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Lula? Può ancora evitare il carcere e tornare presidente del Brasile

Condannato a 12 anni e un mese di reclusione dalla Corte di appello di Porto Alegre. Crolla definitivamente il mito del presidente-operaio. «Il dato politico è enorme. Ma il sistema brasiliano, sempre filo potenti, potrebbe regalare sorprese inattese», spiega l'esperto di Latino America Paolo Manzo

di Lorenzo Maria Alvaro

Corruzione e riciclaggio. Sono questi i reati contestati a Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile dal 2003 al 2010, per cui è stato condannato a 12 anni e un mese dalla Corte di appello di Porto Alegre. Aveva accettato in regalo da una impresa di costruzioni un appartamento al mare, più le migliorie, in cambio di assegnazioni di commesse.


«Una sentenza che impone il carcere essendo una pena superiore a 8 anni», spiega l'esperto di Latino America e blogger di Vita.it, Paolo Manzo, da San Paolo dove vive. Ma il carcere non è un epilogo scontato quanto potrebbe sembrare. «Il carcere è previsto a partire dall'esaurimento di tutti i ricorsi che devono essere aditi entro un mese al massimo». Ecco perché come sottolinea Manzo, «un avvocato ha depositato la richiesta di ritiro del passaporto di Lula il quale altrimenti potrebbe lasciare il Paese essendo prevista la sua presenza il 27 gennaio ad un vertice dell'UE sulla fame insieme al segretario generale delle Nazioni Unite il portoghese António Guterres».

È possibile che Lula scampi all'arresto ma anche che si ricandidi. «Come? Grazie all'attorcigliatissimo sistema giuridico brasiliano che protegge sempre i pesci grossi della politica e i colletti bianchi dell'industria. È un fatto che tutti i più grossi speculatori investano costantemente in Brasile e tutti i latitanti più illustri del mondo, dai mafiosi ai terroristi fino agli ex dittatori, si nascondano tutti in questo Paese».

Per Manzo poi, «al di là di queste che possono essere bollate come polemiche bisogna sottolineare come in queste ore la Corte Suprema per mano della sua presidente Carmen Lúcia Antunes Rocha ha messo in agenda con urgenza di cambiare proprio la legge che prevede il carcere dopo la condanna di secondo grado passata in giudicato. Se questo cambiamento avviene a tempo di record, unito al fatto che in Brasile, se si hanno le possibilità economiche e gli appoggi, non è come in Italia dove esistono esclusivamente tre gradi di giudizio ma si può arrivare anche a sei o sette gradi totali, il quadro diventa chiaro. Si configura una possibile via d'uscita per Lula. E la situazione è tutt'altro che chiusa come sono tutti portati a credere. Lula certo ha altri sei processi che, secondo le stime, potrebbero far arrivare gli anni di carcere da scontare fino a cento. Se però Lula si presentasse e vincesse le presidenziali tutte queste condanne sarebbero sospese e lui potrebbe tranquillamente essere presidente».

A dimostrazione di quanto detto da Manzo in queste ore il Partito dei Lavoratori, che è il partito di Lula, sta rilasciando dichiarazioni a ciclo continuo in cui minaccia rivolte e non accetta la sentenza parlando di giudici fascisti e di sistema giudiziario politicizzato. «Accuse che fanno acqua da tutte le parti visto che due dei tre giudici sono stati nominati dalla Dilma Rousseff, delfina di Lula. Se poi aggiungiamo che a fare loro eco come, per ora, unica voce internazionale a sostegno dell'ex presidente c'è Nicolás Maduro, presidente del Venezuela, definito dal Der Spiegel come “macellaio” possiamo dire che il quadro è completo».

Quello che è certo è che «il dato politico è enorme. Innanzitutto perché la pena rispetto al primo grado è stata aumentata. Significa che le prove non solo c'erano ma erano schiaccianti. Lula poi non è un politico qualunque ma il simbolo e campione di una certa sinistra a livello mondiale. Obama, a metà del suo primo mandato durante un G20 gli toccò le spalle dicendo “You are the man” indicandolo come il politico del momento».

Una disfatta dovuta «al sistema brasiliano che è endemicamente corrotto. Nessuno può governarlo senza corrompere e farsi corrompere». Il problema è che Lula doveva essere un'altra cosa, una rivoluzione rispetto al malcostume dei decenni precedenti. «E invece i più grandi casi di corruzione di tutta la storia dell'America Latina sono targati proprio Lula. Basta ricordare come due aziende coinvolte negli scandali di corruzioni del governo Lula e sponsorizzate dallo stesso Lula hanno pagato alla giustizia di New York, a mo di patteggiamento, 6 miliardi di dollari di multe. Una tangentopoli moltiplicata per cento al cui confronto la maxi tangente Enimont rappresenta bruscolini».

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