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Hikikomori; e se ci stessero insegnando a vivere?

Fenomeno sociale di cui si è parlato a lungo negli anni scorsi, ma oggi è ampiamente sottovalutato, quello degli hikikomori è una cartina di tornasole: non possiamo cambiare le cose sperando che le cose si sistemino da sole. Il pensiero critico è la sfida

di Giuseppe Lorenzetti

Nessuno parla più degli hikikomori, i giovani giapponesi che vivono isolati nelle loro stanze, eppure – pare impossibile – sono proprio loro che stanno indicando la soluzione alle sfide di oggi. Se ce l’avessero detto poco tempo fa, non ci avrebbe creduto nessuno: da fenomeno patologico a nuovo modello sociale. Qualcuno dovrebbe almeno ringraziarli, sempre che gli effetti collaterali di questo metodo non si rivelino più grandi dei benefici.

I tempi del Covid ci stanno insegnando molto, ma soprattutto che dobbiamo abituarci a non stupirci più di nulla. In meno di un anno ne abbiamo sentite di tutti i colori: il pipistrello diabolico, la provetta manomessa in laboratorio, le autopsie vietate, i tamponi da 20 euro, quelli da 50 e quelli da 100 (per essere più sicuri), i malati mandati nelle case di riposo ad infettare gli anziani, il miracolo della mascherina, appalti e subappalti, la caccia ai runner, gli inseguimenti in elicottero, politici che minacciano di usare il “lanciafiamme”, decreti legge dalla sera al mattino, bambini non contagiosi fino ai 5 anni e contagiosissimi dai 5 agli 8 (o viceversa), la scuola a distanza, il virus che muta e il vaccino che insegue i suoi mutamenti. L’elenco non è finito e potrebbe andare tristemente avanti. Tristemente perché sembra un sogno, ma non lo è.

C’è chi perde la vita, chi il lavoro e chi la salute fisica e/o psichica. A marzo avevamo la scusa di essere stati presi alla sprovvista, ma più passa il tempo e più sembriamo addormentati. Anni di faticoso progresso nella direzione di un approccio sempre più integrato alla salute che contempli il collegamento tra mente, corpo e ambiente, dimenticati in un istante. La paura come unico strumento di salvaguardia delle persone, senza considerare che spesso è la stessa paura a farle ammalare.

Nel frattempo assistiamo ad un interessantissimo fenomeno sociologico. Le persone sempre più si dividono in due gruppi. C’è chi crede a tutto e chi non crede a nulla. Da una parte ci sono gli “ipnotizzati”, per cui il titolo di un importante quotidiano ha più valore di qualsiasi altra cosa. Convinti di esercitare un impeccabile senso civico accettano qualsiasi narrazione mediatica. Farsi delle domande sarebbe maleducazione. Dall’altra ci sono i “complottisti”, che se da un lato hanno il merito di mettere in dubbio molte presunte verità, dall’altro si sbilanciano nella convinzione che dietro ad ogni problema si celi la mano oscura di un Rothschild, di George Soros o di Bill Gates. Entrambi gli schieramenti optano per una facile interpretazione, che li rassicuri e li esima dalle responsabilità.

Invischiato in questo gioco delle parti il popolo impaurito perde ogni potere reale e qualcun altro fa i conti al posto suo. Se c’è qualcosa su cui davvero non si può litigare però è il fatto che siamo arrivati a un punto da cui non si può tornare indietro. La società che abbiamo costruito necessita di grandi trasformazioni che rimettano al centro la persona e il valore delle sue scelte.

Ma per cambiare non possiamo chiuderci nelle nostre stanze come gli hikikomori, sperando che le cose si sistemino da sole, bensì armarci di pensiero critico, di coraggio, di buona volontà e, mettendo al centro il dialogo come valore supremo, tornare nelle condizioni di partecipare attivamente alle scelte che riguardano le nostre vite.

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