Volontariato

Il fantasma del Quarto settore

"Non sono d’accordo con un allarmismo che non dà alternative concretamente praticabili". L'opinione di Edo Patriarca sulla crisi del volontariato.

di Edoardo Patriarca

È bene che Vita abbia aperto un dibattito pubblico sul volontariato e sui volontari. Coloro che oggi pongono il problema del futuro del volontariato si attardano a osservare troppo affrettatamente la punta dell?iceberg senza curarsi dell?altra parte, quasi nascosta sotto il mare. E allora si usano frasi a effetto, si richiamano i valori, si invita alla deregulation e al ritorno a un tempo mitico, forse mai esistito, senza offrire indicazioni di lavoro concretamente praticabili.

Neppure la domenica
E il primo dato su cui occorre riflettere un po? di più è sul tempo che stiamo vivendo, perché anche l?esperienza del volontariato è figlia del suo tempo. Tradirebbe la sua vocazione di radicamento in un territorio, in una cultura per essere azione di servizio, profezia e denuncia.
Il tempo che stiamo vivendo è pervaso dal Mercato, le dimensioni della vita e i suoi tempi ne sono condizionati. Non vi sono più interruzioni, persino la domenica è ostaggio del consumo e dello shopping. Per non parlare dei tempi di vita, soprattutto dei giovani, precarizzati e flessibili, con orari di lavoro senza regole e con legami personali e sociali sempre più deboli.
I poveri scompaiono, ridotti a strumenti per pacificare la coscienza o per vivere una esperienza emozionante e filantropica. È il conservatorismo compassionevole che accompagna e sostiene senza mettere in conto alcun percorso di uscita dall?esclusione: nulla a che fare con la scelta della prossimità.
E allora, non è il caso di cominciare ad avviare una forte riflessione sul nostro tempo piuttosto che accapigliarsi su chi è «puro o meno puro»? Non è il caso di produrre un?azione culturale che denunci e smascheri questi meccanismi? Non è questa la vera battaglia da fare per recuperare il valore della gratuità nella sua concretezza e completezza e che non può essere ridotto alla sola questione dei rimborsi (su questo chiederei di chiudere la vicenda senza prestare il fianco a critiche inutili: i rimborsi si fanno solo su spese documentate)?
Il volontariato ha avuto sempre l?ambizione di proporre un?idea di società e di fare politica. Se perdesse questo connotato sarebbe davvero la deriva filantropica a prendere piede, altro che rischio di ?ripubblicizzazione?. E per vincerla non è solo la cultura del dono che va proposta, ma anche quella del ricevere: quella che accetta che l?altro mi cambi, mi interpelli, mi chieda di camminare con lui e di convertirmi.

Il caso Agesci
Mi domando se l?azione volontaria non debba recuperare, oltre al fare, anche la riflessione culturale, la premura per i percorsi educativi; per una dimensione comunitaria dell?agire; per la partecipazione e la buona democrazia. Alcuni dei ?preoccupati? di oggi sono coloro che hanno usato, come unica cifra di legittimazione, la legge 266/91, provocando ambiguità e distinzioni ingiuste. La mia associazione, l?Agesci, è una organizzazione di volontari, ma non lo è secondo i crismi della 266 (è iscritta agli albi solo in 10 regioni). Non è riconosciuta in tutte le regioni perché il servizio che rendono i 30mila volontari ai 150mila ragazzi è ?per i soci?.
Si è denunciato una sorta di pubblicizzazione del volontariato. Battuta a effetto. Ma non è questa la via disegnata dagli estensori della stessa 266 e dalla riforma dei servizi sociali?
Un?azione di servizio che assume tutti i crismi di un?azione pubblica, che si rapporta con l?ente locale e con gli altri soggetti. Vi sono forme di neo collateralismo con le istituzioni, alla ricerca di convenzioni e contributi? Può darsi, ma, non è questione di recuperare un profilo culturale più alto, senza immaginare ritorni al passato, perché «piccolo è bello»?

Buon servizio
Non dobbiamo invece riflettere di come sono cambiate le nostre organizzazioni? Non è forse più corretto parlare di competenza accresciuta? L?azione educativa nei confronti degli adolescenti, il sostegno ai disabili, la tutela dei beni culturali, non richiedono oggi volontari più competenti? Competenza sta per buon servizio (l?incompetenza può fare male), non bastano solo la generosità o la gratuità.
E infine, se le organizzazioni di volontariato hanno assunto in alcuni servizi la dimensione dell?impresa non è bene distinguere e fare chiarezza senza immaginare che questa eventuale trasformazione porti al ?girone? degli impuri?
I valori che proponiamo si possono e si devono vivere con la stessa intensità anche nella professione. Il volontariato si caratterizza come una forma esigente della gratuità. Dunque la questione del Quarto settore pare fuori dalla storia: l?identità non cresce mai solo per gomitate e contrapposizioni con altro soggetti del Terzo settore, ma con un progetto culturale proprio, sostenuto e in rete con tutti gli altri mondi della solidarietà organizzata.

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