Welfare

Programma 2121, dalla cella ai cantieri di una multinazionale

Un progetto di reinserimento lavorativo innovativo targato Lendlease, operatore leader del real estate, che apre la strada ad operazioni con social outcome contract e da social outcome payment funds

di Lorenzo Maria Alvaro

Dieci detenuti ammessi, sei inseriti con un tirocinio semestrale e tre attraverso un contratto a tempo determinato, con mansioni che vanno dall'amministrazione d’ufficio alla gestione della sicurezza passando per la progettazione Autocad. Di questi, sette sono stati riconfermati (di cui 6 attraverso il prolungamento del tirocinio e uno attraverso un contratto di lavoro a tempo determinato), uno ha terminato il periodo di detenzione, uno ha proseguito l’inserimento lavorativo al di fuori del programma, ed uno ha terminato l’inserimento a causa della fine dell’appalto dell’azienda che lo impiegava.

Sono i numeri della prima fase del Programma 2121, dall’articolo dell’ordinamento penitenziario che abilita i detenuti al lavoro extra moenia (art. 21) unito al framework temporale della durata di 3 anni (2018-2021). Iniziata a novembre 2018, l’iniziativa pubblico-privata promossa dal Ministero della Giustizia italiano e da Lendlease, operatore globale del real estate, ha lo scopo di valorizzare la presenza del Carcere di Bollate nelle immediate vicinanze del sito MIND Milano Innovation District, il progetto di riqualificazione dell’area che nel 2015 ha ospitato l’Expo universale e gestito dalla società Arexpo.

«La seconda fase del programma è stata avviata a settembre 2020 presso il Carcere di Bollate e il Carcere di Opera e coinvolge al momento 8 detenuti, tutti inseriti con un tirocinio semestrale retribuito», spiega Andrea Ruckstuhl, Head of Italy and Continental Europe di Lendlease, «I beneficiari sono stati selezionati secondo criteri di buona condotta definiti dal Ministero della Giustizia e di compatibilità con l’offerta lavorativa attraverso una profilazione ad hoc, al termine della quale è stato realizzato il matching tra domanda ed offerta di lavoro grazie all’attività svolta da un gruppo di esperti del Carcere di Bollate, del Comune di Milano e di Fondazione Triulza. Il processo di selezione è stato completato da sessioni di colloquio realizzate di persona presso il carcere per verificare l’adeguatezza dei profili identificati per ogni azienda». Oltre all’inserimento in azienda attraverso un tirocinio retribuito, Programma 2121 «prevede l’erogazione di due moduli di formazione trasversale, erogati da parte di ANPAL ed ANPAL Servizi nel corso dell’intera durata del tirocinio, utili a garantire una transizione efficace dei detenuti dall’ambiente carcerario a quello delle aziende nelle quali sono stati ospitati», sottolinea Ruckstuhl.


Un'iniziativa pilota che punta a piccoli passi prima a diventare una progettualità più ampia per poi diventare nazionale. «La continuità nell’impegno all’assunzione delle persone detenute e la programmazione per assicurare questa continuità, contenute nella sperimentazione, permettono di realizzare entrambi gli obiettivi», chiarisce Giovanna Di Rosa, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, tra i principali promotori e firmatari del protocollo d’intesa del Programma 2121. «Ogni territorio può replicare l’esperienza, impegnandosi nel mettere insieme e poi gestire le risorse pubbliche e private disponibili, con il coordinamento nazionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Tribunale di Sorveglianza deciderà poi sulle richieste e concederà i permessi per uscire dal carcere e andare a lavorare in sicurezza».

Programma 2121 non è naturalmente una prima volta nella storia dell'inserimento lavorativo carcerario. «L’impegno in singole iniziative come la pulitura delle strade, i servizi a favore della collettività, la spalatura della neve e tanti altri esempi, hanno dimostrato la bontà e l’utilità di progetti di inserimento lavorativo dei detenuti», chiarisce Di Rosa, «ma fino ad oggi non si è mai andati oltre ad un gran numero di interventi spot con tante diverse criticità. In particolare, c'è da registrare la scarsa disponibilità all’assunzione delle persone detenute ed ex detenute da parte dei datori di lavoro a causa di una sorta di pregiudizio, anche comprensibile, dovuto al timore di reiterazione dei reati». Ecco perché per la Presidente «occorre una messa a regime stabile, come per esempio secondo il metodo indicato dal Programma 2121, che risolva il problema dell’estemporaneità delle iniziative assunte».

