. “Di sicuro però alcune tendenze registrate lo scorso anno verranno confermate anche nel 2020”.
Intanto, un riequilibrio dei generi: delle 6.876 persone transitate nei dieci centri di ascolto, il 51,8 per cento sono uomini. Si tratta di persone nel quasi 70 per cento dei casi italiane, che vivono in famiglia e con un’età media di 47,6 anni. Quello di Cagliari rimane il centro più sollecitato, con oltre il 40 per cento degli accessi totali.
Chi resiste meglio alla crisi sono coloro che risultano dotati di adeguati strumenti culturali: cresce infatti il numero di persone che si rivolge alla Caritas e che hanno solo la licenza media inferiore (50,7 per cento), mentre diminuiscono coloro che hanno un titolo di studio alto o medio-alto. “È da anni che lavoriamo sul tema della povertà educativa, una forma di povertà che espone a tutte le altre vulnerabilità” spiega Callia, “ma in Sardegna scontiamo una fragilità strutturale che si fatica ad affrontare”.
Nel 2019 si sono rivolti alle Caritas sarde per lo più disoccupati (63,6 per cento), risultando comunque significativo sia il dato dei cosiddetti “working poor”, ovvero coloro che hanno un reddito da lavoro (11,2), sia quello dei pensionati (8 per cento). Fra le richieste rivolte esplicitamente dalle persone, prevalgono nettamente quelle riguardanti i beni e servizi materiali (80,5 per cento): viveri, servizio alla mensa, accesso agli Empori della solidarietà, vestiario, prodotti per neonati.
Gli accessi ai centri Caritas sono calati grazie anche alla maggiore circolazione di liquidità derivante dall’introduzione del Reddito di Cittadinanza “ma la liquidità non riflette una crescita della base produttiva sulla quale è necessario intervenire” spiega Callia.
Di sicuro il 2020 è stato anche l’anno della generosità: “In tanti hanno risposto alle richieste di aiuto in maniera sorprendente, ma questo slancio deve diventare sistema e non una semplice reazione emotiva. Ora invece stanno prevalendo paura e sgomento, con cui dovremo fare i conti almeno fino alla fine del 2021”.
Ma ci sono degli elementi di speranza in questo tragico 2020? “Anche le profezie positive possono autoadempiersi e i sardi sono chiamati a trasformare in valore quello spirito di appartenenza che da sempre li contraddistingue. A patto però di non esporre il fianco a leadership esterne. Potrebbe essere la volta buona per riflettere sulla nostra capacità di autodeterminarci e di agire quell’autonomia speciale che spesso è solo formale e non sostanziale” conclude Callia.
Nella foto: la mensa Caritas di Nuoro (fonte Caritas diocesana Nuoro)
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