Cultura
Lo scultore Jago “abbandona” un’opera da un milione di euro in piazza Plebiscito
Si chiama “Look-down” l’opera dello scultore di fama internazionale. Un invito a “guardare in basso”. «Il significato andatelo a chiedere a tutti quelli che, in questo momento, sono stati lasciati incatenati nella loro condizione», dice Jago che dopo aver vissuto a New York si è trasferito nel Rione Sanità a Napoli: «Volevo fare un salto di qualità», sorride. «Il Rione sarà la Manhattan del futuro. Qui c’è un capitale umano e artistico con un potenziale incredibile»
di Anna Spena
Piazza Plebiscito a Napoli si è svegliata con un bimbo ranicchiato a terra e in catene. Il bimbo è di marmo. A dare forma al suo corpo lo scultore di fama internazionale Jago, nato a Frosinone nel 1987. L'opera è stata posizionata in collaborazione con la Fondazione di Comunità San Gennaro.
«Riguardo all’opera», spiega l’artista, «ho già detto quello che dovevo dire facendola. Non posso esprimermi di più perché non c’è nulla da aggiungere. Ogni persona è libera di vedere quello che vuole, questo è il mio linguaggio. Ecco il significato andatelo a chiedere a tutti quelli che, in questo momento, sono stati lasciati incatenati nella loro condizione», dice l’artista. «Look-down” è un invito a “guardare in basso” ai problemi che affliggono la società e alla paura di una situazione di povertà diffusa che si prospetta essere molto preoccupante, soprattutto per i più fragili».
La scultura vale un milione di euro. «Oggi va di moda fare dei gesti veloci, nascosti e a costo zero», aggiunge. «Io voglio metterci la faccia, sì ho lasciato un milione di euro in mezzo alla piazza. È un rischio, ma va bene così».
Jago ha vissuto gli ultimi due anni e mezzo a New York, poi ha deciso di tornare in Italia. Da qualche mese vive nel Rione Sanità di Napoli. Il Rione accucciolato sotto la collina di Capodimonte è una periferia dentro il cuore della città. Un luogo fisicamente ostico, fatto di vicoli stretti, dove i palazzi si accavallano ed il sole dentro i bassi non arriva mai. In quegli stessi palazzi, che non si danno respiro tanto sono vicini, costruiti in tre chilometri quadrati di terreno scomposto e irregolare, vivono 30mila abitanti. 30mila persone, sono loro il miracolo di rione Sanità. Ed è qui, su queste pendici di un monte di tufo, dove sembra voler finire il mondo che invece il mondo inizia.
In questi mesi il lavoro di Jago si è mosso, insieme ai cittadini del quartire, nella direzione della tutela dell’incommensurabile patrimonio storico e artistico di cui la città e il rione sanità sono pieni. Patrimonio che però non può prescindere dagli interventi di sviluppo occupazionale e sociale. Sono questi gli unici strumenti che possono stimolare nella comunità locale la volontà di uscire da un isolamento culturale che dura da generazioni. Non è un caso che l’artista abbia scelto di collaborare con la Fondaizone di Comunità San Gennaro appunto e la Cooperativa Sociale la Paranza, realtà virtuosissima del territorio, che ha ridato vita, tra gli altri, alle Catacombe di San Gennaro.
«Mi sono trasferito da New York alla Sanità per fare un salto di qualità», sorride. «E se davvero lo vuoi fare questo salto, la sanità è l’unica scelta possibile. Perché è un terreno fertile, sarà la Manhattan del futuro. Fertile perché c’è bellezza, possibilità di coltivare, e un capitale umano e artistico con un potenziale incredibile. Insomma, è il terreno giusto».
C’è un’altra opera bellissima – Figlio Velato – che Jago ha regalato alla città. Si trova nella Cappella dei Bianchi, Chiesa di San Severo fuori le mura a Piazzetta San Severo. Anche il patrimonio artistico di questo luogo è dalla cooperativa la Paranza. "Figlio velato" si ispira al Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, che celebra il sacrificio di un uomo che muore per la collettività. L’opera di Jago, invece, fissa nel marmo la realtà contemporanea, costringendoci a confrontarci con una delle immagini che spesso ci lasciano indifferenti.
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