E proprio in questo senso Programma 2121 si propone come risolutivo. A rilevarlo è il policy paper prodotto da Filippo Giordano, professore Associato di Economia Aziendale presso l’Università LUMSA di Roma e docente di Business Ethics e Responsabilità Sociale presso l'Università Bocconi. «Il mio lavoro è stato osservare il progetto per analizzarne gli aspetti salienti e i risultati», spiega il professore, «al 31 dicembre 2019 i dati sul reinserimento lavorativo dei carcerati ci dicono che solo il 30% dei detenuti è stato coinvolto in attività lavorative e di questi solo il 13%, cioè 2381 su un totale di 60769, è entrato in contatto con realtà esterna alla pubblica amministrazione», spiega Giordano, «di questo 13% la maggior parte ha a che fare con realtà sociali, in particolare cooperative sociali. Qui abbiamo il primo elemento su cui Programma 2121 si distingue, avendo come player una multinazionale come Lendlease. Una caratteristica che quindi introduce il ruolo di aziende for profit strutturate nella relazione con il sistema carcerario dando più certezza all'orizzonte lavorativo dei soggetti coinvolti».

Il lavoro, com'è noto, abbassa sensibilmente la recidiva. «Quello che è meno noto», continua Giordano, «è che a giocare un ruolo determinante in questa chiave è il livello salariale. Anche qui la proposta di Lendlease sgombra il campo da prospettive lavorative con paghe basse e poco soddisfacenti».

Un'altra novità è l'obiettivo di questi tirocini. «Lo scopo è l'assunzione, in un contesto per altro non tutelato, cioè all'interno di un grosso gruppo solido», continua il professore, «non ci si limita dunque a formare una risorsa che dovrà poi scontrarsi con il mercato del lavoro con tutti i problemi che può incontrare una persona con precedenti penali ma si prevede, già all'inizio del percorso, l'idea che alla conclusione c'è la prospettiva di un contratto di lavoro stabile. Viene così meno la storica precarietà di questo tipo di interventi, che spesso mina alla radice i buoni esiti delle proposte che negli anni sono state introdotte. La continuità che può garantire una multinazionale è un grande valore aggiunto».

Filippo Addarii, cofounder e CEO di PlusValue, società di consulenza specializzata nell’innovazione di sistema e impact investing, ha seguito direttamente il progetto. «Siamo stati coinvolti nella fase di ideazione assistendo Lendlease nella strategia di impatto e innovazione di tutto il sito di MIND. Il Carcere di Bollate è risultato come un rischio per il sito, ovviamente. Il carcere è sempre un elemento non gradito da uno sviluppatore. La prima operazione è stata trasformarlo da un rischio a un'opportunità ed estendere le capacità di un innovation disctrit a un campo che normalmente non gode di queste opportunità. Così nasce Programma 2121», sottolinea il CEO.

Per Addarii, «è chiaro che questo sia un progetto pilota con dimensioni molto piccole, perciò non è replicabile su larga scala con lo stesso modello, ovvero sostenuto principalmente da Lendlease». In Italia ci sono 4.500 detenuti circa che possono beneficiare dell'art.21 su una popolazione totale di 60mila persone. «È un numero importante», chiarisce Addarii, «inserirli tutti sul lavoro è fattibile ma non con un modello basato sulla filantropia delle aziende». È così che PlusValue si è messa a lavorare su un modello nuovo.

«Abbiamo provato a usare strumenti finanziari innovativi noti, ma non ancora sperimentati in Italia come il social outcome contract: la versione continentale del social impact bond centrato sul pagamento del risultati raggiunti». Quindi una partnership pubblico-privato in cui vengono definiti degli obiettivi di impatto concordati e in cui i privati sono coinvolti tanto sull’investimento che sullo sviluppo ed erogazione di servizi innovativi.

«La differenza tra la via anglosassone e quella continentale sta nel fatto che negli UK si lavora per ricavare un risparmio per la PA da cui poi si ricavano le risorse per ripagare gli investitori», spiega Addarii, «Nel modello che stiamo sviluppando il pagamento è garantito da social outcome payment fund, un fondo pubblico che creato per “l’acquisto” dei risultati e finanziato con i fondi strutturali. Risolviamo così due problemi: utilizziamo i fondi strutturali, in particolare il Fondo Sociale Europeo, in modo più efficace e veloce, aiutando le Regioni a raggiungere gli obiettivi di spesa. E in secondo luogo a spendere per acquistare risultati e non per pagare soltanto per degli input. Quindi a spendere bene». Un modello, insomma, che prevede di spendere le risorse pubbliche, tutte, bene e generando un impatto positivo per tutta la società.

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