Volontariato

Fondi di assistenza sanitaria: la Riforma ha generato un cortocircuito normativo

Secondo il Presidente di Assoprevidenza occorre recuperare l'inquadramento fiscale di enti non commercial per evitare gravi conseguenze

di Sergio Corbello

Credo che pochi, dai banchi di scuola, non ricordino con divertita simpatia le iperboliche smargiassate di Cecco Angiolieri come la nota «…..s'i fosse papa, allor serei giocondo, ché tutti cristiani imbrigarei ….».

Do per certo che i compilatori del Codice del Terzo settore, di cui al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, non aspirassero a divenire tardi epigoni del poeta e, soprattutto, non avessero alcun intendimento di “imbrigare” o inguaiare, che dir si voglia, quasi un quinto degli italiani, ma purtroppo è accaduto ed è urgente porvi rimedio.

Va infatti evidenziato che l’attuale formulazione del Codice ha determinato un non secondario problema di inquadramento fiscale di fondi o casse sanitari, che, a livello aziendale, nazionale o di altre aggregazioni, offrono – prevalentemente a favore dei lavoratori dipendenti – prestazioni sanitarie integrative e, talora, sostitutive di quelle assicurate dal Servizio Sanitario Nazionale e ciò per una platea che supera gli 11 milioni di assistiti ed è in costante crescita.

Sotto il profilo fiscale, i fondi sanitari per i lavoratori dipendenti sono disciplinati dall’art. 51, comma 2, lett. a), del TUIR. La norma dispone che non concorrono a formare il reddito “i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all’art. 10, comma 1, lettera e-ter”.

Dal punto di vista soggettivo, per la stragrande maggioranza i fondi sanitari sono entità, di natura giuridica associativa o fondazionale, di derivazione negoziale: sono cioè forme di costituzione, direttamente o indirettamente, sindacale e/o datoriale, per lo più controllati o, quanto meno, sottoposti a “direzione e coordinamento” di organizzazioni sindacali e/o di associazioni datoriali, che li hanno promossi. Essi, quali “enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale” sono fiscalmente enti non commerciali, che – da sempre – hanno trovato disciplina nell’art. 148, comma 3, del TUIR.

Orbene, l’art. 4, comma 2, del Codice prevede che: “Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell’articolo 32, comma 4….”.

I fondi sanitari – si ripete, per la quasi totalità di natura negoziale, in quanto promossi, controllati e/o sottoposti a “direzione e coordinamento” di organizzazioni sindacali e/o associazioni datoriali – rientrano, dunque, “letteralmente” fra i soggetti esclusi dal Terzo settore, ai sensi del citato art. 4, comma 2, del Codice.

Sennonché, l’art. 89, comma 4, del Codice medesimo ha modificato l’art. 148, comma 3, del TUIR, eliminando il riferimento alle associazioni “assistenziali”, così privando i fondi sanitari del necessario supporto normativo di carattere fiscale. In definitiva, l’intervenuta modifica dell’art. 148, unitamente all’assolutamente corretta esclusione dei fondi sanitari dal Codice, ex art. 4, comma 2, del Codice stesso, ha determinato – per usare un’efficace espressione del Prof. Fabio Marchetti – un corto circuito normativo, cioè una situazione per cui i fondi sanitari ridetti sono divenuti privi di una disposizione di riferimento, che confermi la loro “ovvia” natura di enti non commerciali. La qual cosa, in totale incoerenza proprio con l’impostazione presupposta nel citato art. 51, comma 2, del TUIR. Le implicazioni di una natura commerciale dei fondi sono poi tutte da scoprire. A titolo indicativo: l’obbligo di adozione della contabilità commerciale, la qualifica reddituale di un eventuale avanzo di gestione, forse implicazioni con il regime dell’IVA.

La criticità sopra richiamata, suscettibile di compromettere il funzionamento dei fondi sanitari, con gravi, assurde e, certamente, del tutto non volute conseguenze nei confronti del già ricordato enorme bacino di utenti, deve trovare pronta soluzione in sede di prossima emanazione del Decreto correttivo del Codice, inserendo nell’art. 148, comma 3, del TUIR, come modificato dall’art. 89, comma 4, del Codice, l’espresso riferimento alle attività assistenziali, di cui all’art. 51, comma 2, lett. a), del TUIR.

Per ricordare un altro ben noto poeta, occorre che dalla prossima emanazione del Decreto correttivo il settore della Sanità complementare possa felicemente affermare: «…e quindi uscimmo a riveder le stelle».


da secondowelfare.it

*Sergio Corbello, astigiano classe 1951, laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Torino è Presidente di Assoprevidenza, Associazione Italiana per la Previdenza e l’Assistenza Complementare

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